domenica 27 gennaio 2013

Le vittime della Shoah e quelle del terrorismo

INTERVENTO PER LA RIUNIONE PLENARIA DELLA RETE DI SENSIBILIZZAZIONE AL PROBLEMA DELLA RADICALIZZAZIONE - Radicalisation Awareness Network (RAN) - DELLA COMMISSIONE EUROPEA, DG AFFARI INTERNI. Bruxelles, 28.01.2013



In occasione del lancio delle rete RAN nel settembre 2011, paragonai la narrativa delle vittime del terrorismo a quella dei sopravvissuti dei campi di concentramento nazisti. L'insieme delle testimonianza dei sopravvissuti, succedutesi nel secondo dopoguerra, tra pubblicazioni ed interviste audiovisive, costituiscono un corpus letterario dotato di un carattere fondante dei valori dell'edificio europeo che in quel periodo prendeva avvio grazie all'opera dei vari Monet, Shumann, Adenauer, De Gasperi.
Tale corpus possiamo considerarlo anche come forma di contro narrazione rispetto alla propaganda fascista, razzista, nazionalista e sciovinista che si era dispiegata tra le due guerre in molti paesi europei. L'intento reiterato di tanti testimoni dell'olocausto era infatti: “racconto oggi perché non si ripeta domani”.

Oggi, a distanza di decenni, nonostante le molte iniziative didattiche che ancora si attuano nelle scuole di tutta Europa per rendere vivo il monito di quelle testimonianze, sappiamo che quel corpus non ha impedito che gruppi e singoli si facessero interpreti attivi, e spesso violenti, di nuove forme eredi di fascismo o razzismo. Ma, d'altra parte, anche se non è possibile misurare quanto quel corpus e la sua di diffusione tra i giovani europei - pensiamo alla lettura del diario di Anna Frank, per fare un solo esempio - abbia funzionato in termini di prevenzione, è innegabile che esso abbia svolto un ruolo pedagogico determinante nella formazione culturale e nelle capacità critiche di intere generazioni, largamente immuni da virus totalitari e xenofobi.

L'ipotesi che formulai in quell'occasione fu che le vittime delle terrorismo con le loro testimonianze possano svolgere un ruolo analogo nel contesto attuale dei pericoli di radicalizzazione violenta in Europa.
Quali le differenza, quali le analogie tra le due narrative? L'ipotesi è confermata? A quali condizioni?

Tra le analogie ne segnalo tre.
La prima è che da parte delle vittime del terrorismo è fatto proprio lo stesso approccio descritto da Primo Levi in relazione alle vittime dell’Olocausto verso i loro carnefici: “Né perdono, né vendetta, ma giustizia”.
La seconda, l'obbligo, seppur spesso assai faticoso, di testimoniare. Tzvetan Todorov insegna che quando gli avvenimenti vissuti dall’individuo o dal gruppo sono di natura eccezionale o tragica, il diritto di ricordare e di testimoniare diventa un dovere. Un dovere al quale le vittime del terrorismo raramente si sottraggono nelle scarse occasioni loro offerte.
La terza il valore e il limite di tale testimonianza. E’ sempre Primo Levi che ci insegna che non spetta alle ex vittime di capire i propri assassini. Le loro testimonianze costituiscono solo una parte delle fonti utili per ricostruire la storia e comprendere la verità dei fatti, ma possiedono un valore etico e morale che è imprescindibile ad un pedagogia indirizzata alla tolleranza e alla convivenza civile democratica e non violenta.

Passo ora alle differenze.
La più evidente è quella quantitativa: un numero minore di vittime segue evidentemente un corpus minore di opere.
C'è poi la diversificazione geografica e temporale dei fatti di terrorismo che spaziano dagli anni '60 del XX secolo ad oggi in aree diverse, con intensità e caratteristiche proprie.
La differenza che però mi interessa sottolineare è quella che rende più problematica la narrativa delle vittime del terrorismo nei confronti dei fruitori delle loro testimonianze.
Tale differenza, risiede nella natura stessa del fenomeno che sfugge ad una lettura immediata e ad una interpretazione manichea. Non è un caso che sia quasi un secolo che la comunità internazionale cerca una definizione condivisa che definisca in modo univoco il terrorismo.
Le vittime del terrorismo sono vittime, infatti, di un fenomeno di non facile interpretazione da parte della società e della pubblica opinione, per il carattere equivoco della sua comunicazione e quello indiretto dei suoi metodi di agire. Un fenomeno nel quale il movente degli atti è giustificato dagli autori con cause "buone" o in risposta a gravi ingiustizie patite, mentre il suo agire si indirizza con violenza, nella maggioranza dei casi, verso soggetti completamente casuali, o debolmente connessi alle presunte responsabilità addebitate loro dagli autori.
In sintesi, i piani di lettura del fenomeno sono molteplici e non tutti espliciti, e questa peculiarità non facilità il riconoscimento delle vittime come parte 'positiva' del conflitto nella quale identificarsi da parte del corpo della società. Una parte di questo resta infatti coinvolto nella propaganda e individua come eroe, il terrorista; un'altra parte resta neutrale al conflitto, interdetta dalla complessità ed opacità dei molteplici interessi delle parti in gioco.

