lunedì 22 maggio 2017

Caso Hosni: quando è l'accademia ad alimentare l'allarmismo

Il prof. Marco Lombardi, ha scritto un articolo per il sito del centro studi ITSTIME che dirige (http://www.itstime.it), a seguito dell'aggressione di Hosni alla stazione Centrale di Milano la scorsa settimana.

Nonostante l'amicizia con il professore e la stima verso le sue osservazioni più volte lette e ascoltate, non posso esimermi da un commento in termini tanto franchi quanto critici di quel testo.

Fin dalla premesse viene stravolto il concetto di terrorismo: se, infatti, fosse vero che "la prospettiva che tutti dobbiamo assumere è che un atto è di terrorismo per gli effetti che genera non per le ragioni che lo motivano", dovremmo considerare il più grave atto di terrorismo avvenuto in Italia negli ultimi anni quella bomba davanti alla scuola di Brindisi il 19 maggio 2012 che, oltre alla morte di una studentessa e al ferimento di 10 persone, creò un altissimo allarme sociale.
Gli effetti di un atto criminale li determinano in gran parte giornali e televisioni: da decenni è noto il rapporto simbiotico che unisce terrorismo e media. Sostenere che "indipendentemente dalle motivazioni di chi lo compie: se genera paura diffusa, e allarme, è terrorismo", cioè giudicare un atto dagli effetti è un prospettiva assai pericolosa (si veda anche la polemica negli USA dove i mass killing vengono paventati come terrorismo in base alla religione di chi li compie). Il terrorismo è sempre e solo motivato politicamente. Confonderlo con chi usa tecniche terroristiche per altri scopi (come nei casi di mafia o di soggetti psichiatrici…) è da rigettare in primis come dato scientifico e poi per l'inutile e dannoso allarmismo che crea.

Allarmismo che nell'articolo in oggetto è poi alimentato dall'insinuare il sospetto che le autorità, in particolare il Questore di Milano, abbiano pubblicamente sottostimato la gravità del caso Hosmi.
Il prof. Lombardi sa benissimo quali siano i numeri esigui della radicalizzazione violenta di matrice jihadista nel nostro paese. E' veramente curioso che denunci un atteggiamento cospiratorio delle istituzioni; per dimostrarne l'inconsistenza basta confrontarlo con gli ultimi casi di bombe di matrice anarco-insurrezionalistia, sui quali le cronache e le dichiarazioni istituzionali hanno dedicano lo spazio minimo del giorno per sparire in quelli successivi.
Se si tratta di una "strategia di contro-narrazione" istituzionale, come sostenuto nell'articolo, direi che è assolutamente corretta. Non è infatti contro-propaganda, ma consapevolezza dei rischi limitati: che di tratti di Hosni, dell'area informale anarchica o, aggiungiamo, di Casa Pound e altri centri sociali.

In ultimo, è da sottolineare l'uso, da parte del Diretto di ITSTIME, se non grave, assai leggero, di una nozione che non si sentiva da molto tempo, almeno nella letteratura scientifica.  Mi riferisco all'espressioni "non nascondeva la sua natura violenta" in relazione alla propaganda pro ISIS che Hosni postava su Facebook. Da 15 anni parliamo di processo di radicalizzazione violenta dei soggetti in via di reclutamento o reclutati. Risulata abbastanza strano un linguaggio che torna  ad una visione antropologica di soggetti con "natura violenta": Hosni ci è nato nato terrorista? Sono i suoi geni italo-tunisini? In quali discipline si parla ancora di soggetti con "natura violenta"?

Onestamente il caso Hosni, per quanto ne sappiamo fino ad oggi, dimostra solo una cosa, al netto delle speculazioni politiche: da una parte, un buon controllo del territorio e, dall'altra, una carenza di servizi sociali. Cioè, ancora una volta, buona sicurezza ma scarsa prevenzione della radicalizzazione violenza.

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