Qualche giorno fa è giunta in Italia la
notizia di un nostro connazionale morto in Siria, combattendo con l'ala
oltranzista della ribellione contro il regime di Bashar al-Assad. "Giuliano
Delnevo, 23enne genovese, si era convertito all'islam nel 2008. Di
famiglia non musulmana, si era avvicinato alla causa probabilmente
grazie alla predicazione online, in un percorso che lo aveva portato
alla radicalizzazione e ad avvicinarsi a gruppi estremisti." (vedi la sua storia qui)
Giampiero Massolo,
direttore del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (Dis)
sottolinea come l'Italia non sia un "bacino di reclutamento", ma che il
rischio di una radicalizzazione autonoma sia pur sempre presente. Il
vero problema non è infatti l’uscita di italiani verso la Siria, ma
soprattutto il rientro di cittadini europei, o meno, che dalla Siria
rientreranno in futuro in Europa, molti dei quali passando dall’Italia.
Il
punto critico, su cui si sono allertate alcune nazioni europee, i loro
ministri degli Interni e la Commissione Europea è infatti il numero
crescente di combattenti stranieri (foreign fighters) in Siria: il 90%
arriva da paesi come Libano, Yemen e dal Nord Africa, il 10% arriva
invece proprio dall’Europa. La vera preoccupazione è connessa ai rischi
del loro rientro nei rispettivi paesi di questo 10% e di una parte del
restante 90% come migranti. Un parte di loro, potrebbe infatti
rappresentare un serio pericolo per la sicurezza interna ai vari paesi UE,
trattandosi di soggetti, non solo radicalizzati, ma dotati di una
esperienza fattiva di combattimento che può trasferirsi nei nostri
paesi.
Si tratta allora di attivare delle misure preventive rivolte ad una adeguata formazione verso tutti coloro che lavorano alle frontiere,
in modo particolare alle nostre complicate frontiere, come Lampedusa.
Gli stessi cittadini europei infatti non potrebbero tornare nei
rispettivi paesi per via legale, essendo molti già conosciuti come
espatriati in Siria.
Tali misure
preventive riguardano una attività di formazione atta a fornire una
piena consapevolezza di questa pericolo ai soggetti coinvolti a vario
titolo nelle attività di frontiera e immigrazione: dalla polizia al
personale sanitario e di soccorso, dalle ONG che svolgono attività di
accoglienza e supporto ai migranti, ai leader delle comunità locali e a
quelli religiosi.
La "Rete sulla consapevolezza dei problemi della radicalizzazione" (RAN),
istituita dalla Direzione Generale Affari interni della Commissione
Europea, sta raccogliendo proposte e progetti concreti per attivare tali
misure preventive. C’è da augurarsi che il nostro governo le faccia poi
proprie non contando solo sulle sue ottime capacità di intelligence,
che per altro, fino ad oggi, ci hanno messo al riparo da attentati
terroristici di matrice jihadista.
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