lunedì 23 dicembre 2019

Patriottismo senza sovranismo o populismo: l'esempio danese


Un elogio patriottico di quella che Amartya Sen definisce «l'inaggirabile natura plurale delle nostre identità» (Identità e violenza, 2006)

- Italian version of the Danish clip "All that we share" by TV 2 Danmark

mercoledì 18 dicembre 2019

Il mito dell'innocenza: breve omaggio ad Anna Bravo



Mentre infuria la polemica tra Benedetta Tobagi e Adriano Sofri, in questi giorni successivi alle commemorazioni pubbliche del 50° anniversario della strage di Piazza Fontana a Milano, preme qui ricordare la scomparsa, pochi giorni prima del 12 dicembre, della storica torinese Anna Bravo, che nel saggio "Noi e la violenza. Trent’anni per pensarci" (2004), qui reperibile, aveva a suo tempo alimentato altrettanta polemica, affrontando il mito che l'estrema sinistra ha adottato per giustificare l'utilizzo delle violenza a seguito di quella strage. Riporto due frasi della mia doppia recenzione, Il rapporto della sinistra con la violenza dagli anni di piombo a oggi : al suo testo e al libro di Luigi Manconi (2008):
« La tesi giustificazionista della scelta violenta della "fine dell’innocenza" dopo la strage di Piazza Fontana, con la morte di Pinelli e l'accusa agli anarchici, scrive Anna Bravo che "è una verità parziale". La teoria dell'innocenza di chi reagisce violentemente all'ingiustizia della stage "di Stato", quella del “tutti colpevoli” per l'omicidio Calabresi, che può facilmente rovesciarsi in “nessun colpevole”, sono "costruzione in cui l’idealizzazione nostalgica e il desiderio di preservare un’autoimmagine positiva sono tenuti insieme da qualche vuoto di memoria."
Posizione analoga a quella di Luigi Manconi che della Stage di Piazza Fontana parla in termini di fattore di "accelerazione", di "precipitazione" verso l'uso della violenza: un "mito delle origini" quello dell'innocenza che nasconde in vero un'ovvietà: che negli anni Settanta sia mancato "Un pensiero originale sulla questione-violenza", scrive Manconi citando la Bravo ».

Un "pensiero originale" sulla violenza che ha poi provveduto lei a sviluppare aprendo la strada, sul solco di Primo Levi, a una contro-storia dei conflitti del XX secolo, dove è andata ad individuarvi le azioni di donne e uomini che hanno "risparmiato sangue": La conta dei salvati (2013). Una contro-storia di anti-eroi, resistenti alla deumanizzazione del nemico insita nei conflitti, che hanno provato in molte occasione a risparmiare il sacrificio delle vittime. Una prospettiva, la ricerca di Anna Bravo, che risulta un vero omaggio alle stesse vittime di Piazza Fontana e all'anarchico Pinelli.

giovedì 12 dicembre 2019

Commemorazione Civile vs Retorica di Stato

Una commemorazione di un attentato, con un'intera scuola sequestrata e 10 persone messe al muro e gambizzate, priva di ogni retorica in quanto nutrita della sola capacità resiliente della società civile. Gli studenti odierni raccontano quanto è successo alla SAA di Torino 40 anni fa, mentre i testimoni dei fatti di allora, le loro reazioni e i loro sentimenti. Nessuna istituzione pubblica o apparato repressivo interviene a eroicizzare lo Stato ed esorcizzare l'anti-Stato. Solo flusso di fatti, riflessioni ed emozioni, brevi e coincisi, aneddoti comici inclusi, infine sciolto in un convivium intergenerazionale.
"Un format commemorativo" unico, frutto del genio di Donatella Pacces.

venerdì 6 dicembre 2019

40 anni dopo l'attentato alla SAA di Torino

A 40 anni di distanza dall'attacco terroristico di Prima Linea dell'11 novembre 1979, gli studenti della Scuola di Amministrazione Azienda di Torino rileggono i contesti e i fatti con i testimoni dell'epoca per riflettere sul presente.

40 anni dall'attacco terroristico alla Scuola di Amministrazione Azienda di Torino



venerdì 29 novembre 2019

Convegno a Torino dell'Osservatorio sul radicalismo e il contrasto al terrorismo  (REACT),
2 dicembre 2019 ore 10.00 – 12.30, Torino Palazzo Lascaris nel quale interverrò su "Il ruolo della società civile e delle istituzioni locali nella prevenzione della radicalizzazione: tra safety e resilienza"


martedì 19 novembre 2019

Dialoghi di pace: dalla nonviolenza alla sostenibilità.

La prossima settimana a Perugia porterò a questi Dialoghi per la Pace, il tema della sostenibilità dell’azione non-violenta nel movimento che si preoccupa della sostenibilità ecologica dell’agire umano sulla terra. È possibile prevenire, in movimenti come #FridaysForFuture o #ExtintionRibellion, l'insorgenza di un nuovo ecoterrorismo?


Programma Convegno Internazionale - Dialoghi Di Pace by Luca Guglielminetti on Scribd

giovedì 7 novembre 2019

Osservazioni su Terrorismo e Geopolitica


Intervista per Notizie Geopolitiche al Direttore della Nato Defense College Foundation Alessandro Politi durante la conferenza NATO Targeting the De-Materialised "Caliphate" 6/12/2018

