sabato 22 febbraio 2020

FUNZIONI DELL'ISTINTO DI CONSERVAZIONE DELLA VITTIMA DEL TERRORE









 









Lothar Knaak, 3.4.1925-18.8.2006, Ascona TI, Svizzera, psicopedagogo e psicoterapeuta.


FUNZIONI DELL'ISTINTO DI CONSERVAZIONE DELLA VITTIMA DEL TERRORE


Contributo1 al convegno "dalla parte della vittima" tenutosi a Milano, marzo 1978, realizzato dal Gruppo di Psicologia Giuridica (G.P.G.) della Facoltà di Medicina, Università degli Studi di Milano.
Lothar Knaak, Ascona

Esperienze

La mia esperienza personale quale vittima del terrore l'ho vissuta più di trent'anni fa, Quest'oggi sono stupito del comportamento inconscio, ma conseguente della «mia persona» durante i mesi ed anni critici della seconda guerra mondiale.
Mi sono salvato fuggendo da un Lager tipico per gli stati in guerra, e per mezzo di quest'atto d'autoliberazione ho potuto accettare il regime dei campi di profughi d'un paese non coinvolto nella guerra, con buon umore ed apprezzando il vantaggio d'un ambiente protettivo.
Ritengo quindi di parlare con cognizione di causa, trattando dell'istinto di conservazione tipico della vittima del terrore.
Parlavo tempo fa con un zoologo, il quale è stato aggredito in Kenia da un leone e ferito seriamente da una zampata e da un morso. Sulla scorta di questa sua esperienza egli affermava che le prede della belva non avvertono il dolore a causa della paralisi provocata dallo spavento.
E ciò è congruente con l'esperienza umana, riportandone però unicamente un aspetto, il quale indica che la fenomenologia della situazione psichica della vittima è pluriforme. La situazione singola ha un'altra dimensione nella realtà che non l'esperienza collettiva.
Le diverse situazioni nelle quali la vittima può venire a trovarsi variano, d'altra parte, a dipendenza delle condizioni preliminari. Si possono constatare per lo meno due categorie assai diverse fra di loro:
  1. la vittima di un arbitrio prevedibile e
  2. la vittima del caso.
Nella categoria A) vale come condizione preliminare l'arbitrio quale principio, come noi lo conosciamo quando si constata la presenza di un regime dispotico.
Si ha l'impressione che l'arbitrio - in questo caso prevedibile- del regime assoluto trovi la propria legittimazione nell'esistenza del Superiore assoluto. La legittimazione di quest'ultimo, a sua volta, risiede proprio nella sua superiorità, la quale diviene nel contempo anche la causa di un suo inevitabile declino.
Maggiore è il dominio del Superiore assoluto, tanto più legittimo è il dispotismo. Relativizzandosi questo imperativo assoluto, pure la Sua legittimazione viene posta in dubbio.
Ciò risulta confermato dalla curva del successo - ascendente e declinante - dei regimi assoluti, dall'Hitlerismo al fascismo ed al bolscevismo, i quali avevano derivato la loro legittimazione direttamente dall'identificarsi delle masse in un Ego collettivo. Le vittime di questi regimi erano estranee non solo perché indicate come tali, ma anche perché esse stesse erano coscienti della loro estraneità, per la quale avevano per di più anche buone motivazioni. E proprio per la presenza di queste motivazioni il loro rischio era calcolabile. Esse erano infatti coscienti del loro ruolo come vittime. L 'accettazione di questo ruolo accentuava la loro coscienza del proprio valore. Ciò le predestinava al martirio.
La vittima di una causa imprevista non risponde a queste caratteristiche mancando la condizione necessaria della situazione tirannica.
E con ciò siamo arrivati al caso B).
La situazione della persona alla quale viene all'improvviso imposto il ruolo della vittima, è indispensabile per qualificare l'atto terroristico, sia in una situazione di comune delinquenza, che di delitto politico.
Per dimostrare la situazione psichica della vittima ritorno all'esempio dello zoologo aggredito dalla belva. I paragoni che si possono fare con la situazione umana in frangenti analoghi sono parecchi.

