Sono veramente assai curiose le tesi di De Luna del suo ultimo saggio “la Repubblica del dolore”, di cui La Stampa ha fornito un anticipo lo scorso 3 aprile.
Leggendo l'anticipazione, a Berlusconi andrebbe addebitata anche la privatizzazione delle memorie attraverso le sue “televisioni del dolore” le quali, fin dagli anni ’80, avrebbero reso impossibile agli storici di fare il loro mestiere e alle istituzioni pubbliche di mantenere la loro identità nazionale. Per compensare la deriva televisiva e privatistica della memoria, la classe politica non avrebbe trovato di meglio da fare che approvare una serie di “leggi di memoria”, per le vittime di questo e quell’altro. Con il pessimo risultato di ottenere che “la centralità delle vittime posta come fondamento di una memoria comune divide più di quanto unisca”.
In tutta franchezza, è difficile vedere un paese che sia diviso perché c’è un giorno dell’anno dedicato delle vittime della mafia, piuttosto che a quelle della shoah, o a quelle delle foibe. L’impressione è che lo storico torinese, curatore tra l’altro della mostra sui 150 anni di Unità d’Italia (nella quale per altro le vittime della mafia sono le uniche privilegiate da un spazio apposito), abbia annegato un problema in un contesto più ampio per nasconderlo, forse, anche alla sua coscienza di ex militante degli anni ’70. Le sole vittime che dividono il paese in modo palese, ma più spesso sotterraneo, sono quelle del terrorismo.
Il punto risulterà anche più chiaro se si ha voglia di andare a sentire le stesse tesi espresse nel contesto di un convegno francese dell'anno scorso a Lione, dedicato alle memorie dei figli degli anni di piombo.
Quest’ultime, è abbastanza noto che non abbiano mai goduto per oltre 30 anni né di buona stampa, né di alcuna attenzione da parte degli storici. La loro memoria non ha interessato per decenni nessuna televisione, nessun partito, nessun ricercatore, fino a quando non hanno posto la loro esistenza all’onore del mondo attraverso internet, e quando giornalisti, come Giovanni Fasanella, hanno iniziato ad intervistarle per un libro o poi quando le stesse vittime hanno iniziato loro stesse a scriverne.
Solo tardivamente è intervenuto il Parlamento con la legge di memoria, nel 2007: trent’anni dopo le uccisioni di Carlo Casalegno, di Antonio Custra, di Roberto Crescenzio, solo per fare alcuni nomi di chi morì nel 1977.
Non ci risulta che né le istituzioni, né gli storici ci abbiano messo tanto tempo per curare in modo pubblico la memoria dei partigiani ammazzati dai fascisti o degli internati nei lager nazisti.
In tutta franchezza, è difficile vedere un paese che sia diviso perché c’è un giorno dell’anno dedicato delle vittime della mafia, piuttosto che a quelle della shoah, o a quelle delle foibe. L’impressione è che lo storico torinese, curatore tra l’altro della mostra sui 150 anni di Unità d’Italia (nella quale per altro le vittime della mafia sono le uniche privilegiate da un spazio apposito), abbia annegato un problema in un contesto più ampio per nasconderlo, forse, anche alla sua coscienza di ex militante degli anni ’70. Le sole vittime che dividono il paese in modo palese, ma più spesso sotterraneo, sono quelle del terrorismo.
Il punto risulterà anche più chiaro se si ha voglia di andare a sentire le stesse tesi espresse nel contesto di un convegno francese dell'anno scorso a Lione, dedicato alle memorie dei figli degli anni di piombo.
Quest’ultime, è abbastanza noto che non abbiano mai goduto per oltre 30 anni né di buona stampa, né di alcuna attenzione da parte degli storici. La loro memoria non ha interessato per decenni nessuna televisione, nessun partito, nessun ricercatore, fino a quando non hanno posto la loro esistenza all’onore del mondo attraverso internet, e quando giornalisti, come Giovanni Fasanella, hanno iniziato ad intervistarle per un libro o poi quando le stesse vittime hanno iniziato loro stesse a scriverne.
Solo tardivamente è intervenuto il Parlamento con la legge di memoria, nel 2007: trent’anni dopo le uccisioni di Carlo Casalegno, di Antonio Custra, di Roberto Crescenzio, solo per fare alcuni nomi di chi morì nel 1977.
Non ci risulta che né le istituzioni, né gli storici ci abbiano messo tanto tempo per curare in modo pubblico la memoria dei partigiani ammazzati dai fascisti o degli internati nei lager nazisti.
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P.S. 14.04.2011 Testo finale del Diretto Aiviter in merito allo storico De Luna: VITTIME DEL TERRORISMO: RAGGIUNTO IL MASSIMO PARADOSSO