venerdì 18 ottobre 2019

Un esercito di scimmie europee


Cinque anni fa un articolo pubblicato da Nature* ha posto fine ad una decennale querelle sugli scimpanzé, sancendo che aveva ragione l’antropologa Jan Goodall la quale, alla fine degli anni sessanta, scoprì che i primati più vicini a noi sono una specie intrinsecamente violenta, capaci di portare avanti guerre e genocidi contro i membri della loro stessa specie.
Un violenza interna al gruppo, ma soprattutto tra gruppi in cui la guerra si configura come la migliore strategia per gli individui e per i gruppi per assicurarsi la propria proliferazione, secondo una logica piuttosto banale: se lo scontro si prefigura tra gruppi di pari dimensioni, ovvero forza, la violenza viene solo minacciata e mimata, se invece sono asimmetrici il più grande non esita ad esercitarla sul minore.
Oggi non è diverso.
Cinque anni fa il mondo intero temeva che un piccolo gruppo di scimmie jihadiste potesse crearsi la sua riserva di raccolta frutta, che oggi chiamo Stato, in quell'area delle mezzaluna fertile che i loro progenitori utilizzavano per uscire dall'Africa e raggiungere Asia ed Europa.
Gli interventi dei gruppi di scimmie assai potenti, che una volta chiamavamo imperi, ha impedito loro di realizzare il loro sogno.
Oggi un altro piccolo gruppo di scimmie curde che sperava di costruirsi la sua piccola riserva nel Rojava e che si erano prestati ad uno degli imperi per la guerra contro il gruppo jihadista, si trova travolto dal potente gruppo turco (probabilmente aspirante impero) e mollati dal precedente alleato.
Cinque anni fa le scimmie d'Europa hanno avuto paura di essere invase da milioni di scimmie che scappavano dalla guerra e hanno rifornito di frutta il potente gruppo turco affinché se le tenesse lui.
Oggi le scimmie d'Europa piangono per la scimmie del Rojava e inveiscono contro la nuova guerra voluta dal capo di quelle turche, temendo altresì che il primo gruppo di scimmie jihadiste rialzi la testa.
Morale.
Le scimmie di tutto il mondo possono ben vedere come quelle europee siano false e ipocrite. Eppure basterebbe che si costruissero un loro esercito per diventare un gruppo di scimmie tra le più potenti al mondo.
Peccato che costruire imperi non sia giudicato dalla scimmie europee una gran virtù…
§§

 

About an Army of European Monkeys 

(editorial in the form of a fable)

Five years ago, an article published by Nature* put an end to a a decades of disputes about chimpanzees, stating that anthropologist Jan Goodall was right. At the end of the 1960s, she discovered that the primates closest to us are an intrinsically violent species, capable of waging wars and genocide against members of their own species.
An internal violence within the group, but above all between groups in which the war is configured as the best strategy for individuals and groups to ensure their proliferation, according to a rather banal logic: if the clash is foreshadowed between groups of equal size, or force, the violence is only threatened and mimicked, if instead they are asymmetrical the largest does not hesitate to exercise it on the smallest.

Today, it is no different.

Five years ago, the whole world feared that a small group of jihadist monkeys could create their own fruit-picking reserve, which today we call State, in that area of the Fertile Crescent that all our ancestors used to get out of Africa and reach Asia and Europe.
The interventions of very powerful groups of monkeys, which we once called empires, prevented them from realising their dream.

Today another small group of Kurdish monkeys who hoped to build their own small reserve in the Rojava and who had lent themselves to one of the empires for the war against the Jihadist group, find themselves overwhelmed by the powerful Turkish group (probably an aspiring empire) and left by the previous ally.

Five years ago, the monkeys of Europe were afraid of being invaded by millions of monkeys fleeing the war and supplied the powerful Turkish group with fruit so that they could keep and sustain them.

Today, the monkeys of Europe weep for the monkeys of the Rojava and rage against the new war wanted by the leader of the Turkish ones, also fearing that the first group of jihadist monkeys will raise its head.

Moral.

Monkeys all over the world can clearly see how European monkeys are false and hypocritical. Yet it would be enough for them to build their own army to become one of the most powerful groups of monkeys in the world.
It's a pity that building empires is not judged by European monkeys to be a great virtue...
----

domenica 13 ottobre 2019

Turchia e Curdi: dimenticare oltre 30 anni di attentati del PKK

Pensare che in un conflitto tutto il buono sia da una parte sola, è non solo di un'ingenuità infantile, ma il modo migliore per alimentare il background propagandistico e quindi il conflitto stesso.

Vedi anche le osservazioni di Alessandro Orsini: Le ragioni della Turchia che l'Europa non vede.

venerdì 27 settembre 2019

Registrazione della Conferenza finale del progetto europeo FAIR

Registrazione della Conferenza finale del progetto europeo FAIR - Fighting Against Inmates’ Radicalisation, Roma, 11 Settembre 2019.

Sono intervenuti: Patrizio Lamonaca (direttore della Fondazione Nuovo Villaggio del Fanciullo), Anna Rossomando (vicepresidente del Senato della Repubblica, Partito Democratico), Luca Guglielminetti (project Manager and Scientific Coordinator of FAIR project), Debora Bornazzini, Valeria Collina, Vincenzo Spagnolo (giornalista di Avvenire), Dorin Muresan (board member, International Correction and Prison Association), Trevor Calafato (Senior Lecturer, Department of Criminology, University of Malta), Stefano Dambruoso (sostituto procuratore presso la Procura di Bologna), Andrea Manciulli (Presidente di “Europa Atantica”), Carlo Alberto Romano (criminologo, docente presso il Dipartimento di Giurisprudenza, Università di Brescia), Carlos Fernandez (member of the RAN Prison & Probation working group, Spain), Yassine Lafram (presidente dell'Unione delle Comunità Islamiche d’Italia), Yasmine Refaat (project manager "Fighting Against Inmates’ Radicalization"), Mauro Palma (garante nazionale dei Diritti delle persone detenute o private della libertà personale), Claudio Bertolotti (analista strategico Italian team for security, terroristic issues & managing emergencies).



