In una intervista al Correre della Sera
il ministro degli Interni Alfano elenca i 4 pilastri della strategia
del governo italiano per la prevenzione del terrorismo, dopo la serie di
stragi di venerdì scorso.
Il primo pilastro è proseguire con le espulsioni degli stranieri "che rappresentano un potenziale pericolo".
Il secondo, che definisce impropriamente "controretorica", è quello da praticare in collaborazione con i colossi di Internet ("da Apple a Google passando per Facebook, Twitter e tutti i gestori delle comunità virtuale") "per arginare il proselitismo via web".
Il terzo è la "convocazione permanente del Comitato di analisi strategica".
Il quarto è ospitare il 29 luglio prossimo a Roma «il secondo incontro dopo quello già organizzato negli Stati Uniti di contrasto all’estremismo violento".
Il primo approccio "consegnare alle autorità degli Stati d’origine persone che hanno mostrato di non rispettare le regole pur non avendo compiuto veri e propri reati" è abbastanza discutibile per due ordini di motivi. Da una parte si scaricano sullo Stato di origine persone sospette senza che sia chiaro cosa quest' ultimo farà di loro (sia sotto il profilo dei diritti, sia sotto il profilo del loro controllo); dall'altra questa strategia, che funziona per gli stranieri di prima generazione, non si può attuare con quelli di seconda, che sono cittadini italiani. Sono questi ultimi, che in questi anni stanno raggiungendo l'età critica, che rappresenteranno presto il maggior rischio di radicalizzazione. Per loro, al momento, ci sono solo gli strumenti repressivi del recente decreto antiterrorismo che si limitano ad inasprire le pene.
Il secondo approccio, in vero è una attività di controllo su quanto avviene sul Web. Lo sviluppo di sistemi automatici che consegna alle forze dell’ordine «”Alert” precoci che si attivano appena vengono postati messaggi che inneggiano all’estremismo». Più che "contro-retorica" è una attività utile all'intelligence per monitorare i soggetti a rischio e l'attività di propaganda.
Il terso approccio, il Comitato di Analisi Strategica Antiterrorismo (C.A.S.A.) è un tavolo permanente tra polizia giudiziaria e servizi di intelligence ed importante strumento, a livello nazionale, di condivisione e valutazione delle informazioni relative alla minaccia terroristica interna ed internazionale.
Questi primi tre pilastri rientrano nella "tradizione" di prevenzione del terrorismo. Un approccio che non è si è ancora esteso in Italia a quella prevenzione più ampia dei processi di radicalizzazione violenta e di contrasto all'estremismo violento, in sigla CVR e CVE, che usano strumenti sociali, educativi, culturali e psicoterapeutici che in molti paesi dell'Europa e del Mondo hanno iniziato ad attivare tutti i governi, come già segnalato in "Softpower nella prevenzione del terrorismo: il divario europeo" del 17 ottobre 2014 e poi sull'Avvenire del 15 gennaio 2015 "Softpower, deradicalizzazione e contronarrative nella prevenzione del terrorismo".
Recentemente anche lo studioso Lorenzo Vidino nel suo saggio per l'ISPI "L'Italia e il terrorismo in casa", ha scritto : "Programmi tesi a de-radicalizzare aspiranti o veri e propri jihadisti (inclusi reduci da scenari di guerra) sono presenti in vari paesi europei da una decina d’anni. L’Unione Europea ne ha incoraggiato la diffusione, spesso finanziando programmi di enti statali e organizzazioni della società civile. L’Italia non ha finora sviluppato una strategia in merito e programmi del genere non sono ancora stati introdotti nel nostro paese. Ma gli operatori dell’antiterrorismo ne segnalano l’utilità e la politica comincia ad ascoltarli.
Il 9 settembre 2014, durante un intervento in Parlamento sulla minaccia del terrorismo islamista, il ministro dell’Interno Angelino Alfano ha parlato dell’opportunità d’introdurre «strategie di de-radicalizzazione del jihadismo, avvalendosi del supporto e dell’esperienza di insegnanti, assistenti sociali e imam moderati»".
Fino ad oggi però sul questo fronte non era seguito nulla.
