sabato 23 dicembre 2017

La percezione sociale delle vittime del terrorismo

Prossimamente sulla Rassegna Italiana di Criminologia.
Abstract
L'A., partendo dalla sua personale esperienza di collaborazione con la più grande associazione italiana di vittime del terrorismo, mette in evidenza varie forme di doppia vittimizzazione e biasimo delle vittime nella percezione sociale degli atti terroristici. Confrontando l'esperienza italiana dei cosiddetti 'anni di piombo' con l'attuale minaccia internazionale, l'A. argomenta come l'opinione pubblica sia soggetta al condizionamento dei media e alla strumentalizzazione politica che causano una percezione sociale limitata, partigiana e talvolta ostile delle vittime. Simpatie e antipatie, empatia e idiosincrasia spingono la comunità a degradare le vittime a simbolo, come fanno i terroristi. Il caso italiano mostra che le vittime deumanizzate riacquistano valore positivo di fronte alla società civile solo quando il conflitto si chiude con la volontà politica di riconoscere tutte le parti. 

Si veda qui

sabato 16 dicembre 2017

L'uccisione dei civili vanifica le operazioni di antiterrorismo

Sintesi dell'inchiesta del New York Times sulle vittime civili del conflitto in Irak:
"L’uccisione dei civili genera un ulteriore danno, perché diventa uno strumento di propaganda per i terroristi e vanifica le operazioni antiterrorismo."

venerdì 15 dicembre 2017

La prevenzione della radicalizzazione tra le nuove generazioni

Convegno internazionale
LA PREVENZIONE DELLA RADICALIZZAZIONE
TRA LE GIOVANI GENERAZIONI
Prevenire dal basso la radicalizzazione e l’esclusione sociale: il punto di vista dei giovani

22 gennaio 2018 | Dipartimento di Giurisprudenza – Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia | Via San Geminiano 3, Modena

domenica 3 dicembre 2017

Interview on prevent & counter radicalisation


My interview podcast to the Australian SBS radio on prevent & counter radicalisation (P/CVE) in Italy.
(In Italian for the Italo-Australian people)


Today Global Mail focuses on the radicalisation of young people that eventually can lead to terrorism attacks all over the world. Jolanda Pupillo talks about it with Luca Guglielminetti, a former member of the European Commission's Radicalisation Awareness Network (RAN).

mercoledì 29 novembre 2017

Politiche di prevenzione e contrasto ai radicalismi violenti (Videoclip)



Lunedì 27 novembre 2017 alla nostra Scuola di Politica abbiamo discusso insieme a Luca Guglielminetti, Membro del Radicalisation Awareness Network (Ran), di quali siano le cause che portano gli individui a radicalizzarsi, fino a diventare estremisti violenti e quali siano le politiche e le azioni che si possono mettere in campo per arginare il problema. La serata è stata realizzata dalla Fondazione Benvenuti in Italia in collaborazione con il Centro Interculturale della Città di Torino


domenica 19 novembre 2017

Politiche di prevenzione e contrasto agli estremismi violenti




Il Centro Interculturale della Città di Torino, in collaborazione con la Fondazione Benvenuti In Italia, organizza una serie di incontri sul tema delle radicalizzazioni e delle politiche di prevenzione e contrasto agli estremismi violenti.

Non si nasce terroristi, né si tratta di pazzi o di emarginati sociali allo sbando. Dalle analisi più recenti sono invece stati tratti dei modelli che ci descrivono la pluralità di concause e gli stadi successivi per cui un soggetto si radicalizza fino a giungere a reclutarsi in una organizzazione estremista violenta.
Da questi modelli sono nate politiche di prevenzione e contrasto al fenomeno che utilizzano un approccio soft e coinvolgono la società civile, affiancando gli strumenti e i soggetti securitari tipici della lotta al terrorismo.

Qui la pagine evento su FB

venerdì 17 novembre 2017

Carlo Casalegno e la zona grigia




Il 16 novembre 1977, le Brigate Rosse colpirono il vicedirettore del quotidiano La Stampa, Carlo Casalegno. Lo sorpresero sotto il portone di casa a Torino e lo ferirono con quattro colpi di pistola in pieno volto che il 29 novembre 1977 risultarono letali.
Qurantanni dopo, in questi giorni, non sono mancati articoli di commemorazione di questo grande editorialista, già partigiano del movimento Gustizia e Libertà.

Nessuno però ha ricordato alcuni dettagli successivi a quella storia. Qui se ne elencano alcuni.

Trent'anni dopo, nel 2007, il giornalista Riccardo Chiaberge, allora nella redazione del giornale torinese, scrive le seguenti parole su il Sole24Ore (1):

«Nel marasma postmoderno della mostra sugli anni Settanta alla Triennale di Milano, tra fumetti di Vampirella, filmati di Pasolini, partite Italia-Germania e pantaloni a zampa di elefante, una delle poche sale che merita una sosta è quella dove stanno appese, come lenzuola al sole, le prime pagine dei giornali con i fatti salienti dell’epoca, dalle contestazioni degli autonomi, a Lama, al caso Moro. C’è naturalmente, il Giornale del 3 giugno 1977 con l’attentato a Indro Montanelli (manca invece il Corriere che aveva omesso nel titolo il nome del gambizzato) e c’è la Stampa di giovedì 17 novembre che annuncia l’agguato Br a Carlo Casalegno (sarebbe morto tredici giorni dopo, al termine di un’atroce agonia). Non c’è, né ci poteva essere, perché ben custodito negli archivi del quotidiano, un antefatto di quel barbaro assassino, che forse merita di essere richiamato alla memoria a trent’anni di distanza.

Due mesi prima, nella notte del 18 settembre, una bomba molotov viene lanciata contro lo stabilimento della Stampa. I volantini dei terroristi sono espliciti: “Riflettano prima di stendere l’ultimo pezzo. I giornalisti sappiano che d’ora in poi sapremo alzare il tiro”.

La risposta del direttore Arrigo Levi non si fa attendere: l’editoriale del giorno successivo, oltre a denunciare questo clima di intimidazione, chiama in causa Lotta Continua come movimento in qualche modo fiancheggiatore del partito armato. Non sono tesi nuove, Casalegno nella sua rubrica da mesi batteva cocciutamente su quel tasto, additando complicità e connivenze. Ma la presa di posizione di Levi non è condivisa da una parte del corpo redazionale.