Stato di diritto e prevenzione dell'estremismo violento: tra politiche e pratiche nelle prigioni europee e i sistemi di prova

mercoledì 25 settembre 2019

Laboratorio per gli studenti su islam, geopolitica e terrorismi

Dal catalogo Ce.Se.Di. per la scuola 2019-2020, offerta di attività per gli studenti dell'area metropolitana di Torino: la scheda del progetto didattico "ISLAM: RADICI, FONDAMENTI E RADICALIZZAZIONI VIOLENTE Le parole e le immagini per dirlo" 

sabato 21 settembre 2019

Typologies of Terrorism and Political Violence

Violent politics – the 3 levels in the spectrum of political action, by A. P.  Schmid (2011)
The Spectrum of Political Action
The Spectrum of Political Action

Adapted from A. P. Schmid, Political Terrorism, (Amsterdam: North-Holland, 1988), pp. 58-59; this updated version and the explanatory text is taken from S.V. Marsden and A. P. Schmid, ‘Typologies of Terrorism and Political Violence’, in A. P. Schmid (Ed.) (2011)

sabato 14 settembre 2019

Corso di formazione per Dirigenti scolastici e Docenti sugli estremismi violenti

Calendario del corso di formazione per Dirigenti scolastici e docenti “Educazione alle differenze nell’ottica del contrasto ad ogni forma di estremismo violento" nel quadro della Convenzione tra Regione Lombardia e Ufficio Scolastico Regionale per la Lombardia. Settembre-Novembre 2019


Corso di formazione per Dir... by Luca Guglielminetti on Scribd

giovedì 12 settembre 2019

Dialogo e Diritti per prevenire la radicalizzazione in carcere

Roma, sala Zuccari Palazzo Giustiniani 11 Settembre 2019 - Conferenza finale del progetto europeo FAIR

Articolo di  Vincenzo R. Spagnolo sus Avvenire dell'11 Settembre 2019 sulla Conferenza finale del progetto europeo FAIR - Fighting Against Inmates’ Radicalisation


L'abbraccio fra un giovanissimo detenuto e una donna venuta fuori dal carcere a raccontare la tragica storia di suo figlio. E poi le parole del ragazzo: "Grazie. Avrei voluto sentire cose così prima di finire qui dentro".
L'incontro, nell'aprile scorso, fra i giovani reclusi del penitenziario minorile Ferrante Aporti di Torino e Valeria Collina, madre italiana convertita all'Islam che ha visto suo figlio imboccare la strada del terrorismo, è stato uno dei momenti più toccanti del progetto europeo "Fair" (acronimo di Fighting against inmates' radicalization) per prevenire la radicalizzazione in carcere.
La signora Collina ha parlato della tragica vicenda del figlio 22enne Youssef Zaghba, che il 3 giugno 2017 con altri due estremisti ha preso parte a un attentato sul London Bridge, che ha causato 11 vittime, fra cui i tre attentatori.
Con coraggio e franchezza, mamma Valeria ha condiviso uno spaccato esistenziale in cui elementi di vita familiare, contesto religioso, problemi di incomprensione, ma anche sollecitazioni giunte dal web e dallo scenario geopolitico, hanno concorso a ciò che poi è avvenuto.
La sua narrazione è un tassello del mosaico di incontri e laboratori realizzato dal progetto Fair. Costato circa 900mila euro (il 90% da fondi Ue), è tra quelli finanziati dalla Commissione Europea in materia di radicalizzazione e terrorismo.
È partito nel 2017 e si concluderà fra un mese. Ed è stato portato avanti dalla Fondazione Nuovo Villaggio del Fanciullo di Ravenna, ente capofila di una decina di partner di Finlandia, Lituania, Ungheria, Romania, Slovenia, Olanda, Portogallo e Malta.
I risultati del progetto verranno analizzati oggi in Senato, in un convegno aperto dalla vicepresidente dell'assemblea di Palazzo Madama, Anna Rossomando, e dal capo del Dap Francesco Basentini e al quale prenderanno parte criminologi, magistrati ed esperti europei. In Italia, su circa 60mila detenuti in 190 istituti, circa 7mila (fra cui 44 "convertitisi" in carcere) sarebbero praticanti di fede islamica.
I condannati o imputati per reati di terrorismo di matrice jihadista sono 66 (dati de12018), inseriti in un circuito di "Alta Sicurezza": gli uomini in apposite sezioni dei penitenziari di Nuoro, Sassari e Rossano (Cosenza), due donne a L'Aquila. Oltre a loro, si contano 478 soggetti monitorati per rischio di radicalizzazione jihadista: 233a livello "alto"; 103 "medio" e 142 a livello "basso". Il progetto ha rivolto la propria formazione anche alle guide spirituali, con una sessione per i cappellani del Piemonte e un'altra per 50 imam (in collaborazione con l'Ucoii) presso il Centro islamico di Brescia.
A loro si è rivolto Omar Sharif Mulbocus, ex estremista inglese negli anni 90, oggi formatore e testimone di un percorso di deradicalizzazione, che ha offerto strumenti pratici per aprire un dialogo con detenuti "radicalizzati".
E la relazione del progetto Fair - visionata da Avvenire in anteprima - registra un paradosso: l'amministrazione penitenziaria sembra "preferire il proliferare di imam "faida te", cioè autoproclamatisi tali in carcere, piuttosto che seguire le pratiche pilota che hanno introdotto imam formati e stimati dalla propria comunità locale" che conducono "la salat, la preghiera del venerdì, in arabo e in italiano focalizzando i sermoni su perdono, riconciliazione o dialogo interreligioso".
In carcere, il rispetto dei diritti può evitare la "vittimizzazione" che apre la porta ai radicalismi, spiega il coordinatore scientifico Luca Guglielminetti, e il progetto individua "raccomandazioni concrete per l'Italia che oggi presenteremo con l'auspicio che Parlamento e nuovo governo le facciano proprie".
Fra queste, l'adozione di una normativa in materia di prevenzione del radicalismo, che riparta dal disegno di legge presentato da Andrea Manciulli e Stefano Dambruoso (ora pm antiterrorismo a Bologna), che il Parlamento non riuscì a varare alla fine della scorsa legislatura.

