“Il ceto politico è diventato
una casta senza ricambio e senza rapporti di vissuto personale con la
vita di lavoro. Una casta che vive di sogni e di parole, ma che non
conosce la vita né la società reali. Una casta di privilegiati per i
quali il peso di un lavoro produttivo, di una disoccupazione, di
problemi di indigenza non protetta da solide amicizie politiche e
legami, favorisce le astrazioni più totali. Astrazioni che in alcune
menti di livello (pochissime e per lo più di provenienza dal mondo del
lavoro) producono proposte o, quanto meno capacità critiche, ma che
nella generalità dei casi non producono nulla e nei casi peggiori
producono criminalità: bianca (corruzione) e rossa (sangue).”
Non
si tratta di una citazione da Antonio Stella né da qualche grillo o
grillino. Il concetto di astrazione non sarebbe alla portata
intellettuale di nessuno dei recenti moralizzatori anticasta. Non si
tratta neppure di una frase scritta negli ultimi 5 o 10 anni. Siamo in
tutt’altro contesto storico e di discorso da quello che si può
immaginare. Siano nel 1987, il suo autore è Sergio Lenci, il testo è
tratto dalle sue memorie intitolate “Colpo alla nuca”:
Venerdì 2 maggio 1980: siamo nel pieno degli anni di piombo e quattro terroristi di Prima Linea irrompono nello studio di Sergio Lenci, architetto romano specializzato in edilizia carceraria. Gli mettono un cerotto sulla bocca, lo trascinano in bagno, lo spingono sul pavimento tra il water e il lavandino e gli sparano un colpo mortale: una pallottola sola, calibro nove, dritta alla nuca. Ma Lenci miracolosamente sopravvive, con la pallottola per sempre conficcata nella testa e con un grande desiderio: capire il perché del terrorismo e il senso, se esiste, della violenza quale forma di lotta. Le sue memorie registrano il tormento di chi dapprima si chiede "perché io?", poi soltanto "perché?". Ma il terrorismo non dà risposte. Neppure gli incontri in carcere con Giulia Borelli, unica donna del commando, offriranno una giustificazione plausibile al calvario fisico e morale che Lenci è stato condannato a vivere.
Tale memoriale presentato al Premio di Pieve
Santo Stafano (Arezzo) dedicato a diari, memorie ed epistolari, fondato
da Saverio Tutino, vince l’edizione 1987 e viene pubblicato dagli
Editori Riuniti. Poi resta per due decenni un testo difficilmente
reperibile e viene riedito da “il Mulino” solo nel 2010. Nel frattempo Lenci è purtroppo morto nel 2001.
Il
brano sopra riportato è un inciso che compare come riflessione
conclusiva, in una pagina di diario datata 25 aprile 1987, che commenta
gli articoli apparsi sul n.1 della rivista MicroMega. Le ragioni della
sinistra” dello stesso anno e dedicati a rendicontare il secondo di due
seminari che si sono tenuti al carcere di Rebibbia, tenuti da Gino
Giugni, Giuliano Amato, Norberto Bobbio e Carol Beebe Tarantelli con un
gruppo di terroristi tra i quali Azzolini, Bignami, D’Elia, Franceschini
ed altri.
La
frase che procede tale inciso poneva infatti un interrogativo retorico
su “come mai questi giovani (oggi non più tanto giovani) ex terroristi
continuino quasi maniacalmente a occuparsi di politica, non come un
cittadino comune, ma come interlocutori privilegiati del potere.” Poi
prosegue: “Mi sembra di capire che essi continuino quella prassi della
politica come professione, come lavoro, che è una caratteristica della
nostra repubblica di oggi”. E conclude: “Può apparire paradossale, ma
non credo che lo sia: la società delle aree omogenee e dei collettivi
carcerati (quelle in cui si organizzavano gli ex terroristi dissociati, n.d.a.) è,
in piccolo, speculare a quella dei partiti, una società assistita, non
produttiva, con legami non chiari con il mondo del lavoro”.
Il
testo di Lenci, la seconda vittima del terrorismo a scrivere le sue
memorie dopo Mario Sossi, tra le innumerevoli denuncie che contiene di
grandissimo interesse, presenta questa acuta analogia che serve a gettare luce su aspetti rilevanti ancora oggi, a distanza di 25 anni dalle sue parole.
Nel
caso specifico, il ruolo politico di primo piano giocato dai terroristi
anche quando diventati ex (prima in carcere e poi da uomini liberi in
seno a organizzazioni ed associazioni politiche quando non direttamente
alle istituzioni locali e nazionali) è una denuncia che non ha il solo
carattere etico che recita: queste persone prima combattevano lo Stato e
ora vi collaborano senza avere detto tutta la verità sulle loro storie
di terroristi e quindi senza rispetto verso le legittime aspettative
delle loro vittime. Lenci entra anche nel merito squisitamente
politico-sociale relativo al professionismo del
ceto politico, caratteristica che permea la sinistra storica italiana,
di ieri e di oggi, sia nella sua classe dirigente di partito che in
quegli elementi deviati che sono i terroristi o ex tali*.
Questo è solo un saggio della profondità delle varie analisi contenute nel testo di Sergio Lenci le quali sono
una vera miniera che ancora deve essere finita di esplorare. Molte di
queste analisi riguardano l’ambiguo atteggiamento tenuto dagli ex
terroristi, da ufficiali e magistrati dello Stato, da dirigenti del PCI e
PSI.
P. S. (2017) il mantenimento di un 'engangement' politico dei 'former', cioè degli ex terroristi, è stato osservato anche in quello più recente di matrice jihadista. Questo dato, che sottolinea la natura squisitamente politica dei vari terrorismi, necessità di essere osservato anche da un'ottica opposta a quelle di Sergio Lenzi: l'impegno politico degli ex terroristi italiani 'dissociati' o di quelli 'jihadisti' di molti paesi, almeno in alcuni casi, si è esplicato in attività sociali, talvolta nello stesso contesto carcerario, finalizzate al recupero e al disengangement dalla violenza o deradicalizzazione.
P. S. (2017) il mantenimento di un 'engangement' politico dei 'former', cioè degli ex terroristi, è stato osservato anche in quello più recente di matrice jihadista. Questo dato, che sottolinea la natura squisitamente politica dei vari terrorismi, necessità di essere osservato anche da un'ottica opposta a quelle di Sergio Lenzi: l'impegno politico degli ex terroristi italiani 'dissociati' o di quelli 'jihadisti' di molti paesi, almeno in alcuni casi, si è esplicato in attività sociali, talvolta nello stesso contesto carcerario, finalizzate al recupero e al disengangement dalla violenza o deradicalizzazione.
*Si tratta di un tema sul quale di recente ha riflettuto Miguel Gotor (filologo, poi storico, successivamente editorialista di "la Repubblica" e di Italiani/Europei, infine parlamentare dell'area di Bersani) in senso opposto: individuando una parentela tra "odio di classe" delle terroristi rossi di ieri e l'antipolitica e l'odio verso la casta di oggi (in "Memoriale della Repubblica")