Il mugugno si condensa in un documento di censura al direttore, in nome della libertà di espressione e del distinguo, allora in voga, tra parole e pallottole. Lo firmano molti simpatizzanti della sinistra extraparlamentare ma anche qualche redattore ingenuamente (o stupidamente) garantista, tra cui il sottoscritto. La rivolta sfocia in un’assemblea tumultuosa, cui partecipa, incupito e taciturno, lo stesso Casalegno. Ma dopo l’ennesima filippica di uno dei ribelli, il vicedirettore scatta in piedi e abbandona la sala, lui di solito così compassato, gridando: “Siete una manica di stronzi!”. Ci sarebbe voluta la Nagant di Raffaele Fiore, due mesi dopo, per farci aprire finalmente gli occhi. È vero, eravamo degli stronzi, o forse degli imbecilli.

L’insubordinazione verso il direttore ci sembrava un gesto più chic, più “libertario” dell’intransigenza contro i terroristi. Personalmente, non ho mai smesso di pentirmi di aver firmato quel documento.

E gli altri della lista?
Coraggio, colleghi, se ci siete, battete un colpo». 

Non mi risulta che altri suoi colleghi abbiano battuto colpi nel decennio successivo...
Questo outing politico del giornalista Chiaberge evidenzia due aspetti.

Come i simpatizzanti di organizzazioni terroristiche abbiano giocato un ruolo, per altro non sempre quantificabile, all’interno dei media - come risultò anche dalle indagini sull’assassinio del giornalista Walter Tobagi del Corriere della Sera (2) - e quindi nella percezione del terrorismo da parte dell'opinione pubblica, ed in particolare delle vittime che giudicavano lontane dalle loro posizioni politiche.

Il je m’accuse fu scritto in un periodo non casuale, quello in cui lo Stato italiano iniziava ad investire sulla centralità della vittime del terrorismo. Il 2007 è infatti l’anno in cui viene istituita dal Parlamento italiano la Giornata delle Memoria dedicata alle vittime del terrorismo il 9 maggio.

Ne I sommersi e i salvati c'è un capitolo intitolato La zona grigia tra i più importanti e significativi del capolavoro di Primo Levi (1986). In questo ci informa sul particolare che lo spazio tra la categoria delle vittime e dei carnefici non sia vuoto, bensì «costellato di figure turpi o patetiche (a volte posseggono le due qualità ad un tempo) che è indispensabile conoscere se vogliamo conoscere la specie umana». Si tratta, come noto, delle varie forme di collusione o di acquiescenza tra vittime e oppressori: i Kapo, i Prominenten, e tutte le altre figure del privilegio nel Lager nazisti e nei ghetti ebraici.
Il terrorismo condotto da organizzazioni non statali non presenta questa forma di collusione, ma è comunque dotato di una zona grigia, più o meno grande. L'autore stesso del concetto, lo suggerisce alla fine dal capoverso in cui lo presenta:
«La zona grigia della “protekcja” e della collaborazione nasce da radici molteplici. (…) Questo modo di agire è noto alle associazioni criminali di tutti i tempi e luoghi, è praticato da sempre dalla mafia, e tra l'altro è il solo che spieghi gli eccessi, altrimenti indecifrabili, del terrorismo italiano degli anni '70» (3).

Marcello Maddalena, magistrato a Torino durante gli ‘anni di piombo’, al convegno dello stesso anno (1986) del libro di Levi, promosso dall'Associazione Italiana Vittime del Terrorismo (Aiviter), precisa:

«Non ci si deve dimenticare della cultura di quel periodo, degli insegnanti e degli ‘insegnamenti’ di quel periodo. Ricorderò ancora quanto, proprio in quegli anni bui, ebbe a dire al riguardo in un convegno di “operatori” italiani e tedeschi del diritto, un sociologo tedesco, Kilmansegg. (…) In quel convegno si parlava della RAF in Germania e delle B.R. in Italia ed una delle constatazioni emergenti da quel dibattito fu che il fenomeno del terrorismo rosso era assai più isolato in Germania che non in Italia, nel senso che in Italia si era creata, attorno al terrorismo rosso, una atmosfera culturale sostanzialmente favorevole o comunque “propiziatrice”: (...) una “moda” o una “corrente” culturale molto diffusa, soprattutto in ambienti intellettual-borghesi, tale da farvi allignare e prosperare il verbo dei terroristi» (4).

Nella stessa occasione, Angelo Ventura (1986), professore a Padova e storico (tra i massimi studiosi del terrorismo italiano), apre il suo intervento denunciando il comportamento del quotidiano torinese:
«Ma avete visto come la "Stampa" ha annunciato - solo stamane, troppo tardi - questo convegno, in tre righe anodine e ben nascoste in mezzo agli altri annunci. Che vergogna, il giornale di Casalegno!».

Decenni dopo il giornalista Massimiliano Griner (2014) scrive un libro dal titolo La zona grigia e sottotitolo: "Intellettuali, professori, giornalisti, avvocati, magistrati, operai. Una certa Italia idealista e rivoluzionaria", per i tipi di Chiarelettere. Sono alcune storie dei personaggi che hanno aderito, fiancheggiato, simpatizzato o accettato il terrorismo eversivo di sinistra e che, con le loro complicità indirette o scoperte, hanno reso possibile l'ampiezza, l'intensità e la durata del terrorismo del caso italiano. Durata che si è protratta indirettamente, sotto forma di obliterazione e ‘silenziamento’ delle vittime (5), per i due decenni successivi alla fine degli ‘anni di piombo’, convenzionalmente collocata il 17 Aprile del 1988 con l’assassinio del senatore Roberto Ruffilli a Forlì.

Il concetto di zona grigia amplia la descrizione e la portata dei fattori sociali e mediatici che aumentano la percezione nell'opinione pubblica che ci sia una qualche responsabilità delle vittime alimentando il distacco emotivo da loro, un “allontanamento dalla memoria”, il cui esito conseguente è l’isolamento sociale che la vittima subisce.

 L. G.


(1) Chiaberge R. (2007). Contrappunto, Il Sole-24Ore Domenica 4 novembre 2007, http://coaloalab.altervista.org/quei-giornalisti-contro-casalegno/ (vista il 15/09/2017)
(2) Brambilla M. (2010). L' eskimo in redazione. Quando le Brigate Rosse erano «Sedicenti». Ares
(3) Levi P. (1986). I sommersi e i salvati, Torino: Einaudi. pp. 29-30
(4) Atti del Convegno "Lotta al terrorismo. Le ragioni e i diritti delle vittime", Torino, 1986, p.41
(5) Particolarmente significato il racconta del giornalista Giovanni Fasanella, autore con Antonella Grippo (2006) de I silenzi degli innocenti., BUR Biblioteca Univ. Rizzoli, delle difficoltà riscontrate con gli editori, nel suo intervento a Torino in occasione del Convegno europeo Aiviter: "Narrazioni contro il terrore - La voce delle vittime europee del terrorismo: problemi e sfide", 4 Novembre 2011:  https://vimeo.com/31958027 (vista il 15/09/2017)

giovedì 16 novembre 2017

domenica 5 novembre 2017

venerdì 3 novembre 2017

Formazione a Torino: Prevenzione e contrasto del radicalismo violento

Seminario formativo rivolto al personale della Polizia di Stato di Torino e provincia, organizzato dalla Segreteria Provinciale del sindacato "U.G.L. Polizia di Stato".


