Il Segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, nel suo messaggio all'assemblea dei giorni scorsi ha affrontato il problema del cambiamento climatico parlando di un mondo “sull'orlo dell'abisso” e ha chiesto a tutti gli Stati membri di far sì che la prossima conferenza sul cambiamento climatico, COP26, sia un successo. Una metafora e un augurio da parte di un anziano esponente cattolico e socialista, degni di quelli espressi dal movimento della giovane Greta Thunberg, che per oggi (venerdì 24 settembre) ha convocato uno Sciopero Globale dedicato proprio al COP26, per rinnovare l’ennesima richiesta di impegno delle classi dirigenti verso la crisi climatica.
Un parallelo che può paventare il saldarsi di una alleanza d’intenti inter-generazionale verso un problema che, ancor più della pandemia e dei conflitti bellici, sta assumendo contorni apocalittici.
Tuttavia, la sensibilità del capo dell’ONU rischia di essere un’eccezione per due ordini di ragioni - l’una politica, l’altra cognitiva - sulle quale è utile soffermarsi.
La prima risiede nella natura largamente deficitaria delle istituzioni internazionali rispetto il primato nelle nazioni. La dissonanza tra le parole di Guterres o della Thunberg e quella dei capi di stato, lo abbiamo visto molte volte in questi ultimi anni, è l’orizzonte politico degli interessi: globali e a lungo temine, i primi; nazionali e a breve termine, i secondi. Sono due modalità dell’agire della politica alle quali Hannah Arendt ha fornito un’utile concettualizzazione distinguendo tra il “politico”, cioè l’attività di governo della macchina amministrativa degli stati, che si oppone alla “politeia”, cioè la possibilità di esprime politiche attraverso forme di cittadinanza attiva e diretta. Non sempre percepiamo chiaramente che i livelli nazionali agiscono in un ambito sempre più limitato alla dimensione del politico, mentre le politiche, cioè quanto incide veramente sulle nostre vite, sono frutto di complesse dinamiche internazionali. Queste ultime sono state spesso ridotte al solo globalismo del rapace capitalismo tecnologico e finanziario con le sue politiche iperliberiste, mentre in vero esiste una ricca varietà di soggetti che ha promosse politiche nei più diversi ambiti e tematiche o almeno ci ha provato. Sicuramente ci stanno provando i giovani dei Fridays For Future. Un movimento che presenta alcune novità rispetto ai suoi antecedenti e che ci porta sul terreno della seconda ragione: la dimensione cognitiva.
La maggior parte di noi adulti e anziani in questo anno e mezzo di pandemia ha allertato i propri sensi sviluppando un’ansia da Covid19: un pericolo verso un nemico che, seppur invisibile, mette a rischio la nostra salute o la vita stessa a breve termine. A settembre 2019, l’agenzia di stampa Reuter segnalava che l’American Psychological Association era consapevole di un crescente aumento di “eco-anxiety” tra i bambini e gli adolescenti. Una forma di ansia apparentemente piuttosto anomala visto che è relativa ad un pericolo che non è solo invisibile ma neppure imminente. O meglio, clinicamente normale solo se la crisi climatica è posta in un futuro percepito da questi giovani come imminente. “Sull'orlo dell'abisso” non è quindi per loro una metafora da propaganda, ma un concreto sentire che provoca ansia e verso il quale gli adulti devono rispondere riconoscendo «le paure dei giovani e offrire loro sostegno per intraprendere azioni positive come l’adesione allo sciopero mondiale del clima dei Venerdì», secondo un altro ente di ricerca, il Climate Psychology Alliance, citato dalla stessa Reuter.
Questa eco-ansia rappresenta una capacità cognitiva di percepire i rischi delle catastrofi imminenti provocate dalla crisi climatica che noi adulti non abbiamo o fatichiamo a raffiguraci per quella incapacità dei moderni di concepire le apocalissi. Lo abbiamo visto nel secolo scorso non solo nell’incapacità di anticipare o prevenire, ma pure nei ritardi decennali che si sono accumulati prima di affrontare gli atroci traumi di Kolyma, Auschwitz o Hiroshima.
Oggi abbiamo migliaia di ragazze e ragazzi in tutto il mondo a manifestare per strada guidati da chi ha una psicopatologia ancor più grave, la sindrome di Asperger. Dovremmo porci qualche domanda, visto che Greta rivendica la sua “malattia” come la vera normalità: «Penso che per molti versi noi autistici siamo quelli normali e il resto della gente è piuttosto strana. Non siamo molto bravi a mentire e di solito non ci piace partecipare al gioco sociale, cui voialtri sembrate così affezionati». Il messaggio è tanto serio quanto semplice, in fondo: distogliere l’attenzione dal teatrino del “politico”, con le sue propagande menzoniere, e volgerlo a una “politeia” che affronti la piena responsabilità verso le nuove generazioni. A noi anziani non lasciare soli i nostri figli e António Guterres.
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