Talvolta i libri diventano più chiari e
cocenti nel loro messaggio molti anni dopo. È i caso di “La libertà e i
suoi nemici”, un intervista a Michael Walzer, un dei massimi esponenti
liberal degli Stati Uniti, da parte di Maurizio Molinari, oggi
direttore de La Stampa.
Il
messaggio fondamentale di tale testo, edito da Laterza nel 2003, è che
la sinistra non può lasciare alla destra il tema della sicurezza e della
lotta al terrorismo. Ma quello che mi preme sottolineare oggi, di
fronte alle ondate di profughi e migranti verso l’Europa, è un singolo
passaggio. Questo:
Domanda: Nel suo libro “Sulla tolleranza” (“On Tollerance”, 1997) ha scritto che non tutto il mondo è tollerante come l’America, lo crede ancora?
Risposata: Sì, certo. La differenza cruciale è che nel XIX secolo in America, per il bene del paese intero, gli anglosassoni hanno accettato di trasformarsi in minoranza sul loro stesso territorio. Nessuno ha mai preso neppure in considerazione che italiani, olandesi o tedeschi potessero diventare minoranze nel loro paese. I norvegesi rappresentano il caso simbolo: fecero la secessione dalla Svezia per potere continuare nel futuro a riprodursi, per non mutare come etnia, nel timore di estinzione. Noi invece abbiamo accettato curdi, polinesiani, congolesi, tutti. L’integrazione dei mussulmani è un problema più europeo che americano, perché ad esempio gli italiani vogliono che l’Italia resti loro; da noi la realtà è diversa.
I
dati demografici ed economici basterebbero all’Europa, e in
particolare all’Italia, per dare il benvenuto ad ogni immigrato
(rifugiato o meno), ma sappiamo bene che lo spettro di populismo e
xenofobia si aggira nel nostro continente.
Eppure
oggi mi pare lampante che i paesi Europei sono di fronte alla
prospettiva di una lunga crisi, bellica e umanitaria, ai confini
mediterranei e orientali, e quindi si trovano davanti alla stessa scelta
dirimente dei nordamericani del XIX secolo: accettare o meno di
diventare minoranza. Se l’Unione Europea imploderà, sarà forse a causa
di politiche monetarie e crisi economiche di singoli stati, ma il senso
più profondo credo sarà quello di non aver avuto tutti il coraggio di
scegliere quello che solo all’apparenza è un “suicidio etnico”, ma che,
come la storia degli USA nel XX secolo dimostra, in vero si tratta
dell’unica determinazione da prendere, se si hanno serie ambizione e
responsabilità politiche.
Questa
scelta potrebbe essere almeno fatta propria da quei paesi che furono
all’origine del percorso di integrazione europea, o almeno da quei paesi
mediterranei che più hanno sedimentato la cultura del contagio. Nessuno
dice che sia scelta facile e indolore. Sono evidenti i problemi di
integrazione e gestione delle diversità: ma abbiamo anche un secolo di
esperienze altrui che potrebbero aiutare le scelte delle politiche
corrette, per non parlare dei casi dei secoli lontani (historia
magista), imperi o califfati che fossero.
L’argomento
cruciale non è fatto dell’astratto buonismo (su base etica,
caritatevole e umanitaria) su cui investe gran parte nel suo discorso
pubblico la sinistra italiana di fronte al tema immigrazione. Inoltre il
caso francese dimostra come la sinistra stessa sia in grado di far
propria qualunque politica di destra, come è successo a seguito degli
spaventosi attentati terroristici del novembre scorso a Parigi.
L’opzione di cui parla Michael Walzer è invece una scelta strategica di
civiltà che prescinde da ogni contingente (e desueta) divisione
politica, su cui dovrebbe rivolgere l’attenzione il dibatitto europeo.