Le prospettive peculiari di questo blog


La complessità dei fenomeni di terrorismo, radicalizzazione e più in generale di violenza politica richiede necessariamente di attingere alle conoscenze di diversi ambiti, i quali, dopo l'11 settembre, si sono ulteriormente ampliati, non solo in termini di discipline di studio, ma anche di soggetti deputati a fornire spiegazioni o giocare ruoli nel contrasto di tali fenomeni.
Agli accademici, decisori politici e forze di sicurezza ed intelligence, si sono aggiunti soggetti ed organizzazioni della società civile.

LA SOCIETÀ CIVILE NELLA LOTTA AL TERRORISMO

Seppur il confine sia talvolta labile o ambiguo, non mi riferisco ai programmi e campagne di comunicazione atti a coinvolgere i cittadini in forme di sorveglianza/sicurezza partecipata, segnalando alle autorità situazioni o persone a "rischio terrorismo", come i manifesti affissi dalla polizia metropolitana di Londra dopo gli attentati del 7 luglio 2005, ma a quelle politiche e strategie attivate in molti paesi che vanno sotto il nome di prevenzione e contrasto degli estremismi violenti (P/CVE) e che negli ultimi anni hanno visto la divulgazione di linee guide e manuali da parte delle principali organizzazioni internazionali, come le Nazioni Unite, la Commissione Europea e l'OSCE così come dei singoli ministeri di stati in tutto il mondo.

Il presuppose di partenza di queste strategie costituisce un cambia di paradigma piuttosto rilevante di fronte alle sfide del terrorismo che si esplicita, ad esempio, nel Summit della Casa Bianca sul contrasto all'estremismo violento del febbraio 2015, con le seguenti parole: "reaffirmed that intelligence gathering, military force, and law enforcement alone will not solve – and when misused can in fact exacerbate – the problem of violent extremism and reiterated that comprehensive rule of law and community-based strategies are an essential part of the global effort to counter violent extremism and, like all measures aimed at addressing the terrorist threat, should be developed and implemented in full compliance with international law, in particular international human rights law, international refugee law, and international humanitarian law, as well as with the principles and purposes of the UN Charter." (The White House Summit to Counter Violent Extremism Ministerial Meeting Statement)

Il coinvolgimento della società civile - dalle comunità locali e religiose alle scuole, dagli ex terroristi alle vittime del terrorismo, dai lavoratori sociali ai giovani e le famiglie, dalle polizia di prossimità agli operatori psico-sanitari - avviene su tre linee di attività:
- Costruzione di sensibilizzazione sui processi di radicalizzazione violenza e di reclutamento;
- Contrasto delle narrazioni estremiste, come la promozione on-line di contro narrazioni promosse della società civile;
- Valorizzare gli sforzi delle comunità locali che intervengono consentendo di interrompere il processo di radicalizzazione prima che un individuo si impegni in attività criminali.
Alle quali si aggiunge spesso una quarta: le attività di de-radicalizzazione, disengagement e le strategia di gestione/chiusura dei conflitti.

LA RAN

L'esperienza di più ampia portata in materia è stata probabilmente quella introdotta dalla Commissione Europea nel 2011 con la costituzione della rete di reti RAN (Radicalisation Awareness Network), partecipata da operatori che sul territorio lavorano nei vari ambiti di prevenzione e contrasto degli estremismi violenti. Un'esperienza che ha permesso a migliaia di operatori pubblici e privati, istituzionali e civili, di confrontarsi, scambiandosi esperienze e know-how, in diversi gruppi di lavoro, con una modalità innovativa che non risiede solo nel suddetto cambio di paradigma verso la lotta al terrorismo, ma anche nell'elaborare sia buone pratiche che politiche in una dinamica bottom-up, cioè dal basso, cui la Commissione si incarica poi di ridistribuire i risultati ai vari stati membri della UE.