mercoledì 4 settembre 2019

STATO DI DIRITTO E PREVENZIONE DELL’ESTREMISMO VIOLENTO IN CARCERE

Versione italiana del rapporto sui principali risultati in Italia del progetto europeo FAIR - Fighting Against Inmates' Radicalisation (2018-2019), che sarà presentato alla Conferenza finale del progetto a Roma l'11 settembre 2019: “The rule of law and the prevention of violent extremism: between policies and practices in European prison and probation  systems

  • See English version here


sabato 31 agosto 2019

L'anti-eroe Antonio Iosa

Antonio Iosa e Luca Guglielminetti alla Casa delle Memoria di Milano il 20 gennaio 2016


"Carissimi tutti, 
questa mattina è venuto a mancare il nostro caro papà, Antonio Iosa, che avete conosciuto per il suo instancabile e straordinario impegno culturale, civile e sociale portato avanti con forza e tenacia fino alla fine da un attività lunga ben 60 anni con la Fondazione Carlo Perini e con l’Associazione Italiana Vittime del Terrorismo. 
Il suo ultimo pensiero è stato quello di salutare e ringraziare tutti Voi per questi anni di amicizia e vicinanza sincera, ricordando strenuamente l’importanza della Memoria e della Legalità da trasmettere in particolare ai Giovani delle scuole. 
Questi erano diventati i cardini di quella che si può definire una vera e propria missione di Antonio “per non dimenticare le vittime del terrorismo e di stragi e per educare i Giovani alla Legalità, alla non violenza, al rispetto della Vita Umana”. 
Un caro saluti da Christian e Davide, i figli, e da Raffaella nostra mamma". 

Così è stata annunciata il 29 agosto 2019 la scomparsa di un'eroe civile col quale ho collaborato per 15 anni all'interno dell’Associazione Italiana Vittime del Terrorismo (Aiviter). In vero un "anti-eroe" delle non-violenza che ha speso la sua vita denuciando lo scandalo dell'assassinio politico. Per comprenderne il valore segnalo questa intervista pubblicata esattamente un anno fa sulla Rivista di Criminologia, Vittimologia e Sicurezza (RCVS), che sono orgoglio di aver curato come suggello di un'amicizia franca e duratura.


sabato 10 agosto 2019

The rule of law and the prevention of violent extremism

INTERNATIONAL CONFERENCE

 “The rule of law and the prevention of violent extremism: 

between policies and practices in European prison and probation  systems” 


11 September 2019 
 In Rome - Italy, Sala Zuccari, Palazzo Giustiniani, via della Dogana Vecchia n. 29 
In the framework of the European project FAIR - Fighting Against Inmates’ Radicalisation : 

sabato 3 agosto 2019

Terrorism: linking the psychology of the survivors to that of the executioners

Terrorismo. Vittime contesti e resilienza


"Luca Guglielminetti proposes some important reflections, developed as a consultant to the Italian Association of Victims of Terrorism (Aiviter), as a member of the board of the Italian Group for the Study of Terrorism (GRIST) and of the Radicalisation Awareness Network (RAN) set up by the European Commission. It is an articulated and innovative look, able to connect different episodes and phenomena, in the long history of terrorism. In particular, he offers tools to connect the psychology of victims and the psychology of terrorists. Fear, shame, a sense of helplessness, a desire for revenge and justice, can be linked together to the point of fuelling the spiral of violence. Only a strong awareness of the profound links that bind the psychology of the survivors to that of the executioners can allow us to break the circuits of violence. The peaceful radicalisation of the victims of terrorism is thus presented as a constructive way of countering the phenomena of violent radicalisation which feeds the ranks of terrorists." 
(From the book introduction by the editor, Fabio Sbattella, 2019) 

- Isbn: 9788893354417
- Publisher: EDUCatt

- Book an ebook available only in Italian https://bit.ly/338VZ2f

giovedì 25 luglio 2019

Ending PVE Work at the Juvenile Prison of Florence


The second PVE laboratory at the juvenile prison in Florence has also been completed. Among the outcomes by the young inmates also a rap song that I hope to be able to spread in the future. Thanks to Valeria Collina, mother of one of the 3 perpetrators at LondonBridge terror attack, and to the facilitators for their lively participation and hard work.

venerdì 12 luglio 2019

Jihadisti, ultras o neonazisti: la rieducazione a Torino

Dopo la condanna del jihadista Halili e le indagini sui neonazi della tifoseria juventina a Torino si coordinano gli attori multi-agenzia per attivare percorsi di deradicalizzazione e uscita dai gruppi estremisti violenti.

Articolo da la Repubblica Torino del 12-7-2019

giovedì 20 giugno 2019

Emotions and feelings behind propaganda




Working on positive/negative emotions and feelings behind propaganda leading to radicalisation with the Azerbaijanis and Algerians students at 'Prevenzione e contrasto alla radicalizzazione, al terrorismo e per le politiche di integrazione e sicurezza internazionale' (MaRTe) Master - Università degli Studi di Bergamo.

giovedì 13 giugno 2019

Seminario a Torino: “Terrorismo. Vittime contesti e resilienza”



Venerdì 21 giugno dalle 14.00 alle 18.00 avrà luogo, nella sala delle Colonne del Comune di Torino (Piazza Palazzo di Città, 1), il seminario “Terrorismo. Vittime contesti e resilienza”, dal titolo della recente pubblicazione della Unità di Ricerca in Psicologia dell’Emergenza della Università Cattolica di Milano.

Il Seminario, che ha avuto il patrocinio della Città di Torino, è organizzato da Psicologi per i Popoli Torino, che fa parte della task-force di Protezione Civile, e costituisce una lezione aperta al pubblico del Corso di Psicologia dell’Emergenza della Scuola di Specializzazione in Psicologia della Salute dell’Università.

Il tema copre trasversalmente diversi settori di impegno ed interesse della Città: la Protezione Civile, chiamata a provvedere a compiti di prevenzione sempre più complessi, il costituendo "Tavolo cittadino multi-agenzia di contrasto e prevenzione all'estremismo violento" e infine la tutela dei diritti umani, tra i quali quelli delle vittime. Torino ha avuto esperienza diretta del dolore causato dal terrorismo, negli "Anni di piombo" e quando, a seguito dell’attentato al Museo del Bardo a Tunisi, la Città dovette far fronte alla tragedia patita da alcuni propri funzionari.