Allora, se il superstite della barbarie nazifascista, nel suo narrare, descrive e mette in guardia dalla banalità del male, per usare la definizione di Hanna Arendt, in un contesto che è estremo, per violenza organizzata, ma lineare per i ruoli delle parti (chi sono i responsabili, chi le vittime, chi i soggetti che hanno aiutato le vittime, chi quelli che hanno aiutato i carnefici…); la vittima del terrorismo, dal canto suo, deve descrivere un male che si manifesta attraverso un atto che comunica, oltre un terrore diffuso, un messaggio il cui destinatario non è sempre chiaramente identificabile o univoco, e i cui attori, ad eccezione delle vittime stesse, agiscono in un contesto geopolitico internazionale nel quale sono portatori di molteplici interessi, taluni palesi altri occulti.
Prendiamo il caso di ETA in Spagna. Qualcuno può negare che la Francia, paese confinante con i Paesi Baschi, abbia avuto un atteggiamento univoco e trasparente verso i terroristi dell' ETA che agivano di nascosto nel suo territorio? Una delle prime lezioni apprese dalle vittime del terrorismo italiane, fin dagli anno '80, è che il terrorismo, anche quello che può sembrare il più locale ed endogeno, è sempre un fenomeno internazionale.
Ancora più difficile da raccontare è il contesto degli attentati di matrice jihadista con la sua rete di cellule che si interseca in una fitta e opaca rete di relazioni geopolitiche, la cui complessità è incomparabile con la semplicità dello schema in campo durante la Seconda Guerra mondiale: con le Potenze dell'asse, da una parte, e le Nazioni Alleate, dall'altra.

Questa differenza, che evidenzia la complessità che la narrazione delle vittime del terrorismo deve affrontare per descrivere il contesto nel quelle si sono trovati a subire la violenza e il dolore, trova un soluzione proprio nel livello sovranazionale, come quello europeo, che svincoli in qualche modo, i fatti e il loro valore morale, dalla contingenza politica nazionale, dove rischiano di restare chiusi in letture sterili o strumentali, e così depotenziate del loro valore morale e pedagogico.
Pensiamo alla situazioni delle vittime dell'attentato dell'11 Marzo 2004 alle stazioni di Madrid. Ricorderete che il giorno stesso si affrontarono due ipotesi diverse sulla responsabilità di quella strage, quella dell'Eta e quella Jihadista, avanzate in modo politicamente strumentale dai due maggiori partiti spagnoli in funzione delle imminenti elezioni parlamentari e in relazione al loro diverso atteggiamento di fronte all'intervento nella guerra in Iraq e di fronte al separatismo Basco. In questo modo le vittime potevano osservare che il loro dolore non aveva un valore di per sé, assoluto, ma acquisiva un valore relativo in funzione dell’ideologia in nome della quale erano state attaccate.

E' quindi solo da un livello sovranazionale che possono giungere a maturazione le condizione di premessa che affidano valore alla testimonianza delle vittime del terrorismo. Il primo passo in questo senso è stata l'istituzione della Giornata Europea in Memoria delle Vittime del terrorismo introdotta dal Europarlamento nel 2004 e il documento di lavoro della Commissione Europea del 2005 intitolato "Lotta al terrorismo. Un memoriale dedicato alle vittime del terrorismo" il cui incipit recita: "Quando un cittadino della UE è vittima del terrorismo è l'intera comunità dei cittadini dell'Unione ad esterne vittima". Questi due atti sono stato il prologo alle attività che si sono succedute negli anni successivi, e che attraverso progetti e reti sostenute e finanziate dalla Commissione, hanno permesso alle vittime e alle loro organizzazioni di maturare una analisi sempre più approfondita delle criticità e delle potenzialità delle loro voce.

Un primo quadro delle condizioni per cui la voce delle vittime può diventare una contro narrazione efficace, analoga a quelle dai reduci della Shoah, sono contenute nel documento con le raccomandazioni preparate del nostro gruppo di lavoro in seno alla RAN.
Ma la più importante è presente anche nel 'Discussion paper' di domani, laddove si richiede supporto per le vittime del terrorismo. Tale supporto va inteso come necessità di elevare il loro status sociale e morale, con politiche che, favorendo un percorso di resilienza, valorizzi e potenzi l'autorevolezza della loro voce e testimonianza di fronte alla pubblica opinione. Queste politiche di supporto, a livello locale, nazionale ed europeo, sono quindi una precondizione perché la voce delle vittime del terrorismo acquisti il valore e la forza di una contro narrativa dotata di valore pedagogico nella prevenzione del radicalismo violento tra i giovani e gli studenti, da una parte, e capace di contrastare le differenti forme di propaganda con i loro messaggi di distruzione, odio, razzismo e intolleranza, dall’altra.

Grazie della vostra attenzione.


Comunicato Stampa della Commissione Europea: Più agguerriti contro l’estremismo violento

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