Apertura dei lavori del seminario mercoledì scorso, dove sono intervenuti il Direttorie della SAA - School of Management Torino, il Questore, Angelo Sanna, i dirigenti della DIGOS e Luca Pantanella. Foto di Pina Fucarino e un grazie speciale a Roberta Di Chiara


mercoledì 18 ottobre 2017

“Terrorismo, violenza, radicalizzazione” primo evento di Grist a Torino


Si è presentato oggi pubblicamente al Palagiustizia di Torino il Grist, Gruppo italiano di studio sul terrorismo, neo-nata associazione senza fini di lucro che ha organizzato un primo incontro con il procuratore Armando Spataro e il direttore della rivista di Geopolitica “Limes” Lucio Caracciolo,  su “Terrorismo, violenza, radicalizzazione”.

giovedì 5 ottobre 2017

L'incertezza del diritto intorno al reato di terrorismo

Nel 2012 la sentenza della Cassazione contro le nuove Brigate Rosse, che avevano preso di mira tra gli altri il giurista Pietro Ichino, aveva incredibilmente limitato la contestazione agli imputati al solo reato di "associazione sovversiva", assolvendoli dall’accusa di "finalità terroristiche". Lo stesso è capitato nel 2013 con la sentenza della Corte d’Assise di Roma che, dopo nove anni di processo, ha assolto dall’accusa di finalità terroristiche i due carcerieri dalle Falangi verdi di Maometto nel rapimento di quattro italiani in Irak nel 2004 in cui morì Fabrizio Quattrocchi. 

Di fronte ad una tendenza a limitare la finalità di terrorismo in casi in cui sono coinvolti gruppi espressamente terroristi, è ragionevole domandarsi perché inserirla tra i capi di accusa ai 4 esponenti NOTAV dei centro sociali, per le loro azioni violente, certamente deprecabili ma nè clandestine nè omicide, come è successo nel 2014 a Torino, salvo poi non riconoscerla in fase processuale. Oppure il caso ancora più eclatante del 2012: l'attentato alla scuola Morvillo-Falcone di Brindisi, il cui attore solitario, Giovanni Vantaggiato, è stato condannato all’ergastolo con sentenza definitiva nel 2014 riconoscendo la finalità di terrorismo per "il panico generato nella popolazione, la lesione dell'Italia nel mondo, la sfiducia dei cittadini nelle istituzioni".
Con tale criterio, ogni tragico fatto dovuto all'incuria dello Stato, e la storia del nostro paese ne ha un elenco sterminato - dal Vajont alle scuole crollate nei sismi in quanto prive di prevenzione -, dovrebbe configurarsi come "terrorismo di Stato". Un bel paradosso!

L'etichetta terrorismo/terrorista rischia di essere solo uno strumento in mano a governi e Stati da affibbiare in base ai loro interessi, che giunge appunto al paradosso del caso di Cesare Battisti riportato dalle cronache di oggi. L'ex terrorista dei PAC, condannato per 4 omicidi negli anni di piombo, è considerato da alcuni governi brasiliani un perseguitato degno di asilo politico, per quello attuale forse un condannato da estradare in Italia.

Dispiace leggere allora che ci siano persone, che seguono professionalmente il tema, arrivare alla conclusione che il killer di Las Vegas, sia un terrorista. Il terrorismo è la forma odierna del conflitto, o della guerra: è quindi dinamica prettamente politica e di gruppo. Non esiste la fattispecie del lupo solitario (lone wolf): l'uomo, come il lupo, è un animale sociale. Se agisce solitario semplicemente non può avere una dimensione politica. Le origine dei mass-shooting vanno cercate altrove, senza alimentare ulteriore incertezza del diritto intorno all'abuso del termine e del reato.



Ci sono stati cinquanta volte più americani uccisi per violenza di armi che da attacchi terroristici dall'11 settembre.

giovedì 28 settembre 2017

Task Force sul terrorismo degli psicologi dell'emergenza


ORGANIZZAZIONE DEL GRUPPO DI LAVORO DEDICATO AL TERRORISMO
DOMENICA 1 OTTOBRE ORE 9.00 – 11.45

Introduzione a cura della presidente Donatella Galliano
Interventi:
Luca Guglielminetti, Membro del Radicalisation Awareness Network (RAN) della Commissione Europea
Daliele Luzzo, Regional Stress Counsellor ONU, Critical Incident Stress Management Department of Safety and Security
Francesca Ponzalino Responsabile dell’Area Terrorismo di Psicologi per I Popoli – Cuneo, membro del CD di PxP - Cuneo
Simona Fiorentino Membro del CD di PxP – Cuneo con carica di Segretario, membro dell’Area Terrorismo
Presidenti e Rappresentanti delle Associazioni territoriali di PxP Federazione

Conclusione e Comunicazioni della Presidente Annuncio della costituzione della TASK FORCE PER IL TERRORISMO DI PSICOLOGI PER I POPOLI FEDERAZIONE

martedì 26 settembre 2017

Social Perception of the Victims of Terrorism

Draft essay for the Italian review "Rassegna Italiana di Criminologia".

Abstract

Only in the last decade - since the establishment of the Memorial Day for the victims of terrorism  in 2007 -  arises the growing centrality of the victims in the Italian debate. The essay tries to explain the reasons for this delay, thirty years from the so called  'lead years' (1969-1987), and the various problems of social perception of the victims of this particular crime. Starting from the personal experience of the author, the Aiviter association's documentation, and the scarcity of scientific literature available, various forms of double victimization and victim blaming are highlighted and got in touch with mass-media, politics and the difficulty of exiting the conflict, because a lack of reconciliation process.


martedì 29 agosto 2017

La deriva paranoica dopo l'attentato di Barcellona

In Terrorismo, sicurezza, post-conflitto. Studi semiotici sulla guerra al terrore (Libreriauniversitaria.it edizioni, 2012) a cura Daniele Salerno, troviamo un capitolo che analizza sotto il profilo semiotico i manifesti pubblici affissi nella metropolitana di Londra a seguito degli attentati del 7 luglio 2005, per «un’analisi dei discorsi della sicurezza, cercando di farne emergere la struttura narrativa, i percorsi valoriali e ideologici e le potenziali derive a cui essi si prestano perseguendo l’obiettivo di “difendere la società”». Il risultato dell'analisi di tali campagna di comunicazione presso le stazioni dei trasporti pubblici, promossi dalla polizia metropolitana di Londra, segnala una "deriva paranoica" costituita dal coinvolgimento dei cittadini nel tentativo di prevenire e contrastare nuovi attentati.