La prospettiva di cui scrivo su questo blog è quella di chi quando è stato coinvolto nella RAN, unico italiano nel suo Comitato di pilotaggio e a dirigere uno dei suo gruppi di lavoro (2011-2015), aveva 10 anni di esperienza come consulente dell'Associazione Italiana Vittime del Terrorismo (Aiviter).
Una consulenza che inizialmente incrociava comunicazione e storia, nascendo dalla doppia necessità dell'associazione di dotarsi di un sito web per comunicare all'esterno e di costruire un memoriale che presentasse tutte le vittime italiane dei vari terrorismi, e che si è esteso, dopo gli attentati di Madrid del 2004, alle relazioni internazionali con istituzioni, altre associazioni di vittime, giornalisti e studiosi e, dopo il 2011, all'attivà di CVE in ambito educativo.

Un prospettiva che definirei doppiamente particolare: per la novità dei suddetti approcci verso il contrasto del terrorismo, ma anche per un ruolo, quello di consulente, che risulta assai raro nel panorama dell'associazionismo costituito da vittime, sopravvissuti del terrorismo e loro familiari.

LA VITTIME DEL TERRORISMO

Nel 2001 quando iniziai la collaborazione con AIVITER, ho scoperto successivamente che tutte le altre associazioni in Francia, Spagna e Irlanda del Nord erano costituite solo da superstiti e familiari, così come quelle italiane prima di allora. Il panorama configurava questa associazioni essenzialmente come "self-help group": gruppi chiusi di auto aiuto dediti:
1) a difendere la memoria delle vittime, nei confronti dei media e della società civile e politica, e
2) promuovere, da una parte, la piena applicazione della giustizia e, dall'altra, il riconoscimento del particolare danno ricevuto e relativi risarcimenti, nei confronti allo Stato.

Le peculiarità e problematiche di questo associazionismo a livello nazionale ed internazionale, provo qui ora a sintetizzare in alcuni punti:

