lunedì 26 dicembre 2016

Terrorismo internazionale: la continuità del ruolo italiano

L'uccisione a Milano di Anis Amri, non lontano da dove aveva sequestrato il camion col quale ha compiuto la strage al mercatino di Natale a Berlino, dimostra come il nostro paese sia utilizzato dal terrorismo islamista come supporto logistico. "Un’area di non operatività militare in cui c’è una base forte che garantisce le attività di sostegno e sussistenza delle azioni terroristiche", come lo definisce Ugo Maria Tassinari in una recente intervista.
Un ruolo, quello dell'Italia, che non può non rammentare quello analogo nel “lungo decennio” di terrorismo di matrice arabo-palestinese: il periodo tra i due attentati a Fiumicino del 17 dicembre 1973 e quello del 27 dicembre 1985. Un decennio raccontato in un recente documentario, significativamente intitolato "Il terrorismo dimenticato" e visionabile integralmente sul sito di RAI Storia qui.
Analogie da approfondire. A solo titolo di esempio: nella storia di Anis Amri la sua radicalizzazione avviene, almeno in parte a giudicare dalle cronche, nelle carceri italiane; così come non furono pochi a politicizzarsi e ad essere reclutati  in carcere nelle fila del terrorismo rosso durante gli Anni di piombo (Casare Battisti per citare solo il caso più famoso). Nel caso presentato nel suddetto documentario la testimonianza ci racconta la radicalizzazione in giovanissima età avvenuta nel campi profughi palestinesi; oggi i campi di addestramento dei bambini soldato dell'ISIS sono tristemente famosi.
Historia vero testis temporum, lux veritatis, vita memoriae, magistra vitae, nuntia vetustatis (Cicerone, De Oratore, II, 9, 36). Di fronte alle sfide attuali, che affrontino il terrorismo o le forme a monte di reclutamento e radicalizzazione violenta, tra le molte competenze necessarie ad un approccio olistico, il ruolo della storia rischia di essere sottovalutato. Si fatica spesso a separare le cifre di novità degli scenari della geopolitica e la lunga durata di certi fenomeni storici.


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