Modelli di comportamento di base 

Dobbiamo partire dell'esistenza dei modelli di comportamento di base, i quali categorizzano l'essere umano, così che lo stesso si riconosce come singolo appartenente alla stessa specie, e ciò non nel senso morale, ma quale condizione preliminare biopsichica, di cui però fa parte anche la capacità umana di moralizzare.
La paralisi causata dallo spavento dimostra l'esistenza di riflessi dell'istinto di conservazione, i quali, in crisi estreme, entrano automaticamente in funzione. La priorità della conservazione è evidente. Si tratta di funzioni archetipiche, le quali sono legate all'istinto che tende alla salvaguardia delle funzioni elementari e condizionanti della vita stessa.
Tutte queste norme alla base di funzioni archetipiche sono forme primitive, reattive e involontarie, cioè di carattere infantile, a dipendenza del loro rango primitivo.
Così lo svolgimento del sentimento reattivo della vittima reinserisce il desiderio di protezione del bambino, specialmente in caso di sequestro.
Essa fa appello alla compassione, diventa inattiva e ripone la propria fiducia unicamente in un atteggiamento che provoca reazioni di protezione e di cura.
L'inattività mentale può regredire in tale situazione fino alla fase preorale del postpartum.
Quando la regressione dell'autoresponsabilità, fino al punto di un appello alla solidarietà che dovrebbe attivare la protezione, resta senza risposta valida, si risveglia il sentimento di vendetta.
Ne conseguono delusioni, sfiducia e depressioni fino ad una situazione estrema di letargia. Esistendo la possibilità di attivarsi predomina il sentimento di vendetta. La via attiva resta soprattutto aperta alla vittima abbandonata dell'aggressore subito dopo il reato. La vendetta può però svilupparsi in direzioni diverse.
Heinrich von Kleist2 nella sua novella a sfondo storico «Michael Kohlhaas», già nel 1810 ha descritto minuziosamente ed in modo psicologico, come, in seguito alla vittimizzazione, una vendetta possa svilupparsi quando l'ordine pubblico è troppo debole per poter garantire una giustizia riconoscibile.
La sindrome di Michael Kohlhaas (Michael-Kohlhaas-Syndrom) conferma il proprio significato anche nei nostri tempi moderni.
La situazione del diritto nella nostra società, non contempla le reazioni emotive quali le vendette, specialmente quando le stesse implicano una pianificazione relativamente a lunga scadenza.
Ne risulta il sentimento dell'impotenza, e proprio questo sentimento crea quella situazione patologica che conosciamo, sotto il nome di choc a distanza, dal nostro materiale clinico.
Essa è dominata della disperazione di chi si sente isolato.
Possiamo definire questo sentimento d'abbandono, con il conseguente rischio di un ripiegamento su se stessi, con il termine di autismofobia. Questa può anche rivelarsi sotto forma di reazione paradossale, nella quale viene, cambiato il bersaglio all'odio, quando la vittima si identifica cioè con gli aggressori.

L'identificazione della vittima con gli aggressori

Per questo fenomeno conosciamo parecchi esempi. Il caso più noto è forse quello di Patricia Hearst, figlia del ricchissimo editore statunitense Hearst. Altri esempi sono constatabili nel dramma dei sequestri aerei di Zerqa nel 1970 e nell'affare dei Molucchesi in Olanda nel 1977.
Inoltre il materiale statistico della "divisione ricerche sul terrorismo" della Rand Corporation di Santa Monica, che contiene i risultati delle ricerche su 47 uomini sequestrati e sopravvissuti (fine aprile 1978) conferma questo fenomeno, chiamiandolo "sindrome di Stoccolma" per il fatto che le ragazze tenute in ostaggio durante una rapina in banca a Stoccolma avevano stabilito ottime relazioni con i loro aggressori.
Analogo può essere pure considerato il fenomeno dei prigionieri russi, i quali combatterono - dopo essere stati fatti prigionieri - con le truppe Hitleriane nella seconda guerra mondiale.
Quando gli aggressori offrono alle vittime da loro sequestrate la possibilità di solidarizzare con loro trovandosi queste in una situazione di costrizione, esse ne fanno abitualmente uso.
Negli articoli delle riviste e degli ambienti pseudoscientifici piace parlare poi di «lavaggio del cervello» subito. Ma sappiamo che si tratta, invece, di esempi tipici del funzionamento degli istinti di conservazione.
La ragione per la quale la vittima s'identifica con la volontà dell'aggressore è da cercare unicamente nel rapporto di potere che si è venuto creando.
Nei casi qui menzionati è evidente che gli aggressori si sono dimostrati più potenti che non l'ambiente protettivo abitualmente garantito dall'ordine pubblico.
In tali situazioni la sequenza psichica segue evidentemente le motivazioni contenute nella legge sul funzionamento dei gruppi tripolari, quali sono state descritte da T .M. Mills3, nel 1954, e da A.F. Henry4 nel 1956, sulla base della sociologia di Georg Simmel5.
L 'azione dell'istinto di conservazione può allora indirizzarsi in due diverse direzioni:
  1. quella della vendetta;
  2. quella della conversione, cioè dell'identificazione con l'aggressore contro l'ordine della società, la quale non ha saputo garantire la protezione richiesta al momento del primo riflesso, provocato della paralisi dello spavento.
La regressione fino a funzioni infantili in questo secondo caso, può ad esempio significare la punizione dell'ambiente familiare troppo debole.
La situazione di terrore ha così un effetto di riorientamento, il quale può essere anche definito rieducazione per mezzo della costrizione.


