sabato 22 dicembre 2018

Caso Battisti: tutto uguale a 15 anni fa, ieri in Francia oggi in Brasile



Ricordo bene quando scoppiò per la prima volta il caso del latitante dei PAC (Proletari Armati per il Comunismo), Cesare Battisti, condannato in relazione a 4 omicidi durante gli "anni di piombo". Era il 2004 e l'allora neo presidente della repubblica francese, Nicolas Sarkozy, decise di metter fine alla "dottrina Mitterrand" che permetteva di lasciare tranquilli in Francia i terroristi italiani, rifiutando le domande di estradizione.

L'agenzia ADNKRONOS il 3 Marzo 2004 riportò il seguente comunicato:
L’Associazione italiana vittime del terrorismo accoglie ”con una certa perplessità” la notizia (della liberazione di Cesare Battisti, l’ex leader dei Proletari armati per il comunismo arrestato il 10 febbraio scorso a Parigi, n.d.r.). ”La Francia -dice all’ADNKRONOS Maurizio Puddu, presidente dell’associazione- è un Paese della Ue e dovrebbe cercare di ottemperare alle legittime richieste di giustizia dell’Italia, altro Paese membro dell’Unione. Zone franche del terrorismo non sarebbero un buon biglietto da visita per l’Unione in materia di cooperazione giudiziaria”. ”A questo punto -continua Puddu- e’ importante che Battisti sia in qualche modo controllato in attesa dell’udienza che deciderà l’estradizione. Un’eventuale fuga sarebbe una beffa per le famiglie delle vittime, che non vogliono ergersi a giudici ma che non devono essere costrette ogni volta a rivivere lutti e tragedie”. (1)

Non ci vuole molto a comprendere che quanto occorso pochi giorni fa in Brasile è la fotocopia di quanto temeva  Maurizio Puddu 15 anni fa, nel 2004; con l'unica variante che invece di una liberazione in attesa dell'estradizione, viene data la notizia dell'estradizione prima che il latitante sia arrestato. Il risultato è evidentemente il medesimo: permettere a quest'ultimo di prendere il largo, scappando in un altro paese.

L'amara differenza, tra ieri e oggi, per il sottoscritto, risiede nel fatto che a svelare il possibile inganno, "un’eventuale fuga", non sia stata l'Associazione vittime vittime del terrorismo (Aiviter), ma l'avvocato stesso del latitante, Igor Sant’Anna Tamasauskas, che spavaldamente dichiara a "la Repubblica":

«E' stato l’annuncio del mandato d’arresto a permettere a Battisti di fuggire, visto che la notizia è stata data in tv quando l’ordine non era stato ancora eseguito, un po’ come era successo a Torino per il blitz contro la “mafia nigeriana” annunciato da Salvini su Twitter quando ancora non era stato concluso (...)».
«Non era mai successo in questo Paese che un ordine di cattura firmato da un giudice del Tribunale Supremo venisse annunciato in diretta dai notiziari radio e tv, finisse on line e il giorno dopo fosse su tutte le prime pagine dei giornali. Normalmente accade che sia io che venga svegliato all’alba da un cliente che mi dice “avvocato, mi stanno arrestando”. E non che mentre vado a letto venga chiamato da decine di giornalisti che mi dicono che stanno per arrestare un mio cliente. Credo che quella fuga di notizie, che per quanto so ha fatto imbestialire la Polizia Federale, sia quello che, in portoghese, definiamo un Ato falho, un’azione che ha come suo scopo l’opposto di ciò che si prefigge. Detta in altro modo, penso che quella fuga di notizie sia servita a chiudere la partita senza danni per nessuno. Il Brasile ha messo fine a una partita politica delicata con l’Italia, capovolgendo la decisione di Lula, e Battisti è stato messo nelle condizioni di non doverne pagare il prezzo lasciandogli la possibilità di fuggire, come ha fatto (...)». (2)

Il paragone con Matteo Salvini è poco pertinente (manca la volontarietà), ma mi permette di ricordare che la risposta allo "scherzo" del Ministro degli Interni alla Procura di Torino è stato un comunicato stampa firmato del Procuratore capo Armando Spataro. Lo stesso magistrato che 2009 inviò all'Associazione Italiana Vittime del Terrorismo i fascicoli delle tre sentenze passate in giudicato dalla Corte d’Assise di Milano, relative a Cesare Battisti e i PAC. Mettemmo allora on line sul sito web dell'associazione tali sentenze (3) perché fosse chiaro a  tutto il mondo che Battisti, pur condannato in contumacia, subì un processò nel rispettò dei crismi di legalità e non da "tribunali speciali", come un carta vulgata voleva far intendere all'opinione pubblica mondiale.