I contenuti del seminario rispecchiano quelli presenti nella Pubblicazione: la guerra psicologica scatenata dal terrorismo e la psicologia della pace. Il diffondersi occulto del timore del terrorismo, tanto da essere ipotizzato alla base della reazione della folla a Piazza San Carlo. L’organizzazione degli aiuti psicologici a Tunisi e il dramma delle vittime del Bardo. Il lavoro di riflessione che la Città promuove sul fenomeno della radicalizzazione violenta sul solco delle politiche e pratiche europee.

Alla iniziativa hanno lavorato anche le Associazioni ESPRÌ (un rete di psicologi e operatori dell’emergenza) e Leon Battista Alberti attiva nella prevenzione nelle scuole.

Interverrà all'incontro l'ingegner Claudio Lamberti, Dirigente dell'Area Protezione Civile del Comune di Torino.

Modererà l’incontro Maria Bottiglieri, dell’Ufficio Cooperazione Internazionale e Pace che ha nel tempo curato le relazioni con la Tunisia.


martedì 23 aprile 2019

venerdì 12 aprile 2019

TERRORISMO. Vittime contesti e resilenza

Copertina della monografia dei Quaderni di Psicologia dell’emergenza editi da EDUCatt

TERRORISMO. Vittime contesti e resilienza 

(di prossima pubblicazione) 

 

INDICE
  • PSICOLOGIA DEL TERRORISMO: ACCANTO AI SOPRAVVISSUTI
  • TERRORISMO, GUERRA PSICOLOGICA E PSICOLOGIA PER LA PACE (Fabio Sbattella) 
  • LA RADICALIZZAZIONE PACIFICA DELLE VITTIME DEL TERRORISMO (Luca Guglielminetti) 
  • A CONTATTO CON LE VITTIME (Maria Teresa Fenoglio)
  • L’ATTENTATO TERRORISTICO AL MUSEO DEL BARDO A TUNISI, SOSTEGNO ALLE VITTIME E RESILIENZA COMUNITARIA (Maria Teresa Fenoglio)
  • ORGANIZZARE RESILIENZA: PROFESSIONI IN CAMPO (Tiziana Celli) 
  • LA PAURA NELLE MENTI: GLI INCIDENTI DI PIAZZA SAN CARLO A TORINO (Maria Teresa Fenoglio)
  • BIBLIOGRAFIA

(anteprima)
PSICOLOGIA DEL TERRORISMO: ACCANTO AI SOPRAVVISSUTI (Fabio Sbattella)

Riprende, con questo testo, la pubblicazione dei Quaderni di Psicologia dell’Emergenza. Si tratta di un progetto scientifico e culturale promosso dall’Unità di Ricerca in Psicologia dell’Emergenza (1), una struttura universitaria impegnata da anni nella formazione, nella ricerca scientifica e anche nella realizzazione di progetti operativi sul campo.
Obiettivo della collana è quello di mettere a disposizione concetti, conoscenze e metodologie efficaci per i professionisti, per gli studenti in formazione, per la comunità scientifica e più in generale per tutti coloro che sono impegnati in quelle operazioni di prevenzione, soccorso e ricostruzione che sono legate ad incidenti singoli, disastri complessi e catastrofi (Sbattella 2009).
Si tratta dunque di un servizio culturale e scientifico, radicato nel mondo delle idee, ma nello stesso tempo fortemente orientato al lavoro operativo e professionale sul campo. Senza opportune mappe concettuali, il “fare” che caratterizza ogni emergenza rischia, infatti, di trasformarsi in un insieme di acting out ciechi e pericolosi. Senza la possibilità di riflettere, rileggere, ripensare e discutere le esperienze vissute, inoltre, ogni sfida sul campo rimane un’occasione perduta, rispetto alla possibilità di capire qualcosa di più relativamente alla natura dell’Uomo, ai suoi limiti e alle sue potenzialità in contesti estremi. Teoria e pratica dunque, sono intese, in questa prospettiva, come componenti inscindibili dello stesso percorso. Fermarsi dunque per esaminare pericoli, valutare rischi, ascoltare aspettative, ansie e immaginazioni significa “fare” psicologia dell’emergenza in termini di prevenzione, cioè incidere sulla realtà, affinché le emergenze non accadano, oppure affinché i loro danni siano mitigati. Offrire poi strumenti teorici e metodologici per riflettere e comunicare emozioni o complessità, serve a facilitare la formazione umana e professionale, al fine di essere efficaci durante i momenti più caldi delle emergenze sul campo. Infine, offrire parole e gesti adeguati per nominare l’indicibile, condividere le esperienze, rielaborare le memorie traumatiche e aprire speranza al futuro è da noi ritenuto un lavoro essenziale e qualificante per ogni operatore del post emergenza. Prevenire, soccorrere e ricostruire: queste sono in sintesi le tre grandi finalità del lavoro in emergenza. Esse coinvolgono anche la psicologia, sia dal punto di vista teorico che operativo.