a) nel 2001, la realtà europea presentava una chiara divisione: esistevano associazione, più o meno grandi, nei paesi storicamente colpiti dal terrorismo, con l'eccezione della Germania, mentre nei paesi nordici, come in Olanda, dove il fenomeno era più raro, le vittime del terrorismo erano prese in carico e cura da enti istituzionali. Solo dopo il 2011 il panorama europeo è parzialmente mutato: nei paesi più colpiti come la Francia si sono moltiplicate le associazioni, talvolta su input della stessa amministrazione pubblica. Le associazioni di più recente costituzione si sono dotate di consulenti o si sono aperte all'adesione di soggetti diversi dai famigliari e superstiti, provenienti dai mondi dell'educazione e della psicoterapia.
b) in base al contesto territoriale e le caratteristiche del terrorismo subito, il panorama offre una diversificazione relativa alla maggiore o minore coesione con la società civile e con il mondo della politica. Ad esempio, l'associazione delle vittime della strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980, gode, fin dalla sua costituzione, di un forte appoggio locale: mentre Aiviter - pur rappresentando molte più vittime, quelle colpite singolarmente essenzialmente dal terrorismo rosso - ha avuto scarso appoggio locale. In Spagna le associazioni hanno parlato a lungo di doppia vittimizzazione in relazione al fatto che le famiglie delle vittime residenti nei Paesi Baschi erano costrette al lasciare le loro città per l'ostilità locale di un ampio contesto sociale molto vicino ad ETA. Mentre fuori dai Paesi Baschi, le associazioni godevano in generale dell'appoggio del Partito Popolare a livello locale e nazionale.
c) mentre il suddetto punto 2) è un fattore di coesione tra associazioni o gruppi di vittime, il fattore forse più drammaticamente divisivo è quello sui temi della conciliazione o riconciliazione nella fase di post-conflitto, e più in generale nei rapporti con gli ex terroristi. Dall'osservazione di oltre 15 anni di attività, si può dire che i soggetti disposti all'incontro con i terroristi, o a soluzione di riconciliazione sono meno integrati nelle associazioni, talvolta isolati o semplicemente esterni.
d) il termine vittima è stato oggetto di chiarimento linguistico a livello europeo nell'ultimo decennio: mentre nel primo decennio del XXI secolo sussisteva la divisione tra i paesi latini e quelli nordici tra vittima e sopravvissuto/familiare, anche in ambito di linguaggio politico europeo (in inglese) ha prevalso recentemente l'uso del termine vittima per designare sia quelle dirette che indirette. A questo proposito un fattore poco studiato è la dimensione spaziale e temporale del ruolo di vittime: cioè i confini delle trasmissione del trauma sia in termini parentali e amicali (spaziali) sia in termini intergenerazionali (temporali). Ad esempio l'Associazione della strage di Piazza Fontana annovera oggi tra i sui membri i nipoti delle vittime dirette: è solo una questione di onore della memoria o sussiste anche una perpetuazione dei traumi e del carattere insoluto della verità su tale tragica vicenda?
e) Altro fattore estremamente mutevole in base alle circostanze storiche e politiche, è il rapporto tra le associazioni e i rispettivi Stati. La Spagna, anche grazie all'appoggio politico alle associazioni di cui sopra, è il paese con quella che viene considerata la più avanzata legge in favore delle vittime del terrorismo. I buoni rapporti storici tra associazioni di vittime del terrorismo di ETA e Partito Popolare è però oggi messo in crisi dalla deposizione della armi dell'organizzazione basca e dalla necessità del governo retto da popolare Roy di addivenire ad una soluzione politica del conflitto. In generale però il rapporto tra vittime e Stato è reso assai delicato, non solo nei casi di terrorismo da parte dello Stato stesso o di una parte dei suoi apparati, ma anche da una considerazione più generale. "La mancata risoluzione di conflitti per via pacifica, al di là della loro natura, risiede in un solo contesto: quello della politica. Cioè in quell’ambito che per definizione è predisposto alla mediazione e alla risoluzione dei conflitti. Credo cioè si possa dire che tanto le guerre che i terrorismi, sono sempre dei fallimenti della politica. Da questo deriva un duplice ruolo delle vittime: da un parte vittime di chi ha materialmente eseguito l’atto di violenza, dall’altra, ‘vittime’ di un fallimento politico". (1) O anche solo di una mancato intervento in termini di prevenzione del terrorismo. Un caso esemplare è quello della vedova di Richard S. Gabrielle, Monica, già portavoce di una associazione delle vittime dell'11/9 che 10 anni dopo non partecipa all'inaugurazione del memoriale delle Twin Tower per lo scacco subito nel 2005 quando perse la battaglia di trasparenza per la pubblicazione integrale del rapporto dell'Ispettore generale della CIA sugli errori di valutazione dell'agenzia.
f) in oltre 15 anni di attività con le vittime non ho mai avuto contatti con ricercatori italiani di vittimologia, seppure esita una società italiana di tale disciplina. Più in generale, per l'Italia, se tutta un area di associazionismo, quella dell'Unione Stagi, ha creato un canale con il mondo della ricerca (essenzialmente storica) attraverso prima il Centro di documentazione storico-politica sullo stragismo a Bologna, e più recentemente con la Rete degli archivi per non dimenticare; Aiviter non ha avuto canali attivi con il mondo dell'accademia fino al 2011, quando nel giro di pochi mesi è stata contattata da ricercatori in ambito sociologico, delle scienze politiche e della storia per la prima volta: 3 su 4 erano ricercatori italiani attivi fuori dall'Italia. In ogni caso, mai prima d’allora era stata presa in considerazione la voce e il discorso delle vittime quale fonte per interpretare il fenomeno terroristico.
Come mai c'è stato questo ritardo che di fatto continua in ambito universitario italiano?

Soprattutto dopo l'11/9, una mole sterminata di pubblicista di livelli e discipline diverse si è interessata ai terroristi, o ex tali, per formulare profili, modelli ed interpretazione dei fenomeni di radicalizzazione violenta, di involvement ed engagement in formazioni estremiste, ma chi quei fenomeni li ha provati sulla propria pelle fatica a diventare oggetto di ricerca.

Per il sottoscritto le vittime e loro associazioni non sono stati oggetti di ricerca, ma lunghi anni di lavoro insieme, ai quali si è aggiunto quello di confronto con le realtà degli altri operatori dentro e fuori l'Italia, ex terroristi, psicologi, forze dell’ordine, accademici: tutti mi hanno fornito prospettive di osservazione particolari per esprimere valutazioni e scrivere, e più recentemente svolgere attività di formazione, su questa materia complessa.

Luca Guglielminetti

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