La recente iniziativa del Ministero degli Interni di disseminare dissuasori per il traffico come fioriere, piramidi e barriere jersey per tutte le principali città d’Italia, a seguito dei recenti fatti di Barcellona, rientra solo indirettamente in quella deriva paranoica. Sono i Sindaci a doversi sottoporre ad essa per rassicurare i cittadini che si suppone abbiano paura di attentati teroristici.

Questo la domanda posta su Facebook:

domenica 27 agosto 2017

Paradosso siriano e foreign fighter: il nodo di quello che è terrorismo



La doppia emergenza costituta l'una del flusso immigratoria e l'altra dal terrorismo internazionale, si ritrovano spesso legate dal concetto giuridico di cittadinanza. Se intorno alla prima suonano domande relativi a quali migranti abbiano diritto di acquisire la cittadinanza, su quale base ottenerla, il sangue o il suolo, e in che tempi. La domande intorno al terrorismo riguardano quello strumento di contrasto costituito dal privare il terrorista della cittadinanza.
L'ex presidente francese François Hollande aveva annunciato di voler attuare tale misura nell'interesse della sicurezza nazionale, dopo gli attacchi su Parigi del 13 dicembre 2015. L'Olanda l'ha recentemente attuata per quei cittadini dotati di doppia cittadinanza, così come Israele già da tempo.

Privando della cittadinanza nazionale il terrorista originario di altro paese e dotato anche della cittadinanza originaria, l'intento dello Stato è quello di rendere più difficile il rientro di quei suoi cittadini diventati combattenti all'estero (foreign fighter). Privati della cittadinanza del paese occidentale "ospitante", il foreign fighter si ritrova perseguitato non solo dalle leggi di contrasto al terrorismo, ma anche di quelle di contrasto all'immigrazione illegale.

Quei terroristi che esercitano il crimine fuori dal contesto nazionale presentano però, al di là che abbiano o meno una doppia cittadinanza, un problema di legittimità di grande rilievo per il paese che vuole incriminarli. Il reato si compie infatti fuori della legittima competenza territoriale.

Se "capitani di ventura" e mercenari esistono da tempi lontani, altri combattenti non sono stati mossi dal "vil denaro", ma da "nobili ideali". Basti pensare a quel nostro padre della patria che si chiama Garibaldi, che prima e dopo le guerre italiane, inclusa la famosa Spedizione dei Mille, combatté in Sud America e in Francia. O ai fuoriusciti sotto il fascismo che andarono a combattere nella Guerra di Spagna, prima di unirsi alla Resistenza italiana. O ancora quei giovani italiani che recentemente sono andati a combattere con i curdi siriani del Rojava contro l'IS.

In base a quelle diritto un Stato persegue legalmente un suo cittadino che combatte in uno scenario bellico nel quale non è coinvolto e parte in causa?

La risposta la troviamo nell'ultimo decreto antiterrorismo, il decreto legge 18 febbraio 2015, n. 7, convertito nella legge 17 aprile 2015, n. 43 intitolato "Misure urgenti per il contrasto del terrorismo, anche di matrice internazionale": nella partecipazione ad un conflitto all'estero a sostegno di organizzazioni terroristiche.
Quindi i giovani dell'area antagonista anarchica dei centri sociali che vanno in Rojava non infrangono la legge, mentre chi si unisce allo Stato Islamico, sì.

Il carattere equivoco intorno all'uso della connotazione di "terrorismo", si palesa bene in questa circostanza specifica.


Da una parte non si nota che chi va a combattere fuori con gruppi legittimi, al suo rientro sa usare le armi e potrebbe essere tentato di utilizzarle in Italia, come hanno fatto i reduci delle campagne in Sud America e in Spagna in occasione dell'Unità d'Italia e della Resistenza.
Dall'altra non si nota che il movente di molte adesioni all'IS, uno dei "nobili ideali", è quello di combattere un regime, quello siriano di Assad, a sua volta promotore di un terrorismo di Stato. Quello che ha assunto una nuova ignobile forma segnalata da John Horgan in Psicologia del terrorismo, costituita dal colpire selettivamente bambini: 11.000 quelli uccisi dal regime solo dall'inizio del conflitto alla fine del 2013 (Oxford Reseach Group).

Il paradosso siriano è che non è rimasto nessuno a combattere legittimamente il terrorismo di Stato di Assad. Ad eccezione di qualche bombardamento made in USA, chi lo fa è oggi ricondotto alla causa del jihadismo globale. Quale argomento migliore per la sua causa della rinuncia occidentale a combattere uno Stato terrorista vero, dopo le accuse false al leader iracheno Saddam Hussain all'origine dell'instabilità geopolitica di quell'area?

giovedì 24 agosto 2017

La coscienza politica della vittima del terrorismo: il caso tedesco di Corinna

Nel 2012 incontro alla sede della Fondazione Adenauer di Roma, Julia Albrecht e Corinna Ponto. Sono le autrici del libro Patentöchter. Im Schatten der RAF - ein Dialog (Verlag Kiepenheuer & Witsch , 2011), in italiano: "Figliocce. All'ombra della RAF - Un dialogo".
I loro padri sono i rispettivi padrini l'uno dell'altra, due famiglie unite quindi a cui capita che nel 1977 il padre di Corinna, Jürgen Ponto, presidente del consiglio di amministrazione della Dresdner Bank, sia ucciso dalla Rote Armee Fraktion (RAF) col particolare tragico che a far entrare in casa Ponto il gruppo di fuoco dei terroristi fu la sorella di Julia, Susanne Albrecht, utilizzando la sua familiarità. Le due famiglie fatalmente troncarono ogni contatto fino a quando, trent'anni dopo i fatti, Julia scrive a Corinnna e si ritrovano a parlare su una panchina di una piazza di Berlino e scambiarsi le rispettive memorie, dalle quelli prenderà il via l'idea di scrivere il libro.
Un libro che è la storia di una presa di coscienza politica di familiari in un paese senza associazioni delle vittime del terrorismo.
Coinvolsi le due Autrici nel gruppo di lavoro della RAN sulla voce delle vittime del terrorismo, e, due anni dopo in occasione del 10° anniversario della strage di Atoche a Madrid e Giorno della memoria europeo, l'11 marzo 2014, Corinna rilascia questa intervista per un progetto europeo diretto dall'associazioni francese AfVT.

mercoledì 19 luglio 2017

Psicologia del terrorismo: la rassegna critica di John Horgan





La rassegna critica sugli studi di psicologia del terrorismo condotta da John Horgan, tradotta in italiano da Edra nella revisione del 2014, evidenzia un quadro che lo stesso Autore definisce 'sconfortante', anche se meno di quanto paventato nella sua prima edizione del 2005: "le attuali analisi sul terrorismo rimangono a breve termine, contingenti, spesso carenti di dettagli, politicizzate e molto specifiche".