Il nostro contributo si sviluppa, in questo settore, nella direzione di esplorare, documentare e comprendere tutti processi psichici che si intrecciano prima durante e dopo ogni emergenza. Processi percettivi, emotivi, mnestici, decisionali, comunicativi e relazionali che permettono ai protagonisti umani di resistere agli eventi avversi o, in alcuni casi, si intrecciano fino a causare quelle sofferenze che alcuni di noi chiamano di interesse clinico. Ci interessa dunque comprendere come la mente ragiona, si attiva e si ferma, si dissocia, si difende o si riorganizza e come decide prima, durante e dopo le crisi, intendendo con questo termine ogni cambiamento ambientale rapido, improvviso e devastante. Ci interessa anche capire come potrebbero funzionare le menti dei diversi attori coinvolti nei differenti contesti emergenziali, se fossero opportunamente sostenute da altre menti, da tecnologie adeguate o habitus mentali e culturali acquisiti ad hoc. In altre parole, la ricerca si apre verso la messa a punto di metodologie di intervento e di formazione innovative, andando al di là della descrizione dell’esistente. La mente umana è protagonista di ogni emergenza in vari modi e a vari livelli. Abbiamo capito in questi anni di ricerca ed intervento che la mente umana non solo “reagisce” (o meglio “risponde”) agli eventi critici generati da un ambiente (naturale o antropico) esterno a sé. In buona parte è proprio lei che definisce le emergenze come tali, le costruisce, le enfatizza o le diffonde. Un’emergenza, infatti, è sempre per noi una condizione psichica, un modo di leggere la realtà di cui si è protagonisti e con la quale strettamente si interagisce (Sbattella e Tettamanzi 2019). Ciò che ci interessa, inoltre, è comprendere e descrivere non solo ciò che accade alla mente individuale, ma anche a quella gruppale e collettiva, alla mente organizzativa e a quella comunitaria. Si tratta di livelli di organizzazione mentale a cui ogni singola persona partecipa in ogni istante e che influenzano ricordi, percezioni, interpretazioni e, ultimamente, anche le scelte operative e i comportamenti di interi gruppi e generazioni.

All’interno di questa prospettiva, il presente testo rappresenta un contributo cruciale. Discutere infatti dei processi psichici che si intrecciano attorno agli eventi drammatici del terrorismo significa affrontare i danni causati intenzionalmente da menti umane sulle menti e sui corpi di altri esseri umani. Come cercheremo di discutere nel primo capitolo, gli atti terroristici costituiscono una categoria molto peculiare dell’ampia gamma di atti violenti e distruttivi di cui l’essere umano è capace. Si tratta di azioni progettate con lucidità e intelligenza, animate da rancore e disprezzo della vita e mirate intenzionalmente a diffondere emozioni negative oltre che morte; finalizzate a sconvolgere intere comunità oltre che uccidere e danneggiare singole persone. Obiettivo di questo quaderno è quello di offrire alcune piste di lettura psicologica di questo fenomeno e nello stesso tempo quello di trarre da queste tragiche esperienze alcune conoscenze importanti sulla mente umana e le sue possibilità.
In linea con le scelte di fondo dell’Unità di ricerca, abbiamo cercato di raccogliere saggi provenienti da due fronti diversi, tra loro complementari. Da un lato vi è la riflessione teorica e la ricerca fenomenologica, dall’altro l’ascolto e l’analisi delle esperienze sul campo.

Il testo si apre così con un capitolo che discute le definizioni di terrorismo come parte delle strategie belliche. Si cercherà di evidenziare, in queste pagine, come l’obiettivo della guerra condotta con strategie terroristiche sia per sua natura mirata a destabilizzare gli equilibri psichici dei singoli e delle comunità, sollecitando reazioni, pensieri ed emozioni potenzialmente disadattativi. In particolare, sarà discusso come le diverse caratteristiche degli atti e delle metodologie terroristiche sviluppino potenzialmente impatti diversi. Tali caratteristiche, di conseguenza, sfidano in modo differenziato gli operatori impegnati nel costruire pace e tutti coloro che sono chiamati a difendere la salute mentale all’interno di contesti conflittuali.
Nel secondo capitolo, Luca Guglielminetti propone alcune riflessioni importanti, maturate come consulente dell’Associazione Italiana Vittime del Terrorismo (Aiviter), come membro del direttivo del Gruppo Italiano di Studio del Terrorismo (GRIST) e del Radicalisation Awareness Network (RAN) della Commissione europea. Si tratta di uno sguardo articolato e innovativo, in grado di collegare episodi e fenomeni diversi tra loro, nella lunga storia del terrorismo. In particolare, esso offre strumenti per connettere la psicologia delle vittime e psicologia dei terroristi. Paura,
vergogna, senso di impotenza, desiderio di rivalsa e di giustizia, possono concatenarsi fino ad alimentare la spirale della violenza. Solo una presa di coscienza forte dei nessi profondi che legano la psicologia dei sopravvissuti a quella dei carnefici può permettere di spezzare i circuiti della violenza. La radicalizzazione pacifica delle vittime del terrorismo viene così presentata come una via costruttiva, da contrapporre ai fenomeni di radicalizzazione violenta, che nutre le fila dei terroristi.
Nel terzo capitolo è riportato il contributo teorico della Prof.ssa Maria Teresa Fenoglio, docente di Psicologia dell’emergenza presso l’Università degli Studi di Torino. Come fa anche Guglielmetti, Fenoglio saggiamente collega i fenomeni più recenti ed eclatanti con le ferite lasciate in Italia dagli anni di piombo: anni di tensione, stragismo e terrorismo. La riflessione sul presente si nutre delle esperienze passate ed in particolare delle molte analisi e dibattiti che è stato possibile sviluppare in anni di contrasto alle strategie del terrore in Italia. Come avviene nel primo capitolo e come accade in realtà in tutto il testo, il focus rimane sulla psicologia delle vittime (dirette ed indirette) e non su quella dei terroristi. Tale è infatti la scelta operata in questa raccolta: comprendere i loro vissuti e bisogni in primo luogo. Fenoglio sviluppa il discorso poi presentando in capitoli successivi due recenti esperienze sul campo e dunque offrendo al lettore la possibilità di esaminare testimonianze di sopravvissuti e case history. Sono così descritti e discussi gli interventi psicologici realizzati a Torino a favore delle vittime e dei familiari dell’attacco al Museo del Bardo e successivamente dei feriti del 3 giugno 2017, in Piazza San Carlo. Due episodi tra loro assai diversi. Nel primo, un gruppo di turisti di 10 nazioni diverse, tra cui un folto gruppo di torinesi, è stato oggetto di uno spietato attacco armato in Tunisia. Nel secondo, una folle enorme e festante ha reagito disperatamente ad un pericolo oscuro, nei giorni successivi a gravi fatti terroristici accaduti in Europa. In entrambi i casi, alcune équipe di psicologi professionisti sono scese in campo, interagendo in modo integrato con le altre forze del soccorso e proponendo metodologie d’intervento diverse. Sono dunque presentate le loro esperienze, evidenziando vissuti emotivi, aspetti organizzativi e tecniche di intervento. Il dramma dell’attacco al museo del Bardo è anche discusso da un altro punto di vista.
Tiziana Celli, psicologa esperta di organizzazioni, discute l’episodio dal punto di vista dell’organizzazione dei soccorsi psicologici. Avendo avuto modo di collaborare direttamente con i colleghi tunisini, l’esperienza descritta permette di avere uno spaccato del modello francese di intervento in questi contesti, nonché una testimonianza internazionale di come il dolore sia pervasivo in ogni contesto culturale. Accanto a riflessioni ed analisi mirate alla realtà tunisina, queste pagine permettono di entrare nei diversi livelli di complessità che ogni dramma umano, internazionale e mediatico porta con sé. Testimonianze e report diretti, consentono nel suo lavoro, come in quello di Fenoglio, di esaminare materiali di prima mano, non solo relativi alle testimonianze dei sopravvissuti, ma anche a quelle dei soccorritori. Anche questi ultimi, infatti, sono parte della psiche collettiva perturbata dall’emergenza. Per quanto più preparati all’impatto di molti comuni cittadini, la disponibilità all’accoglienza empatica, che li caratterizza per statuto, non può non partecipare degli stessi processi psichici in cui sono coinvolte le persone che sono soccorse.

