Più studio la violenza politica, più mi allontano dalla politica. Il pregio del film “Esterno Notte” di Marco Bellocchio è di sottolineare esattamente il limite della politica, quando si trova a decidere sulla violenza.
Ai politici affidiamo l’ingrato compito di decidere, il cui etimo, “tagliare la testa alla vittima”, ci dovrebbe ricorda che ogni loro decisione favorisce qualcuno a scapito di qualcun altro (esemplificativo il caso attuale del reddito di cittadinanza, nel quale una parte dei suoi percettori sarà la “vittima di questo governo”).
Aldo Moro era il campione della moderazione politica nel senso più alto: come mediazione per giungere a decisioni col minore impatto sulle vittime chiunque queste fossero. Esemplare questo ruolo durante tutto il primo centro sinistra in Italia. Dopo restò comunque “il meno impiccato di tutti nella cose orribili che sono state organizzate dal ’69”, come lo definì Pasolini nel 1975 sul Corsera, poi ripreso da Sciascia nell’Affaire Moro (1994).
Di fronte al rapimento brigatista, la maggioranza dei partiti di un governo di unità nazionale, ragionò come Caffa, il sommo sacerdote dei farisei alla domanda “che fare?” di fronte al processo a Gesù. Rispose: «Voi non capite nulla. Non vedete dunque come sia meglio che muoia un solo uomo per il popolo e non perisca la nazione intera» (Giov., 11, 47-53).
Chi tradisce la vita non è Giuda, ma bensì la Ragion di Stato e i partiti che la supportano.
L’epitaffio che la famiglia ha scelto di porre sulla tomba di Moro nel 2005, recita esattamente questo concetto: “In memoria di Aldo Moro morto a causa della cecità criminale delle Brigate Rosse e abbandonato da coloro che considerarono che la salvezza della sua vita non meritasse il disonore di una sconfitta”.
Si pensa che la politica sia l’onore del potere, l'augusto ruolo di amministrare la 'res publica', ma di fronte alla violenza, si riduce al ruolo (decisionale) di mandante che sacrifica le vite.