Se in una analoga revisione negli anni '80 del XX secolo, la ricerca accademica sul terrorismo veniva descritta "come una realtà di piccola scala, addirittura periferica, nella maggior parte delle università" (Wilkinson, 1986), la mole di studi e ricerche, successivi all'11 settembre 2011, non ha migliorato la situazione dal punto di vista qualitativo. Errori di metodo, di raccolta, verifica ed interpretazione dei dati, mancata ricerca sul campo, hanno reso i risultati scarsi e poco utilizzabili per gli attori dell'antiterrorismo: decisori politici e forze di sicurezza e intelligence.
"La tendenza degli studiosi di concentrarsi esclusivamente sulla propria disciplina" e quindi la difficoltà di integrare diverse conoscenze per un approccio multidisciplinare di un fenomeno complesso, è stato un ulteriore fattore dell'insuccesso dei risultati ottenuti, secondo Horgan, che però giustamente sottolinea, nel primo capitolo, quello che è uno dei punti più critici: l'ambiguità dello stesso termine terrorismo, con le difficoltà a trovare una comune definizione che lo circoscriva chiaramente.

Una delle 'deviazioni' che l'Autore giudica più dannose è stata quella della ricerca che si è indirizzata sulla radicalizzazione con l'intento di definire profili e modelli predittivi che spiegassero "chi è il terrorista". Horgan propone invece un approccio indirizzato al comportamento terroristico che analizzi le tre fasi del modello IED (Involvement, Engagement e Disengangement) tenendo conto dei vari ruoli in seno alle organizzazioni eversive (compresi quelli che non necessariamente prevedono la pratica delle violenza) e focalizzandosi su comportamenti, dinamiche e relazioni di gruppo.
"Sono le analisi comportamentali a offrire spunti più proficui alla ricerca", sostiene l'Autore che però resta comunque giustamente scettico sul fatto che si possano individuare 'fattori di rischio' non generici e quindi dotati di valore predittivo.

Horgan presenta molti spunti di ricerca, compresi alcuni che parrebbero suonare paradossali come la domanda "perché così tanti non si dedicano al terrorismo?", ma anche sfide al mondo della politica, il cui processo decisionale "è quasi sempre completamente inefficace nella gestione del terrorismo".
"Siamo ben consapevoli di come certe risposte ai movimenti terroristici, in realtà, aumentino il supporto al terrorismo contro lo Stato, ma i governi ritengono che l'unico trattamento da riservare ai terroristi sia quello meritato dai codardi, altrimenti temerebbero di apparire disumani e insensati."
E prosegue con con raro e lucido pragmatismo: "noi sappiamo già come, sotto molti aspetti, probabilmente non dovremmo rispondere al terrorismo". La questione di "come combattere i terroristi" in ultima analisi è una questione di priorità da assegnare ai propri obiettivi: "Che cosa volgiamo fare? Se l'eliminazione dei terroristi è un obiettivo fondamentale per un governo, allora le implicazioni diventano ovvie, come stiamo osservando su larga scala con il programma droni".

Un testo quindi molto interessante, sul quale viene l'impulso di portare la critica anche oltre i confini esplorati dal professore americano.
In questa sede mi concentro su una sola osservazione che, proprio dal punto di vista empirico, mi pare costituisca un limite di conoscenza delle politiche, comprese quelle ufficialmente promosse dagli USA, almeno ai tempi di Obama.
Nell'ultimo capitolo l'Autore solleva una critica, che sappiamo connessa alla ricerca sulla radicalizzazione violenta, alle politiche di "contrasto all'estremismo violento" (CVE): "non è chiaro il modo esatto in cui tale obiettivo possa essere raggiungo o che cosa venga di fatto prevenuto".
Nel momento in cui scriveva (2013) l'Autore forse non aveva ancora conoscenza della quantità di programmi e progetti attuati in molti paesi di prevenzione/contrasto degli estremismi violenti.
Pur riconoscendo che è assai difficile misurarne l'efficacia, queste politiche segnano comunque, se non una inversione, una cambiamento di paradigma nella lotta al terrorismo.
Se infatti gli studi sulla radicalizzazione hanno prodotto, da una parte, una serie di strumenti discutibili per monitorare e valutare il grado di involvement dei soggetti a rischio (ad esempio nelle prigioni); dall'altra, hanno prodotto la consapevolezza che la risposta securitaria da sola sia insufficiente ad affrontare il fenomeno, ammettendo che un eccesso, per non dire abuso, di uso della forza sia controproducente: fatto sul quelle Horgan sicuramente converebbe.
In altri termini, se un esito degli studi sulla radicalizzazione sono stati strumenti di Risk Assessment indirizzati esclusivamente ai soggetti a rischio di terrorismo di matrice jihadista, sulla cui efficacia  è lecito dubitare; le politiche di CVE si sono rivolte, nel maggior parte dei casi e dei paesi, a tutti gli estremismi violenti, cioè di ogni matrice, con un approccio multi-agenzia che investe anche soggetti pubblici e privati esterni al mondo della sicurezza, per intervenire a livello locale prima che i reati vengano commessi. Politiche e programmi, che almeno nei migliori dei casi, hanno un portato politico che spesso sfugge, ma che Horgan credo potrebbe apprezzare, rappresentato dal fatto che si affrontino i conflitti politici apertamente, prima che intervengano cattivi maestri, reclutatori e quanti altri alimentano la deriva violenta di una causa.

mercoledì 12 luglio 2017

Lotta al terrorismo e prevenzione della radicalizzazione: vantaggi e debolezze italiane

Che cosa sta facendo il nostro Paese in tema di prevenzione del terrorismo e della radicalizzazione violenta.
Intervista all'emittente 7Gold - Emilia Romagna del 4 luglio 2017.