In sintesi dunque, questo testo propone una selezione accurata di contributi qualificati, tra loro strettamente interconnessi. Ci auguriamo che da questa lettura possano nascere ulteriori spunti di discussione e ricerca ed anche linee guida per efficaci interventi formativi e operativi sul campo. La ricca bibliografia che conclude il volume vuole essere una proposta per ulteriori approfondimenti, consapevoli che la ricerca e il dibattito in questo settore non può che essere in continuo sviluppo.

-----------------------------
(1) https://progetti.unicatt.it/progetti-milan-psicologia-dell-emergenza-home;
https://it-it.facebook.com/psicologia.emergenza/

sabato 23 marzo 2019

Vecchio e nuovo terrorismo: i fattori comuni in un film italiano del 1963

Locandina del film Il terrorista - Paese/Anno: Francia, Italia | 1963 - Regia: Gianfranco De Bosio - Sceneggiatura: Gianfranco De Bosio, Luigi Squarzina



Nel perenne ampio dibattito tra chi privilegia gli aspetti di novità e diversità del fenomeno e chi, viceversa, i sui tratti di continuità e persistenza (Ceci, 2014), segnalo un lontano film italiano del 1963. Ambientato nella Venezia occupata dai nazisti e "in realtà poco amato da sempre e da tutti" (M. Schiavoni, 2017), "Il terrorista", interpretato da un giovane Gian Maria Volonté per la regista di Gianfranco De Bosio, affrontava un tema ostico che risultava ambiguo e lontano dalla glorificazione della Resistenza tipica delle cinematografia del tempo, ma è didatticamente utile ad individuare i tratti comune del terrorismo di ieri e di oggi.

Concentriamoci su "la lunga sequenza del dibattito tra le varie anime del CLN, che occupa 10 minuti abbondanti della narrazione tramite un fitto dialogo fin troppo specialistico. (…). La long take circumnaviga più volte intorno al tavolo della discussione conferendole tratti espressionistici, da teatro brechtiano, laddove il Potere, stavolta incarnato da un comitato di CLN, cerca forme compromissorie nei confronti di un elemento scomodo" (M. Schiavoni, 2017). In vero un contro-potere rispetto a quello "ufficiale" nazista e repubblichino insediato a Venezia: il CLN deve fare i conti con una presa di ostaggi, a rischio fucilazione, da parte dei tedeschi in seguito ad un attentato con una vittima civile, eseguito da un "lupo solitario", un gappista di "Giustizia e Libertà" che ha preso l'iniziativa di aprire le ostilità in città senza previo consenso politico del Comitato.

Tale lunga sequenza, insieme a quella breve, subito precedente che si svolge nella tipografia dove il gappista/"terrorista" corregge la bozza di stampa delle rivendicazione, permettono d'individuare una notevole serie di analogie tra vecchio e nuovo terrorismo: dalla necessità della rivendicazione e delle propaganda, con i suoi obiettivi legittimi/illegittimi e valori/disvalori; al biasimo della vittima civile colpita nell’attentato; dalla presenza del livelli politico e militare nelle organizzazioni, legittime o illegittime che siano; alle necessità logistiche, di approvvigionamento e finanziamento che queste richiedono, così come i loro diversi livelli di clandestinità e segretezza.

Il punto chiave più significativo è però quello relativo al bisogno di riconoscimento politico del CLN. Il compromesso finale al quale assistiamo nella scena del film, si articola come mediazione della Democrazia Cristina e della Chiesa finalizzato a ottenere tale riconoscimento, offrendo la sospensione degli attentati in cambio della liberazione degli ostaggi.

Troviamo qui il focus del problema teorizzato della storico delle dottrine politiche, Alessandro Campi: dal 1945 "non c’è più stata nessuna dichiarazione di guerra, perché i conflitti si combattono tra avversari che non si riconoscono”. Da questa notazione ha origine il successo del fenomeno dal secondo dopoguerra: "terrorista" è un etichetta per un nemico che non si vuol riconoscere, mentre la sua finalità, “la finalità di terrorismo”, è proprio quella di farsi riconoscere come soggetto politico.

