Lasciamo la parola a chi ha
titoli per riflettere sull’evoluzione delle democrazie europee. Parola
che prescinde da ogni riferimento all’attualità, del caso Ruby in Italia
o dello sciopero dei magistrati in Francia, anche solo per il fatto che
sono state scritte 10 anni fa. Titoli che più che accademici, sono
quelli di un grande pensatore umanista, democratico e illuminista:
Tzvetan Todorov.
A
pagina 377 di “Una vita da passatore”, un libro intervista edito in
Italia da Sellerio l’anno scorso e pubblicato in Francia nel 2002,
leggiamo questa domanda dell’intervistatrice, Catherine Portevin:
“Arriverebbe a dire che oggi la giustizia sta prendendo il posto non
solo della scuola o della storia, ma anche della politica?”
Risponde
Todorov: “La parola pubblica, l’immagine che la società produce di se
stessa, sta per indebolirsi sotto la pressione dell’individualismo, con
la sua predilezione del mondo privato. E’ tuttavia uno dei compiti degli
uomini (e delle donne) politici evitare questa rappresentazione. E’
perché essi non svolgono più questo ruolo che ci si rivolge di più verso
le istanze giuridiche, come se il mondo giudiziario fosse diventato
l’ultimo rifugio della parola pubblica, del mondo comune. Enunciare i
valori comuni, esprimere un biasimo, un rincrescimento, formulare una
sanzione può essere necessario alla vita di una comunità, ma per fare
questo non c’è bisogno di passare dai tribunali. Questo è il ruolo della
scuola, dei media, delle personalità di prestigio, a un altro livello,
dei diversi comitati di saggi. Il capo dello Stato può giocare il suo
ruolo a seconda delle circostanze, nella misura in cui non incarna solo
una figura politica ma anche l’autorità morale. Ricordiamoci di Willy
Brandt in ginocchio davanti al ghetto di Varsavia: ecco un gesto che si
confà a un uomo politico. Il ruolo di queste persone, di queste
istituzioni non è quello di produrre conoscenza ma di dare un
riconoscimento a coloro che lo meritano”.
(…)
“Il posto lasciato vuoto dai politici viene surrettiziamente occupato
da coloro che sono soliti impartire lezioni, da procuratori di corto
respiro, fieri di denunziare il male degli altri e di indicare a tutti
la retta via. E’ un aspetto delle democrazie moderne cui bisognerebbe
stare attenti, questa tendenza a raddrizzare i torti altrui, a esigere
che tutti si conformino al bene. E’ quanto ho chiamato la «tentazione
del bene»”.
Per
chi fosse interessato ad approfondire, si segnala dello stesso autore
“Memoria del male, tentazione del bene – Inchiesta su un secolo tragico”
(Garzanti 2004-2009)
Aggiungiamo poche frasi nelle vicinanze della stessa pagina.
“Più
in generale, il tribunale conosce solo due colori: bianco e nero,
sì-no, colpevole innocente. La realtà umana ne conosce svariati –
l’ampia zona grigia di Primo Levi – e gli storici sono meglio messi per
restituire questa complessità. (…) I deputati non sono qualificati a
scrivere la storia, non più dei giudici. (…) Oggi abbiamo bisogno più di
verità che di giustizia. (…) La Francia ha bisogno di guardare in
faccia il proprio passato, senza nascondersi nulla.”
Per finire, la conclusione del capitolo:
“Sognare
una giustizia assoluta mi sembra non solo vano ma nefasto: l’esistenza
umana, lo abbiamo visto, è un giardino imperfetto. Le derive
moralistiche sono nocive, ma una vita privata di ogni idea di giustizia,
non è più una vita umana. Non dobbiamo arrosire nel seguire questa via
mediana".
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