martedì 11 luglio 2017

Charlie e gli 11.0000. Ovvero Storytelling Vs Ricerca


Una singola storia, ad esempio quella del piccolo Charlie che sta attirando l'attenzione e schierando fiananco i leader mondiali, appassiona assai più dei numeri; ad esempio 11.000, il numero dei bambini siriani uccisi dal regime di Assad solo dall'inizio del conflitto alla fine del 2013 (Oxford Reseach Group). 
Una storia di cui sappiamo i nomi, i ruoli dei personaggi con i loro desideri e sofferenze, è una notizia sulla quale discutere e accalorarsi. I numeri freddi di una strage che introduce una nuova fattispecie di terrorismo di Stato in quanto mira a piegare la popolazione colpendo intenzionalmente i bambini, è un fatto che non accalora nessuno, salvo i diretti interessati. 
Scrivo questo non per sterile moralismo, ma per far notare come, di fronte ai fatti che ci presenta il mondo, siamo assai più attratti e coinvolti dello storytelling propinato dai media che dai dati empirici, propinati dalla ricerca. 
Questa dinamica, ben nota alle scienze cognitive, per cui siamo "predisposti" assai più al linguaggio delle storie che a quello dei numeri, ha importanti riflessi nella nostra selezione dei fatti, nella loro interpretazione/percezione e, in ultima analisi, sulle scelte politiche che ciascuno di noi poi compie.

p.s. lo stesso caso denota bene la distonia tra sentimento e scienza: il piccolo è ormai una cavia preda di egoismi e protagonismi estremi.

giovedì 6 luglio 2017

Tackling polarisation at the local level in Turin

In the frame of the workshop of the Eu project RASMORAD, Raising Awareness and Staff MObility on RADicalisation in Prison and Probation services, leaded by the Italian Ministry of Justice, on last 5 July 2017 in Rome, I shared the several experiences in preventing radicalisation in the city of Turin with the governor and prison police chief officer from the prison institution in Turin and the representatives of U.C.O.I.I.


sabato 1 luglio 2017

Formazione alla polizia municipale di Bologna

Tra resilienza e sicurezza delle comunità, il ruolo chiave delle polizia di prossimità nella prevenzione della radicalizzazione violenta. Il progetto europeo LIAISE2 di EFUS a Bologna.

  


 Documento finale del progetto: "Autorità locali contro l'estremismo violento"

martedì 13 giugno 2017

Prevenzione locale della radicalizzazione a Torino

A distanza di due anni dalla precedente audizione alla Commissione legalità della Consiglio comunale di Torino, riprende il percorso del Tavolo di lavoro sulla prevenzione della radicalizzazione violenta.
Da allora, oltre all'attività didattica del corso "Islam, radici, fondamenti e radicalizzazioni violente", nato in seno a quel Tavolo di lavoro, altre iniziative sono sorte in città: tutte quelle presentate al convegno "Verso un approccio reglionale alla prevenzione della radicalizzazione", il 10 aprile scorso.





domenica 11 giugno 2017

Psicologia dell'emergenza e resilienza, gli assenti di Piazza San Carlo e del terrore

Quanto si è visto in Piazza San Carlo non è diverso dalla fuga precipitosa di un branco di gazzelle o l'alzarsi in volo improvviso di uno stormo di uccelli a seguito di un pericolo vero o percepito tale.
Le impressionanti immagini che osserviamo dall'alto delle persone in fuga è la presa diretta dell'attivazione, in poche frazioni di secondi, del sistema nervoso simpatico di migliaia di persone che prende il comando emotivo e fisico dei loro corpi aumentandone il battito cardiaco, la pressione sanguigna, la disponibilità di glucosio per i muscoli che devono far scattare la fuga.


Contemporaneamente ogni facoltà superiore, razionale, viene inibita; quindi in quei pochi secondi migliaia di corpi 'pensano automaticamente' solo in termini 'mors tua, vita mea'. Da qui la possibilità di travolgere e calpestare senza pietà chiunque: unico pilota, la paura cieca.
Al di là delle polemiche sull'organizzazione, quanto colpisce è il fatto che l'enorme numero di feriti sia contabilizzato e comunicato dai media e dalla politica in termini essenzialmente sanitari, ma non in termini psicologici, cioè di trauma.

Se la coincidenza temporale con l'attentato del Tower Bridge a Londra ha fatto sprecare molte parole su paralleli insensati con il terrorismo, come causa del panico sviluppatosi a Torino; quanto invece accomuna i due fenomeni è sul piano delle conseguenze traumatiche di chi si è trovato coinvolto in quei fatti distinti e distanti.
Negli individui esposti a eventi terrorizzanti, infatti, la paura può restare profondamente impressa nei meandri della psiche per molto tempo con disturbi che, un secolo fa, dopo la Prima Guerra mondiale, venivano definiti da "scemo di guerra", e che, dopo la guerra del Viet-Nam, negli anni '70 la ricerca clinica sui reduci ha definito "disturbo post-traumatico da stress", o DPTS.
L'elaborazione dei fatti violenti vissuti, quando si è rischiato di morire o di dare la morte ad altri, e per i familiari di chi è morto, è un processo complesso che richiede, in alcuni casi, non meno cure delle ferite fisiche.
Queste cure, come ha giustamente sottolineato l'unica voce che si è sentita in questi giorni, l'amico Luciano Peirone, curatore del libro "La vita ai tempi del terrorismo" (qui scaricabile), sono essenzialmente due: la psicoterapia e la resilienza. La prima è condotta dagli psicologi dell'emergenza, la seconda dalla capacità di reagire alimentando la coesione sociale delle comunità da parte delle loro classi dirigenti.

Di questo non c'è ombra di dibattito, né tanto meno di servizi e politiche che si prendano in carico del trauma di Piazza San Carlo: la prima, la psicoterapia, è lasciata al mondo del volontariato, la seconda, la resilienza, non è in agenda di nessun soggetto pubblico, politico o civile.

Questo a Torino in Italia…

Il trauma specifico che si innesta con il fenomeno terroristico è stato oggetto di un seminario europeo che si è tenuto a Madrid l'8 e 9 giugno: "Providing Integral and Specialised Assistance to Victims of Terrorism .
Tale trauma ha una valenza particolare, che lo rende diverso dai fatti di Piazza San Carlo o da una catastrofe naturale, perché ha un portato nella dimensione politica collettiva che scaturisce dalla natura politica della violenza subita. La specificità del trauma da terrorismo è che colpisce e mina in profondità il contratto sociale; non investe solo le vittime dirette ed indirette, ma tutta la società civile e politica, per usare le parole spese a Madrid dall'amico Dominique Szepielak, psicologo dell'Associazione francese delle vittime del terrorismo.