Oggi apprendiamo, e vengo al 4 pilastro, leggendo l'intervista al ministro Alfano, l'intenzione di emulare il presidente USA Obama con il summit tenuto alla Casa Bianca lo scorso febbraio sugli strumenti di contrasto all'estremismo violento.
L'approccio usato in quella occasione è molto chiaro: il presupposto di partenza è che "la collaborazione tra intelligence, la forza militare, e quelle di sicurezza da sole non risolvono - e quando abusato possono invece esacerbare - il problema dell'estremismo violento" (si veda https://web.archive.org/web/20150221190438/https://www.state.gov/j/ct/cvesummit/releases/237673.htm).
I tre pilastri del CVE sono:
- Costruzione di sensibilizzazione sui processi di radicalizzazione violenza e di reclutamento;
- Contrastare le narrazioni estremiste, come la promozione on-line di contro narrazioni promosse della società civile;
- Valorizzare gli sforzi delle comunità locali che intervengono consentendo di interrompere il processo di radicalizzazione prima che un individuo si impegni in attività criminali.*
Qualcosa di completamento nuovo per le politiche messe in atto nel nostro paese nella lotta al terrorismo (almeno dal tempo ormai lontano delle legislazione premiale su pentiti e dissociati per chiudere gli Anni di Piombo), ma non una novità assoluta visto che qualche esperienza è stata fatta ed è anche stata valorizzata a livello europeo.
L'Alto Rappesentate europeo Federica Mogherini, a tale Summit della Casa Bianca a febbraio, disse: "Dal 2011, il Radicalisation Awareness Network (RAN) ha lavorato con oltre un migliaio di operatori locali e più di ottocento organizzazioni provenienti da tutta Europa: ad essi è stata data la possibilità di sviluppare raccomandazioni politiche, per raccogliere le best practice, per sostenere quelli che affrontano i problemi della radicalizzazione".
Tra gli operatori coinvolti c'è una qualche decina di italiani e la Collezione di buone pratiche delle rete RAN contiene buone prassi anche "Made in Italy" (compreso il progetto torinese C4C), ma si tratta - come scrivevo quasi due anni fa - "di casi isolati che attendono di essere valorizzati e messi in rete" nel nostro paese.
Chissà che sia la volta buona?
Il primo pilastro è proseguire con le espulsioni degli stranieri "che rappresentano un potenziale pericolo".
Il secondo, che definisce impropriamente "controretorica", è quello da praticare in collaborazione con i colossi di Internet ("da Apple a Google passando per Facebook, Twitter e tutti i gestori delle comunità virtuale") "per arginare il proselitismo via web".
Il terzo è la "convocazione permanente del Comitato di analisi strategica".
Il quarto è ospitare il 29 luglio prossimo a Roma «il secondo incontro dopo quello già organizzato negli Stati Uniti di contrasto all’estremismo violento".
Il primo approccio "consegnare alle autorità degli Stati d’origine persone che hanno mostrato di non rispettare le regole pur non avendo compiuto veri e propri reati" è abbastanza discutibile per due ordini di motivi. Da una parte si scaricano sullo Stato di origine persone sospette senza che sia chiaro cosa quest' ultimo farà di loro (sia sotto il profilo dei diritti, sia sotto il profilo del loro controllo); dall'altra questa strategia, che funziona per gli stranieri di prima generazione, non si può attuare con quelli di seconda, che sono cittadini italiani. Sono questi ultimi, che in questi anni stanno raggiungendo l'età critica, che rappresenteranno presto il maggior rischio di radicalizzazione. Per loro, al momento, ci sono solo gli strumenti repressivi del recente decreto antiterrorismo che si limitano ad inasprire le pene.
Il secondo approccio, in vero è una attività di controllo su quanto avviene sul Web. Lo sviluppo di sistemi automatici che consegna alle forze dell’ordine «”Alert” precoci che si attivano appena vengono postati messaggi che inneggiano all’estremismo». Più che "contro-retorica" è una attività utile all'intelligence per monitorare i soggetti a rischio e l'attività di propaganda.
Il terso approccio, il Comitato di Analisi Strategica Antiterrorismo (C.A.S.A.) è un tavolo permanente tra polizia giudiziaria e servizi di intelligence ed importante strumento, a livello nazionale, di condivisione e valutazione delle informazioni relative alla minaccia terroristica interna ed internazionale.