I familiari delle vittime - Andrea Santoro, Pierluigi Torregiani ( e Alberto Torregiani rimasto ferito), Lino Sabbadin, Andrea Campagna - sono state "beffate" ancora una volta e costrette "a rivivere lutti e tragedie". Per parafrasare quanto il presidente Aiviter, Puddu, scrisse a Barbara Spinelli nel 2004: la "ragion di Stato" ha prevalso ancora una volta sulla "forza del diritto naturale" e il "rispetto della vita umana". (4)




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Fonti:
1. http://www.vittimeterrorismo.it/senza-categoria/caso-battisti/
2. https://rep.repubblica.it/pwa/intervista/2018/12/21/news/avvocato_cesare_battisti_igor_sant_anna_tamasauskas-214820613/
3. http://www.vittimeterrorismo.it/iniziative/30-gennaio-2009-online-le-sentenze-sui-reati-di-cesare-battisti-ei-pac/
4. http://www.vittimeterrorismo.it/caso-battisti/cari-amici-francesi-su-battisti-sbagliate/

domenica 16 dicembre 2018

Antonio Megalizzi che non è Sisto Malaspina: o della differenza di trattamento tra vittime

VITTIME E MEDIA

 

 Non è piacevole, in ogni attentato terroristico che coinvolga italiani, avere conferma puntuale delle mie osservazioni sulla percezione sociale delle vittime del terrorismo ( su Rassegna Italiana di Criminologia RIC, N.4 Dec 2017). 

Nell'attentato di Melbourne del 9 novembre scorso la notizia che sia rimasto colpito l'italiano Sisto Malaspina è durata poche ore ed è stata addirittura omessa in alcuni telegiornali nazionali; nel caso di Antonio Megalizzi abbiamo invece un'ampia copertura mediatica. 

Qui il brano che spiega il motivo della differenza di trattamento che alle vittime in generale non fa mai bene.



" (...) Riprendendo invece il tema della percezione degli attentati terroristici e le relative vittime da parte dell'opinione pubblica, ci sono altri aspetti, e altri ancora sono certo che mi saranno sfuggiti, tra i quali segnalo i limiti spaziali e temporali in cui si manifesta la solidarietà alle vittime: a) si svolge nella prima immediatezza dell’attentato, per scemare più o meno rapidamente ; b) è circoscritta geograficamente in un perimetro più o meno grande.

Il primo di questi fattori è la copertura mediatica temporale; l’attenzione dell’opinione pubblica dura fino quando giornali e televisioni ne parlano, ma non solo, l’eco permane anche in considerazione dalla personalità della vittima. Quando essa è un giornalista (pensiamo al rapimento dei reporter Giuliana Sgrena e Domenico Quirico, o alla redazione di Charlie Hebdo), una parte del mondo dell’informazione assurge, almeno temporaneamente, al ruolo di associazione delle vittime, attivandosi per le allargare la solidarietà nello spazio e nel tempo. Manifestazioni pubbliche e corali in molti paesi europei per un attentato sul suolo continentale ci sono state solo dopo Charlie Hebdo, nel gennaio 2015, anche se quell’attentato non è stato sicuramente il più grave inferto alla Francia o al nostro continente. Analogamente la reazione dei media verso i rapiti da organizzazioni terroristiche è asimmetrica rispetto alla richiesta di silenzio stampa che il governo richiede in tali circostanze: se il rapito è un giornalista la richiesta è attenuata o addirittura elusa, se non è giornalista, o in qualche modo esponente di un gruppo in grado di esercitare pressione sui media, la richiesta viene accondiscesa.

Un’altra osservazione empirica ci informa dello spazio; quanto più l’attentato è lontano dalla nostra area di prossimità, quella percepita dall’opinione pubblica dai confini nazionali ed europei, tanto meno si esprime solidarietà verso le vittime. Attentati che hanno colpito giovani vite, simili a quelli di Manchester (2017) o dell’isola di Utoya (2011), se accadono fuori dai confini europei hanno una minima eco sui media e sull’opinione pubblica. Con l’eccezione del rapimento di 276 ragazze nigeriane da parte dei Boko Haram nel 2014 che ha sollevato una vasta campagna in loro sostegno “BringBackOur Girls” partecipata da testimoni del calibro di Michelle Obama, la norma è rappresentata dal fallimento di rendere virale la solidarietà in fatti quali l’attentato al parco di Lahore in Pakistan nel 2016 che ha colpito 30 bambini tra le 72 vittime, o quello al campus universitario di Garissa in Kenia nel 2015 che ha ucciso 150 persone, in maggioranza studenti. Le stesse vittime italiane dei recenti attentati sono riconosciute in modo non dissimile, a seconda che l’attentato sia avvenuto geograficamente vicino o lontano. Vanessa Solesin, la studentessa veneziana uccisa al Bataclan di Parigi nel 2015 ha provocato maggiori partecipazioni di quelle, l’anno successivo, verso i nove italiani massacrati in un ristorante di Dacca, in Bangladesh. Il dato potrebbe essere avvalorato dalle metriche sui trend italiani degli hashtag su Twitter #PrayForParis e #PrayForDhaka." (...)