Effetto educativo

Il drill nell'esercito, ad esempio, si serve di questo meccanismo, per ottenere una solidarizzazione con questa società forzata.
Lo stesso effetto ha, in modo involuto però, anche l'incarceramento punitivo.
Urie Bronfenbernner6 ha studiato i principi dell'educazione in due mondi diversi - negli Stati Uniti e nell'Unione Sovietica - esaminando dei bambini, con questo risultato: l'educazione negli stati di regime assoluto e di ideologia unica tende all'uniformità degli ideali per mezzo di una certa severità. L 'accettazione della concezione statale è in questi casi l'obiettivo dichiarato, che viene anche raggiunto, come possiamo constatare sulla base dell'esempio dell'Unione Sovietica e dei suoi satelliti, come pure nelle due Cine moderne, in modi diversi.
Il risultato è ordine e protezione per tutti, altamente apprezzati. La protezione conta in questi casi non solo nel suo aspetto esteriore, ma anche come un fattore sentito. Protezione significa accordo ritualizzato. Questi riti sono sempre stati punti fissi dell'orientamento mentale e del reciproco riconoscersi.
Tali possibilità dell'orientamento sulla base d'un codice del comportamento sono conosciute soprattutto dai giuristi, perché proprio una di queste possibilità, cioè la legge, sta alla base della loro professione.
Attualmente proprio nelle fasi di sviluppo dell'infanzia mancano questi supporti per la formazione di un obiettivo di vita. La pedagogia moderna nega infatti il loro valore umano. Il risultato è un completo disorientamento, a seguito del quale coloro che non fruiscono di un'educazione sembrano naufraghi in un mare senza rive e isole.
Condizioni simili creano la sensazione di essere abbandonati, soli ed isolati. Proprio in questa desolata situazione d'isolamento si trovano le vittime al momento del reato di cui sono oggetto, e non raramente anche gli aggressori.

Riepilogando:

Pensiamo di dover differenziare le vittime in almeno due categorie:
  1. a vittima dell'arbitrio prevedibile
  2. la vittima del caso,
Alla categoria A) possono essere ricondotte le vittime di regimi politici e quelle appartenenti ad una minoranza discriminata.
Alla categoria B) appartengono per contro le vittime di fatti singoli, cioè del caso.
La differenza è evidente. L'eroismo del martirio è una caratteristica del caso A), mentre che per contro la vittima di un imprevisto avvenimento fatale deve essere considerata nell'ambito del caso B). Particolarmente in questa seconda categoria si ritrovano e sono evidenti gli aspetti della sofferenza ed i riflessi dell'istinto di conservazione, i quali possono essere così compendiati :
  1. l'amnesia psichica parziale. per quanto concerne il momento del dramma dell'aggressione,
  2. il ripiego su funzioni della fase di sviluppo orale e preorale. (Specialmente in caso di sequestro),
  3. l'attivazione dei sentimenti di vendetta. (In particolar modo nel caso in cui la vittima viene abbandonata dall'aggressore subito dopo il reato),
  4. il cambiamento di direzione dell'odio e l'identificazione della vittima coll'aggressore. (Quando si ha, ad esempio, un sequestro politico).
In questo quadro il terrore politico, praticato da minoranze attive, può aver portato storicamente al rovesciamento del regimi al potere, senza tuttavia provocare cambiamenti nei meccanismi sociali di base.
I cambiamenti dì regime ad intervalli brevi negli stati sudamericani ne sono un esempio tipico. Altri stati sembrano più tradizionali, solo a causa degli intervalli più prolungati che intercorrono fra i singoli rovesciamenti dei regimi al governo. Nella sostanza però il loro sviluppo da regime a regime avviene secondo lo stesso principio. La vittima ha sempre li ruolo ignorato di mezzo del quale si serve l'aggressore per raggiungere la meta prefissata. Per il milite ignoto, vittima esemplare nell'ambito della categoria A), si trovano ovunque monumenti. La vittima sconosciuta, riconducibile al caso B) malgrado la sua maggiore importanza, sia in senso numerico come in quello della psicoigiene sociale, è per contro totalmente ignorata.