Il rimando alla diatriba tra fronte della fermezza e quello della trattativa durante le settimane del rapimento di Aldo Moro da parte delle BR nel 1978, emerge facilmente, ma si può, almeno parzialmente generalizzare: la gestione politica dei rapimenti per terrorismo, e le strategia di lotta al terrorismo in generale, hanno una cartina di tornasole nel valutare la disponibilità dei governi a trattare o meno, a riconoscere o meno il "nemico". Non trattare, vuol dire privilegiare la logica del conflitto, per cui la priorità è l'eliminazione dei terroristi; se si tratta, la logica è restare fuori dal conflitto o propendere per un sua risoluzione.

-------
p.s. : il film è stato utilizzato nell'attività di formazione del progetto europeo FAIR (Fighting Against Inmates' Radicalisation). Chi avesse difficoltà a reperirlo può contattarmi privatamente.

martedì 19 marzo 2019

La lezione di Simone Weil sui foreign fighter “buoni”




Simone Weil fin da giovane studentessa aderì ai primi movimenti pacifisti sorti nel primo dopoguerra. Aderì a La Volonté de Paix nel 1927 e poi alla Ligue del droits de l'homme. Di fronte al conflitto di Spagna però assistiamo a un perfetto processo di radicalizzazione violenta che la trasformò in quello che oggi chiamiamo foreign fighter. Tale esperienza è descritta sia nella sua opera Sulla guerra, che nella biografia scritta dalla sua amica Simone Pétrement.

Nella Lettera a Georges Bernanos dell'agosto 1936 scrive: "Non potevo impedirmi di partecipare moralmente a guerra, e cioè di desiderare ogni giorno, ogni ora, la vittoria degli uni, la sconfitta degli altri, mi sono detta che Parigi era per me la retrovia, e ho preso il treno per Barcellona con l'intenzione di arruolarmi." Il suo biografo commenta: "Simone pensava che, quando non si può impedire una guerra, bisogna assumere la propria parte in questa sventura con il gruppo al quale si appartiene". L'adesione al gruppo nasce dall'empatia verso le sofferenza dei simili dettagliata nella sua autopercezione: "la mia immaginazione funziona sempre in un modo per me molto penoso. Il pensiero delle sofferenze o dei pericoli cui non partecipo mi riempie di orrore, pietà, vergogna e rimorso, un miscuglio che mi toglie ogni libertà di spirito; solo la percezione delle realtà mi libera da tutto ciò".

Percezione che diventa sinonimo di mobilitazione. Simone Weil varca il confine, si unisce ad un gruppo repubblicano e impara ad utilizzare le armi e ad apprezzare l'adrenalina. Al pensiero di poter essere catturata e fucilata non segue la paura, ma uno stato d'animo di estrema tranquillità. E' pronta a morire per la causa: "Se mi prendono mi uccidono… Ma è giusto. I nostri hanno versato abbastanza sangue. Sono moralmente complice."

La sua forte miopia comportò la brevità della sua esperienza di combattente: un banale incidente la riporterà in Francia per le cure di un’ustione. Là acquisterà una coscienza 'de-radicalizzata': "Non sentivo più alcuna necessità interiore di partecipare a una guerra". Non è venuto meno il suo impegno politico con il suo gruppo, ma comprende che la partita "non era più, come mi era sembrata all'inizio, una guerra di contadini affamati contro i proprietari terrieri e un clero complice dei proprietari, ma una guerra tra Russia, Germania e Italia".

La sua "percezione delle realtà" aveva allargato i confini alla dimensione geo-politica: la "giusta causa" che l'aveva portata ad imbracciare un'arma si è dissolta di fronte alla realpolitk. Cioè la strumentalizzazione del conflitto spagnolo da parte degli attori europei di cui aveva già colto la comune natura totalitaria nell'articolo del 1933: Il ruolo dell'URSS nella politica mondiale.

Come sia proseguita l’azione e la riflessione della Weil negli anni successivi è più noto: privilegiare l'azione “non-violenta efficace”, da una parte, arginare “il peccato originale dei partiti”, dall’altra. Per i giovani italiani accorsi nelle file curde del YPG e YPJ sullo scenario bellico siriano, è sufficiente la sua lezione nella esperienza della guerra civile spagnola.

Possiamo, quindi, provare tutta la nostra simpatia per l’utopia “eco-socialista” e “femminista” nel Rojava, ma ci sarà un risveglio per i curdi della Federazione Democratica della Siria del Nord e i loro simpatizzanti internazionali. Un risveglio nella realpolitik: quella che non si fa con gli eroi...

---------------
( Continua qui  "Gli italiani che hanno combattuto contro l’Isis e la lezione di Simone Weil"
da Osservatorio sul Radicalismo e il Contrasto al Terrorismo – ReaCT Link diretto all'articolo )

lunedì 11 marzo 2019

RAN network Meeting in Italy



RAN network meeting: "Preventing and countering violent extremism and radicalisation Italy"


Thursday, 14th March 2019 h. 10.00-13.30

Università Cattolica, Largo A. Gemelli, 1 - Milano. Room G.016 Sala Maria Immacolata




domenica 17 febbraio 2019

Diritti umani e prevenzione radicalizzazione nelle carceri e nei CPR

"Garantire i diritti fondamentali di chi si trova in carcere, o privato della libertà come lo straniero nei Centri per il rimpatrio (CPR), è il passo più importante per fare un’efficace opera di prevenzione”
Articolo sull'apertura delle due giornate di formazione per i Garanti dei detenuti regionali e cittadini a Torino sulla prevenzione della radicalizzazione violenta nel sistema carcerio.



Conferenza Stampa a Pazzo Lascaris, sede del Consiglio regionale del Piemonte

Consegna attestati di frequenza ad alcuni dei partecipanti, Municipio di Torino



giovedì 14 febbraio 2019

Master su Prevenzione e Contrasto Radicalizzazione

Prevenzione e contrasto alla radicalizzazione, al terrorismo e per le politiche di integrazione e sicurezza internazionale (MaRTe)

Università di Bergamo: Master "Marte"
http://sdm.unibg.it/corso/marte/