sabato 23 marzo 2019

Vecchio e nuovo terrorismo: i fattori comuni in un film italiano del 1963

Locandina del film Il terrorista - Paese/Anno: Francia, Italia | 1963 - Regia: Gianfranco De Bosio - Sceneggiatura: Gianfranco De Bosio, Luigi Squarzina



Nel perenne ampio dibattito tra chi privilegia gli aspetti di novità e diversità del fenomeno e chi, viceversa, i sui tratti di continuità e persistenza (Ceci, 2014), segnalo un lontano film italiano del 1963. Ambientato nella Venezia occupata dai nazisti e "in realtà poco amato da sempre e da tutti" (M. Schiavoni, 2017), "Il terrorista", interpretato da un giovane Gian Maria Volonté per la regista di Gianfranco De Bosio, affrontava un tema ostico che risultava ambiguo e lontano dalla glorificazione della Resistenza tipica delle cinematografia del tempo, ma è didatticamente utile ad individuare i tratti comune del terrorismo di ieri e di oggi.

Concentriamoci su "la lunga sequenza del dibattito tra le varie anime del CLN, che occupa 10 minuti abbondanti della narrazione tramite un fitto dialogo fin troppo specialistico. (…). La long take circumnaviga più volte intorno al tavolo della discussione conferendole tratti espressionistici, da teatro brechtiano, laddove il Potere, stavolta incarnato da un comitato di CLN, cerca forme compromissorie nei confronti di un elemento scomodo" (M. Schiavoni, 2017). In vero un contro-potere rispetto a quello "ufficiale" nazista e repubblichino insediato a Venezia: il CLN deve fare i conti con una presa di ostaggi, a rischio fucilazione, da parte dei tedeschi in seguito ad un attentato con una vittima civile, eseguito da un "lupo solitario", un gappista di "Giustizia e Libertà" che ha preso l'iniziativa di aprire le ostilità in città senza previo consenso politico del Comitato.

Tale lunga sequenza, insieme a quella breve, subito precedente che si svolge nella tipografia dove il gappista/"terrorista" corregge la bozza di stampa delle rivendicazione, permettono d'individuare una notevole serie di analogie tra vecchio e nuovo terrorismo: dalla necessità della rivendicazione e delle propaganda, con i suoi obiettivi legittimi/illegittimi e valori/disvalori; al biasimo della vittima civile colpita nell’attentato; dalla presenza del livelli politico e militare nelle organizzazioni, legittime o illegittime che siano; alle necessità logistiche, di approvvigionamento e finanziamento che queste richiedono, così come i loro diversi livelli di clandestinità e segretezza.

Il punto chiave più significativo è però quello relativo al bisogno di riconoscimento politico del CLN. Il compromesso finale al quale assistiamo nella scena del film, si articola come mediazione della Democrazia Cristina e della Chiesa finalizzato a ottenere tale riconoscimento, offrendo la sospensione degli attentati in cambio della liberazione degli ostaggi.

Troviamo qui il focus del problema teorizzato della storico delle dottrine politiche, Alessandro Campi: dal 1945 "non c’è più stata nessuna dichiarazione di guerra, perché i conflitti si combattono tra avversari che non si riconoscono”. Da questa notazione ha origine il successo del fenomeno dal secondo dopoguerra: "terrorista" è un etichetta per un nemico che non si vuol riconoscere, mentre la sua finalità, “la finalità di terrorismo”, è proprio quella di farsi riconoscere come soggetto politico.

Il rimando alla diatriba tra fronte della fermezza e quello della trattativa durante le settimane del rapimento di Aldo Moro da parte delle BR nel 1978, emerge facilmente, ma si può, almeno parzialmente generalizzare: la gestione politica dei rapimenti per terrorismo, e le strategia di lotta al terrorismo in generale, hanno una cartina di tornasole nel valutare la disponibilità dei governi a trattare o meno, a riconoscere o meno il "nemico". Non trattare, vuol dire privilegiare la logica del conflitto, per cui la priorità è l'eliminazione dei terroristi; se si tratta, la logica è restare fuori dal conflitto o propendere per un sua risoluzione.