Possibilità di terapia

Per la terapia delle conseguenze, provocate dall'istinto di conservazione, la teoria della libido secondo la definizione di Freud7 non è applicabile; sono invece validi i meccanismi della egodefens e i criteri dell'organizzazione della persona negli strati del sé, ego e sovraego, i quali forniscono un solido fondamento per la spiegazione e la comprensione della natura umana. La teoria del senso di colpa per il doppio crimine di desiderio, la quale costituisce l'essenza del complesso edipico, non dimostra invece in tale circostanza una sua validità o utilità. Neppure applicabili per la psicoterapia dello choc a distanza, sono le categorie della psicologia individuale di A. Adler8, in quanto non si tratta di compensare un'insufficienza organica o psichica, quando una vittima si sente oggetto della violenza.
Anche i metodi i quali trasferiscono la colpa sulla generazione dei genitori secondo il sistema "ok" di Berne9, non offrono elementi utili per una terapia della vittima del terrore. La situazione problematica della vittima è riferibile per contro al contenuto delle psicoterapie centrate sulla violenza di Hedri10, o quella di liberazione spirituale di Schipkowensky11. Anche le terapie che centrano la loro applicazione sulla responsabilità di una morale comune, come ad esempio la logoterapia di V. Frankl12, o le terapie che offrono la possibilità della razionalizzazione in un concetto filosofico, elaborate da Boss e Condrau13 sulla base della filosofia esistenziale di Heidegger, possono aiutare nella situazione di disperazione della vittima. Le convinzioni religiose, soprattutto delle sette che tendono verso una marcata autodisciplina (oggi chiamata repressiva), servono alla vittima per la ricostruzione del suo «rifugio interno», sulla base del nucleo più personale, attraverso la convinzione di possedere una moralità superiore.
La vittima ha, per lo meno quale riflesso passeggero, come abbiamo visto, la tendenza a ritornare verso una fiducia infantile in una giustizia trascendentale.
La definizione della libido secondo C.G. Jung14 e le categorie di forma e dei dinamismi archetipici, come risultano dal confronto del contenuto dei sogni con le immagini dei miti e delle favole antiche e popolari, offrono una base per poter spiegare il contenuto dei sentimenti, degli impulsi e delle reazioni, istintive per la vittima della violenza casuale.
Nella terapia le due categorie della tipologia psicologica di Michael Balint15, l'oknophilia - cioè il legame col focolare - e la philobatia - cioè il piacere di avventurarsi in azioni rischiose -, si dimostrano utili in modo eccezionale.
L 'oknophilia, come tendenza di regressione, simbolizza la sicurezza che deriva dall'ambiente nel quale la persona trova la propria identità. L'ambiente è in realtà la zona allargata dell'ego, che circonda le condizioni familiari o del gruppo di carattere familiare come parte complessiva dell'ego singolo, cioè come espressione dell'ego sociale.
La philobatia, la «Angstlust» , invece, offre lo spazio necessario per le iniziative personali, che rendono la vita un'avventura, la quale conduce sempre oltre l'ambiente rassicurante, cioè al di là dell'oknophilia.
Nel caso di Patricia Hearst la relazione fra le due categorie si è sviluppata in modo tale, che essa ha regredito sulla base della motivazione oknophilistica fino a solidarizzare col gruppo del quale era rimasta vittima, trovando la sicurezza interazionale in questa sua pseudofamiglia. Sappiamo che in una certa fase limitata di maturazione questi «Bünde», cioè gruppi clandestini, si formano spontaneamente quale primo passo decisivo verso la emancipazione.
Il fenomeno è stato ben studiato e analizzato da Will Erich Peuckert16 nell'opera Geheimkulte (culti secreti) e da L. Knaak17 in Trotz, Protest, Rebellion (ostinazione, protesta, ribellione). ,
Nell'ambito di questa pseudofamiglia, la Hearst - nella sua fase regressiva - ha potuto prendere parte ad azioni terroristiche per soddisfare la sua rabbia, provocata soprattutto dal sentimento di completa impotenza personale di fronte alle azioni di violenza. Si tratta, in questo caso, di azioni di vendetta alla rovescia, cioè contro l'ambiente troppo debole per offrire la necessaria protezione. La spinta philobatica non ha trovato in questa sua situazione un altro campo d'azione.
La sofferenza psichica, (il panico dell'isolamento), della vittima può essere descritta nelle forme seguenti:
  • fobia di solitudine, come un tipo della claustrofobia,
  • autismofobia,
  • ansia di perdita dell'ambiente abituale, il quale è condizione di esistenza.
Una terapia di queste forme dello squilibrio psichico della vittima del terrore deve dunque basarsi sul principio della ricostruzione o restaurazione dell'«equilibrio prestabilito» , il cui concetto e metodo sono sviluppati dall'autore di queste riflessioni in un volume che sarà edito prossimamente.
Il metodo si basa soprattutto su meccanismi d'azione archetipica e sul dinamismo del movimento come espressione psichica, partendo dell'appetenza per la soddisfazione di certi bisogni del sentimento del valore proprio della persona.
L 'identità personale in questo concetto è superiore all'individualità, la quale è solo ipotetica già per la suddivisione degli strati dell'ego a seconda del loro valore, e per l'importanza della relazione col tu, che condiziona largamente la realtà dell'esistenza singola di ogni essere umano.