Questi primi tre pilastri rientrano nella "tradizione" di prevenzione del terrorismo. Un approccio che non è si è ancora esteso in Italia a quella prevenzione più ampia dei processi di radicalizzazione violenta e di contrasto all'estremismo violento, in sigla CVR e CVE, che usano strumenti sociali, educativi, culturali e psicoterapeutici che in molti paesi dell'Europa e del Mondo hanno iniziato ad attivare tutti i governi, come già segnalato in "Softpower nella prevenzione del terrorismo: il divario europeo" del 17 ottobre 2014 e poi sull'Avvenire del 15 gennaio 2015 "Softpower, deradicalizzazione e contronarrative nella prevenzione del terrorismo".
Recentemente anche lo studioso Lorenzo Vidino nel suo saggio per l'ISPI "L'Italia e il terrorismo in casa", ha scritto : "Programmi tesi a de-radicalizzare aspiranti o veri e propri jihadisti (inclusi reduci da scenari di guerra) sono presenti in vari paesi europei da una decina d’anni. L’Unione Europea ne ha incoraggiato la diffusione, spesso finanziando programmi di enti statali e organizzazioni della società civile. L’Italia non ha finora sviluppato una strategia in merito e programmi del genere non sono ancora stati introdotti nel nostro paese. Ma gli operatori dell’antiterrorismo ne segnalano l’utilità e la politica comincia ad ascoltarli.
Il 9 settembre 2014, durante un intervento in Parlamento sulla minaccia del terrorismo islamista, il ministro dell’Interno Angelino Alfano ha parlato dell’opportunità d’introdurre «strategie di de-radicalizzazione del jihadismo, avvalendosi del supporto e dell’esperienza di insegnanti, assistenti sociali e imam moderati»".
Fino ad oggi però sul questo fronte non era seguito nulla.
Oggi apprendiamo, e vengo al 4 pilastro, leggendo l'intervista al ministro Alfano, l'intenzione di emulare il presidente USA Obama con il summit tenuto alla Casa Bianca lo scorso febbraio sugli strumenti di contrasto all'estremismo violento.
L'approccio usato in quella occasione è molto chiaro: il presupposto di partenza è che "la collaborazione tra intelligence, la forza militare, e quelle di sicurezza da sole non risolvono - e quando abusato possono invece esacerbare - il problema dell'estremismo violento" (si veda https://web.archive.org/web/20150221190438/https://www.state.gov/j/ct/cvesummit/releases/237673.htm).
I tre pilastri del CVE sono:
- Costruzione di sensibilizzazione sui processi di radicalizzazione violenza e di reclutamento;
- Contrastare le narrazioni estremiste, come la promozione on-line di contro narrazioni promosse della società civile;
- Valorizzare gli sforzi delle comunità locali che intervengono consentendo di interrompere il processo di radicalizzazione prima che un individuo si impegni in attività criminali.*
Qualcosa di completamento nuovo per le politiche messe in atto nel nostro paese nella lotta al terrorismo (almeno dal tempo ormai lontano delle legislazione premiale su pentiti e dissociati per chiudere gli Anni di Piombo), ma non una novità assoluta visto che qualche esperienza è stata fatta ed è anche stata valorizzata a livello europeo.
L'Alto Rappesentate europeo Federica Mogherini, a tale Summit della Casa Bianca a febbraio, disse: "Dal 2011, il Radicalisation Awareness Network (RAN) ha lavorato con oltre un migliaio di operatori locali e più di ottocento organizzazioni provenienti da tutta Europa: ad essi è stata data la possibilità di sviluppare raccomandazioni politiche, per raccogliere le best practice, per sostenere quelli che affrontano i problemi della radicalizzazione".
Tra gli operatori coinvolti c'è una qualche decina di italiani e la Collezione di buone pratiche delle rete RAN contiene buone prassi anche "Made in Italy" (compreso il progetto torinese C4C), ma si tratta - come scrivevo quasi due anni fa - "di casi isolati che attendono di essere valorizzati e messi in rete" nel nostro paese.
Chissà che sia la volta buona?
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*Ulteriori info in inglese qui https://www.whitehouse.gov/the-press-office/2015/02/18/fact-sheet-white-house-summit-countering-violent-extremism