Il punto è che in Italia, né per le vittime dei traumi di fatti come quello Piazza San Carlo, né per quelle del terrorismo, ci sono politiche pubbliche d'intervento: psicologia dell'emergenza e resilienza  delle comunità sono lasciate alla buona volontà dei singoli… l'ennesimo vergognoso ritardo italiano.

lunedì 5 giugno 2017

Marshall McLuhan, il terrorismo come teatro


"Era il febbraio 1978 - l’Italia era in piena emergenza terrorismo e poche settimane dopo avrebbe vissuto il rapimento e la barbara uccisione (dopo 55 giorni di prigionia) di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse - quando il sociologo canadese ed esperto di comunicazione Marshall McLuhan rilasciò un’intervista a Il Tempo in cui invitava a far calare il buio totale sugli uomini del Terrore."
Così il Tempo ripresenta l'intervista sulla quale si può ben riflettere ancora oggi.

McLuhan, partendo dalla considerazione che lo scopo primario delle azioni terroristiche è raggiungere la massima pubblicità attraverso i media per intimorire ed educare, illustrava con lucidità che «il terrorismo è una forma di teatro: dando coverage (ndr, copertura mediatica) al terrorista gli si offre un palcoscenico e un copione».


Sono stati fatti tentativi di imporre il silenzio stampa, sia negli Anni di piombo che successivamente, e ancora oggi, nei casi di rapimento.
Utilizzare il silenzio in una società aperta non è però possibile, e neppure eticamente accettabile. Nell'epoca dei social media poi risulta semplicemente impossibile censurare alcunché, almeno fino a quando alla Rete sia garantita una certa neutralità.
Certamente tg che 24 ore su 24 replicano le immagini di una strage mettendo intorno qualche analisi stringata, quando non superficiale, dai tempi  televisivi o dagli spazi di testo dei social, è un evidente vantaggio per gli autori dell'attentato.

L'osservazione successiva - "la polizia per prima avrebbe il dovere di mettere il blackout su tutte quelle notizie e informazioni che possono comunque aiutare, direttamente o indirettamente, i nemici dello Stato" - è stata da allora praticata dalle forze di sicurezza, ma con gravi e frequenti "buchi". Talvolta clamorosi come recentemente nel dopo-Manchester, con tanto di incidente diplomatico UK-USA per la fuga di notizie passate dagli inglesi agli americani.
Dopo ogni attentato abbiamo la cantilena politica della mancata prevenzione per carenza di collaborazione tra i servizi di intelligence dei vari paesi, ma non è difficile comprendere che le diverse nazioni, coi loro servizi, hanno interessi talvolta diversi e divergenti, anche quando 'cugine' e alleate, e anche di fronte alle sfida dei terrorismi.

Più interessante il consiglio ulteriore di McLuhan che segue: "Dico di più: visto lo sviluppo che sta prendendo il terrorismo politico, proprio grazie all’uso spregiudicato e intelligente che sa fare dei media, sarebbe il caso che i governanti ricorressero ad una sorta di contro informazione, volutamente vaga e in certi casi addirittura falsa per sconvolgere i piani dei terroristi."
Tale consiglio fu forse preso in considerazione poche settimane dopo la sua uscita nell'intervista su Il Tempo: il falso comunicato n. 7 della Brigate Rosse che annuncia l'avvenuta esecuzione di Moro, il cui corpo si sarebbe trovato nel lago della Duchessa. Secondo alcuni un esperimento di psicologia sociale per testare l'effetto sull'opinione pubblica dell'annuncio della morte dello statista democristiano. 
Certamente è stato preso alla lettera dopo il più clamoroso attentato di questo secolo: nella "War on Terror" successiva all'11 settembre 2001, con le famose bugie di Bush e Blair sulle armi di distruzione di massa nel'Irak di Saddam Hussein.
In questo secondo caso sappiamo che non hanno sconvolto affatto i piani dei terrorismi, anzi: senza la preventiva destabilizzazione dell'Irak sarebbe stato probabilmente impossibile vedere l'insorgere dell'IS, o Daesh, nelle forme e dimensioni che conosciamo.

Tutto ciò, in vero, non è responsabilità di McLuhan: il consiglio era in fondo ingenuo. La dinamica della contro-informazione non era proprio una novità degli anni '70 del '900. Il rapporto tra le propagande nelle guerre, come nei conflitti terrorismi/Stati, è assai più complesso e antico.

L'intuizione però forse più feconda del pensatore canadese è la metafora teatrale del rapporto tra terrorismo e media. Già dagli anni '80 gli studiosi iniziarono giustamente  a parlare di rapporto simbiotico tra i due termini.


Quanto però vorrei qui sottolineare è l'utilità di estendere, la metafora della "forma di teatro", dal concetto di terrorismo a tutti i conflitti. Nel senso che, da un certo punto di vista, tutti i poteri, contro-poteri inclusi, sono rappresentazioni. Rappresentazioni teatrali dotate di narrative da propagare/propagandare, con i mezzi di comunicazione a disposizione, per convincere noi a giocare il nostro ruolo "in commedia", che diventa "in tragedia" quando il conflitto è violento.
Interesse dei promotori dei conflitti è attirare la maggior parte degli attori nel proprio campo, spingerci a schierarsi in modo manicheo. Ci sono ruoli da coprire a disposizione per tutti, su entrambi i fronti: dal militante da tastiera a quello con le armi.
Il fattore chiave è proprio la comunicazione: intorno al terrorismo, e ai vari conflitti, avviene sempre una guerra di parole, uno scontro di narrative con le loro verità e bugie.
Quello che conta allora, in ultima analisi, è quali voci scegliamo di ascoltare per farci la nostra idea di quello che ci succede interno e provare, se  è il caso, a cambiare il copione e il ruolo propinatoci.

venerdì 2 giugno 2017

Lorenzo Vidino, il lavoro della commissione sulla radicalizzazione

Lorenzo Vidino, il lavoro della commissione sulla radicalizzazione from Kore on Vimeo.
La Commissione di studio sul fenomeno della radicalizzazione e dell*estremismo jihadista.
Intervento di Lorenzo Vidino, George Washington University, coordinatore della Commissione, al convegno "Verso un approccio regionale alla prevenzione della radicalizzazione", Torino 10 aprile 2017.
Presentazione del convegno: http://bit.ly/2s1jlqD
Agenda dai lavori: http://bit.ly/2rMPUZw

lunedì 29 maggio 2017

Sconfiggere il terrorismo con una canzone d'amore.