Bibliografia

  1. Edito nella collana di psicologia e criminale, diretta da Guglielmo Gulotta, da Giuffrè editore, Varese, 1980.
  2. Kleist H. von, Michael Kohlhaas (aus einer alten Chronik). Erzählung, Erstdruck im "Phöbius" Heft 6, Juni 1908, Hansa Verlag, München, 1977.
  3. MILLS T.M, The Coalition Pattern in the Three-Person Group. in: American Sociology Review, 1954, XIX.
  4. HENRY F., Affekt, lnteraktion und Delinquenz. in: Kölner Zeìtschrift für Soziologie und Sozialpsychologie, Sonderheft 2, Soziologie der Jugendkriminalität, 1957.
  5. SIMMEL G., The Triad. The sociology of Georg Simmel. Ed. by Wolff K.H., Glencoe, llIinois, 1920.
  6. BRONFENBRENNER U., Zwei Welten. Kinder in USA und USSR. Deutsche Verlags-Anstalt, Stuttgart, 1972.
  7. FREUD S., Studienausgabe. Herausgegeben von A. Mitscherlich, S. Fischer Verlag, Frankfurt am Main, 1969.
  8. ADLER A., Praxis und Theorie der lndividuaipsychologie. München, 1923.
  9. BERNE E., Spiele der Erwachsenen. Psychologie der menschlichen Beziehung. Rowohlt, Hamburg, 1970.
  10. HEDRI A., Psychotherapie ohne Dogmatismus. Musterschmidt, Zürich, 1976.
  11. SCHIPKOWENSKY N., Iatrogenie oder befreiende Psychotherapie? Der psychische Einfluss des Arztes auf seinen Patienten. Schwabe & Co., Basel, Stuttgart, 1977.
  12. FRANKL V.E., Theorie und Therapie der Neurosen. Einführung in die Logotherapie und Existenzanalyse. Reinhardt, München, 1968.
  13. BOSS M., CONDRAU O., HICKLIN A., Leiben und Leben. Beiträge zur Psychosomatik und Psychotherapie. Benteli, Bern, 1977.
  14. JUNG C.G., Symbole der Wandlung. Rascher, Zürich, 1952; JUNG C.G., Das Unbewusste im normalen und kranken Seelenleben. Rascher, Zürich, 1929; JUNG C.G., KERENYI K., Einführung in das Wesen der Mythologie. Das göttliche Kind, das göttliche Mädchen, Rascher, Zürich, 1951.
  15. BALINT M., Angstlust und Regression. Beitrag zur Typenlehre. Klett, Stuttgart, 1959.
  16. PEUCKERT W.E., Geheimkulte. CarI Pfeffer, Heidelberg, 1951.
  17. KNAAK L., Trotz, Protest, Rebellion. Urform und Bedeutung des Nestzerstörungstriebes. Zürich, 1970.

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NOTA SUL COPYRIGHT
Il suddetto testo è stratto dal sito  originale dell'autore (reperibile qui http://home.datacomm.ch/lothar.knaak/Vittima/dalla_parte_della_vittima.html alla data di oggi). Trattandosi probabilmente di uno dei primi studi sulle vittime del terrore - terrorismo ed essendo parte di un libro introvabile, e presente su dominio internet svizzero in disuso, resta inteso che il © Lothar Knaak e questa copia è finalizzata solo alla salvaguardia e disposnibilità pubblica del testo. k 

Dai discorsi d'odio al disimpegno dai gruppi estremisti violenti




Nell’ottica di chi si occupa di contrasto e prevenzione dell’estremismo violento, la dimensione dei discorsi di incitamento all’odio rappresenta un ampio sottoinsieme che interseca i fenomeni di radicalizzazione violenta.