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p.s. : il film è stato utilizzato nell'attività di formazione del progetto europeo FAIR (Fighting Against Inmates' Radicalisation). Chi avesse difficoltà a reperirlo può contattarmi privatamente.

martedì 19 marzo 2019

La lezione di Simone Weil sui foreign fighter “buoni”




Simone Weil fin da giovane studentessa aderì ai primi movimenti pacifisti sorti nel primo dopoguerra. Aderì a La Volonté de Paix nel 1927 e poi alla Ligue del droits de l'homme. Di fronte al conflitto di Spagna però assistiamo a un perfetto processo di radicalizzazione violenta che la trasformò in quello che oggi chiamiamo foreign fighter. Tale esperienza è descritta sia nella sua opera Sulla guerra, che nella biografia scritta dalla sua amica Simone Pétrement.

Nella Lettera a Georges Bernanos dell'agosto 1936 scrive: "Non potevo impedirmi di partecipare moralmente a guerra, e cioè di desiderare ogni giorno, ogni ora, la vittoria degli uni, la sconfitta degli altri, mi sono detta che Parigi era per me la retrovia, e ho preso il treno per Barcellona con l'intenzione di arruolarmi." Il suo biografo commenta: "Simone pensava che, quando non si può impedire una guerra, bisogna assumere la propria parte in questa sventura con il gruppo al quale si appartiene". L'adesione al gruppo nasce dall'empatia verso le sofferenza dei simili dettagliata nella sua autopercezione: "la mia immaginazione funziona sempre in un modo per me molto penoso. Il pensiero delle sofferenze o dei pericoli cui non partecipo mi riempie di orrore, pietà, vergogna e rimorso, un miscuglio che mi toglie ogni libertà di spirito; solo la percezione delle realtà mi libera da tutto ciò".

Percezione che diventa sinonimo di mobilitazione. Simone Weil varca il confine, si unisce ad un gruppo repubblicano e impara ad utilizzare le armi e ad apprezzare l'adrenalina. Al pensiero di poter essere catturata e fucilata non segue la paura, ma uno stato d'animo di estrema tranquillità. E' pronta a morire per la causa: "Se mi prendono mi uccidono… Ma è giusto. I nostri hanno versato abbastanza sangue. Sono moralmente complice."

La sua forte miopia comportò la brevità della sua esperienza di combattente: un banale incidente la riporterà in Francia per le cure di un’ustione. Là acquisterà una coscienza 'de-radicalizzata': "Non sentivo più alcuna necessità interiore di partecipare a una guerra". Non è venuto meno il suo impegno politico con il suo gruppo, ma comprende che la partita "non era più, come mi era sembrata all'inizio, una guerra di contadini affamati contro i proprietari terrieri e un clero complice dei proprietari, ma una guerra tra Russia, Germania e Italia".

La sua "percezione delle realtà" aveva allargato i confini alla dimensione geo-politica: la "giusta causa" che l'aveva portata ad imbracciare un'arma si è dissolta di fronte alla realpolitk. Cioè la strumentalizzazione del conflitto spagnolo da parte degli attori europei di cui aveva già colto la comune natura totalitaria nell'articolo del 1933: Il ruolo dell'URSS nella politica mondiale.

Come sia proseguita l’azione e la riflessione della Weil negli anni successivi è più noto: privilegiare l'azione “non-violenta efficace”, da una parte, arginare “il peccato originale dei partiti”, dall’altra. Per i giovani italiani accorsi nelle file curde del YPG e YPJ sullo scenario bellico siriano, è sufficiente la sua lezione nella esperienza della guerra civile spagnola.

Possiamo, quindi, provare tutta la nostra simpatia per l’utopia “eco-socialista” e “femminista” nel Rojava, ma ci sarà un risveglio per i curdi della Federazione Democratica della Siria del Nord e i loro simpatizzanti internazionali. Un risveglio nella realpolitik: quella che non si fa con gli eroi...

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( Continua qui  "Gli italiani che hanno combattuto contro l’Isis e la lezione di Simone Weil"
da Osservatorio sul Radicalismo e il Contrasto al Terrorismo – ReaCT Link diretto all'articolo )

lunedì 11 marzo 2019

RAN network Meeting in Italy



RAN network meeting: "Preventing and countering violent extremism and radicalisation Italy"


Thursday, 14th March 2019 h. 10.00-13.30

Università Cattolica, Largo A. Gemelli, 1 - Milano. Room G.016 Sala Maria Immacolata