La compagnia telefonica Zain e la pubblicità positiva: un kamikaze pronto a farsi esplodere desiste, convinto dalle vittime del terrorismo. 
Qui la versione sottotitolata  in italiano sul sito del Corriere della Sera.

Analoga idea è stata realizzata nel 2015 dagli studenti della scuola torinese Russell/Moro nell'ambito del progetto "Memoria futura", quando scrissero e cantarono la canzone "Coraggio": la lettera a una vittima del terrorismo.

lunedì 22 maggio 2017

Caso Hosni: quando è l'accademia ad alimentare l'allarmismo

Il prof. Marco Lombardi, ha scritto un articolo per il sito del centro studi ITSTIME che dirige (http://www.itstime.it), a seguito dell'aggressione di Hosni alla stazione Centrale di Milano la scorsa settimana.

Nonostante l'amicizia con il professore e la stima verso le sue osservazioni più volte lette e ascoltate, non posso esimermi da un commento in termini tanto franchi quanto critici di quel testo.

Fin dalla premesse viene stravolto il concetto di terrorismo: se, infatti, fosse vero che "la prospettiva che tutti dobbiamo assumere è che un atto è di terrorismo per gli effetti che genera non per le ragioni che lo motivano", dovremmo considerare il più grave atto di terrorismo avvenuto in Italia negli ultimi anni quella bomba davanti alla scuola di Brindisi il 19 maggio 2012 che, oltre alla morte di una studentessa e al ferimento di 10 persone, creò un altissimo allarme sociale.
Gli effetti di un atto criminale li determinano in gran parte giornali e televisioni: da decenni è noto il rapporto simbiotico che unisce terrorismo e media. Sostenere che "indipendentemente dalle motivazioni di chi lo compie: se genera paura diffusa, e allarme, è terrorismo", cioè giudicare un atto dagli effetti è un prospettiva assai pericolosa (si veda anche la polemica negli USA dove i mass killing vengono paventati come terrorismo in base alla religione di chi li compie). Il terrorismo è sempre e solo motivato politicamente. Confonderlo con chi usa tecniche terroristiche per altri scopi (come nei casi di mafia o di soggetti psichiatrici…) è da rigettare in primis come dato scientifico e poi per l'inutile e dannoso allarmismo che crea.

Allarmismo che nell'articolo in oggetto è poi alimentato dall'insinuare il sospetto che le autorità, in particolare il Questore di Milano, abbiano pubblicamente sottostimato la gravità del caso Hosmi.
Il prof. Lombardi sa benissimo quali siano i numeri esigui della radicalizzazione violenta di matrice jihadista nel nostro paese. E' veramente curioso che denunci un atteggiamento cospiratorio delle istituzioni; per dimostrarne l'inconsistenza basta confrontarlo con gli ultimi casi di bombe di matrice anarco-insurrezionalistia, sui quali le cronache e le dichiarazioni istituzionali hanno dedicano lo spazio minimo del giorno per sparire in quelli successivi.
Se si tratta di una "strategia di contro-narrazione" istituzionale, come sostenuto nell'articolo, direi che è assolutamente corretta. Non è infatti contro-propaganda, ma consapevolezza dei rischi limitati: che di tratti di Hosni, dell'area informale anarchica o, aggiungiamo, di Casa Pound e altri centri sociali.

In ultimo, è da sottolineare l'uso, da parte del Diretto di ITSTIME, se non grave, assai leggero, di una nozione che non si sentiva da molto tempo, almeno nella letteratura scientifica.  Mi riferisco all'espressioni "non nascondeva la sua natura violenta" in relazione alla propaganda pro ISIS che Hosni postava su Facebook. Da 15 anni parliamo di processo di radicalizzazione violenta dei soggetti in via di reclutamento o reclutati. Risulata abbastanza strano un linguaggio che torna  ad una visione antropologica di soggetti con "natura violenta": Hosni ci è nato nato terrorista? Sono i suoi geni italo-tunisini? In quali discipline si parla ancora di soggetti con "natura violenta"?

Onestamente il caso Hosni, per quanto ne sappiamo fino ad oggi, dimostra solo una cosa, al netto delle speculazioni politiche: da una parte, un buon controllo del territorio e, dall'altra, una carenza di servizi sociali. Cioè, ancora una volta, buona sicurezza ma scarsa prevenzione della radicalizzazione violenza.

sabato 20 maggio 2017

martedì 16 maggio 2017

Gli studenti e i temi della radicalizzazione violenta e del terrorismo

Evento finale delle scuole di Torino: Narrazioni alternative su Islam, migrazioni e terrorismi
Da CRONACHE DA PALAZZO CISTERNA CRONACHE Nº 17 DEL 12 MAGGIO 2017:  http://www.cittametropolitana.torino.it/ufstampa/cronache/
Ulteriori informazione sul sito dell'Associazione Leon Battista Alberti
  




lunedì 15 maggio 2017

The rise of polarisation and radicalisation in Europe

The rise of polarisation and radicalisation in Europe. Tackling all forms of violent extremism at the local level. 
Agenda of the 4th LIAISE 2 European seminar: 
Rimini (Italy), Friday, 19 May 2017

 




sabato 13 maggio 2017

I nodi delle legge sulla radicalizzazione in approvazione alla Camera

Da Lettera43 del 9 maggio 2017: interviste al sottoscritto, Andrea Giorgis e Stefano Dambruoso sulla Proposta di Legge “Misure per la prevenzione della radicalizzazione e dell'estremismo jihadista”,


venerdì 12 maggio 2017

Presentazione dei video degli studenti su Islam, migrazioni e terrorismi

 

Un momento della premizione degli studenti all'aula magna dell'Avogadro a Torino nella manifestazione "Narrazioni alternative su Islam, migrazioni e terrorismi".


Qui uno dei video realizzati e presentati:
Messaggio degli studenti dalla classe 5^A del Liceo Berti di Torino a.s. 2016/2017, nel quadro del corso:

"ISLAM: RADICI, FONDAMENTI E RADICALIZZAZIONI VIOLENTE. Le parole e le immagini per dirlo"
Promosso dal'Associazione Leon Battista Alberti con la CO.RE.IS. Comunità Religiosa Islamica, l'ASAI Associazione di Animazione Interculturale, la collaborazione del CE.SE.DI. e il sostegno della Compagnia di San Paolo.

English translation: "Violence is the last refuge of the incapable."

Ulteriori informazioni: kore.it/Associazioni/islam.html