Le recenti politiche, promosse in molti paesi e dalle organizzazioni internazionali, che vanno sotto il nome di contrasto e prevenzione dell’estremismo violento (P/CVE) sono finalizzate a promuove gli sforzi degli attori, pubblici e privati, delle comunità locali che intervengono consentendo di interrompere il processo di radicalizzazione violenta o prima che un individuo si impegni in attività criminali, o dopo per agevolarne il disimpegno dalla violenza e il reinserimento sociale.

Nate a seguito degli attentati dell’11 settembre, negli USA, e quelli di Londra del 7 luglio 2005, in Europa, tali politiche, e i relativi programmi e strategie, focalizzate per lungo tempo sulle forme di radicalizzazione jihadista, si sono opportunamente evolute, in particolare nel nord Europa, verso un approccio che intervenisse verso ogni forma di estremismo violento, cioè al di là della matrice ideologica/religiosa che alimenta i gruppi organizzati che esercitano violenza.

In questo contesto, il problema dei discorsi di incitamento all’odio, così come le propagande dei gruppi estremisti, sono un’espressione di quella che viene definita radicalizzazione cognitiva, o coinvolgimento (involvement) in una “causa”. Si tratta della prima fase di un processo cui possono seguire, per un’esigua minoranza di soggetti, la radicalizzazione comportamentale, o mobilitazione (engangement) in un gruppo estremista violento, e poi, nella maggioranza dei casi, la fase di de-radicalizzazione, o disimpegno (disengangement) o uscita (exit) dal gruppo.

I confini tra chi esercita, individualmente o in gruppo, violenza verbale nei discorsi d’odio, e chi arriva poi ad esercitare quella fisica, o a farsi reclutare in un gruppo che la esercita, sono sicuramente complessi: variano le forme e i gradi di violenza fisica, così come i contesti geo-politici nei quali la si esercita, che possono richiedere valutazioni di legittimità, come nei casi di insurrezioni contro regimi illiberali. Senza entrare nel merito del difficile equilibrio tra il monopolio dell’uso della forza dello Stato e lo Stato di diritto che mitiga gli abusi del primo, quello che sappiamo per certo è che il fenomeno della radicalizzazione si presenta sempre come reciproco, tra gruppi polarizzati o parti in conflitto, come ad esempio ci ricorda Tzvetan Todorov (2016) quando scrive che: «Oggi l’islamofobia e il jihadismo si rafforzano vicendevolmente». Quello che sappiamo è che solo un’esigua minoranza giunge dal discorso d’odio al reclutamento e all’esercizio della violenza: per la grande maggioranza maschi di età compresa tra l’adolescenza e il decennio dei 20 anni.

Come è possibile intervenire con questi giovani?

Se ACSMOS col progetto “Contro l’odio” ha tentato di fornire una risposta ai problemi legati alla presenza di odio sul web, ora Benvenuti in Italia, con il progetto “Exit Europe” prova ad intervenire sul campo sostenendo un percorso di “uscita” di chi, avendo aderito ad un gruppo estremista, voglia uscirne prima di far danni a se stesso e ad altri. Un progetto europeo che vede l’esperienza dei paesi nordici approdare in Italia con l'obiettivo di contribuire anche nel nostro paese al disimpegno dei giovani da gruppi estremisti violenti attraverso un programma integrato di de-radicalizzazione e reinserimento sociale, che vede la collaborazione locale di istituzioni ed altre organizzazioni della società civile.

Luca Guglielminetti, coordinatore e valutatore locale del progetto europeo “Exit Europe”

Si veda: 
 

lunedì 17 febbraio 2020

Integrating CT & CVE

Slides for my speech on Integrating Counter-Terrorism (CT) and Prevent and Counter Violent Extremism (CVE). In the occasion of : "Preventing violent extremism and the role of civil society: present and future challenges" 10 - 11 February 2020 - Palazzo di Città - Sala delle Colonne Torino CONFERENCE ORGANIZED WITHIN THE HORIZON PROJECT “Terrorism prevention via radicalisation counter-narrative” (TRIVALENT)