l 9 maggio è una data che quest’anno ci presenta un incrocio che non può non passare inosservato. Mentre in Italia è il Giorno in Memoria di tutte le vittime del terrorismo, nell’anniversario dell’uccisone di Aldo Moro nel 1978, e in Europa si festeggia il giorno del 1950 in cui Robert Schuman presentò il piano di cooperazione economica, ideato da Jean Monnet; in Russia e nei Paesi dell’ex-blocco sovietico il 9 maggio è il Giorno della Vittoria del 1945 che segna, con la cattura di Hermann Göring e Vidkun Quisling, la fine della seconda guerra mondiale.
È noto che il modo in cui l’establishment di un Paese cerca di costruirne l’identità collettiva passa per l’uso politico del passato, con scelte e iniziative pubbliche costruite attraverso cerimonie, anniversari, celebrazioni, musei, statue, mausolei, opere letterarie e artistiche, insegnamento della storia nelle scuole. Altrettanto noto è che dietro la festa dell’Europa ci fosse l’avvio di un nucleo economico europeo, a partire dalla messa in comune delle riserve di carbone e acciaio, come primo passo indispensabile al mantenimento della pace sul continente.
Meno noto, invece, il fatto che l’establishment ucraino post-Majdan, successivo cioè alla caduta nel 2014 del regime filo-russo del preside Viktor Janukovyč, decise di ridisegnare il Giorno della Vittoria cambiatogli nome, con il decreto del presidente Petro Poroshenko del 24 maggio 2015, e che avviò così un preciso processo di dekommunizacija – decomunistizzazione – del paese. Da allora le autorità ucraine hanno deciso di trasformare l’omaggio agli eroi della Grande Guerra Patriottica, commemorandone piuttosto le vittime, come si usa nell’Europa occidentale: una giornata della Memoria e della Riconciliazione.
Così come il conflitto in Ucraina era già iniziato dal tempo dalla guerra del Donbass, parimenti sono seguiti paralleli gli atti simbolici - come la recente decapitazione la testa “russa” nella demolizione del monumento che rappresenta due operai, uno ucraino e l'altro russo, mentre sorreggono la stella dell'Ordine sovietico dell'amicizia – che segnano un processo di separazione di identità e memoria(li). Se nel 2015 l’establishment ucraino, come del resto gli intellettuali, potevano ancora scommettere su una riconciliazione, su una convivenza di culture e lingue russe e ucraina, oggi questo sembra impossibile. Una impossibilità che ci porta a riflettere sulle memorie divise della nostra storia nazionale che negli ultimi 15 anni ha visto opporsi, ogni 9 maggio, chi spendeva il suo ricordo per Aldo Moro e le oltre 400 vittime italiane del terrorismo dell’Italia repubblicana e chi per Peppino Impastato, il giornalista e attivista politico noto per le sue denunce contro le attività di Cosa Nostra, a seguito delle quali fu assassinato 10 ore prima del presidente della Democrazia Cristiana.
Alcune memorie diventano ufficiali, con le loro cerimonie di Stato, mentre altre restano private, patrimonio di una sola parte politica, come capita anche nell’estrema destra italiana e le sue commemorazioni dei camerati caduti negli scontri di piazza con l’estrema sinistra o verso i caduti delle Repubblica di Salò. Di fronte ai conflitti, la riconciliazione è una speranza sempre aperta, mentre l’idea di “memoria condivisa” è un ossimoro che resta una chimera. Tuttavia ci sono segni di queste tragiche memorie che lasciano tracce di conoscenza. Se l'epitaffio inciso a Cinisi (PA) sulla tomba di Peppino Impastato, recita: "Rivoluzionario e militante comunista - Assassinato dalla mafia democristiana", davanti alla tomba di Aldo Moro a Torrita Tiberina (RM), è stato apposto un epitaffio solo nel 2005, in spagnolo, che in italiano recita: “In memoria di Aldo Moro morto a causa della cecità criminale delle Brigate Rosse e abbandonato da coloro che considerarono che la salvezza della sua vita non meritasse il disonore di una sconfitta”.
Quest’ultimo epitaffio, oltrepassando la retorica delle commemorazioni ufficiali o quelle private di una parte politica, è quanto oggi non dovrebbe passare inosservato. Ci dice, infatti, qualcosa che ci interroga, davvero in profondità, sul prezzo da pagare per la salvezza di qualunque vita: ieri oggi o domani.