lunedì 21 novembre 2022

“Esterno Notte” tra politica e violenza

Più studio la violenza politica, più mi allontano dalla politica. Il pregio del film “Esterno Notte” di Marco Bellocchio è di sottolineare esattamente il limite della politica, quando si trova a decidere sulla violenza.

Ai politici affidiamo l’ingrato compito di decidere, il cui etimo, “tagliare la testa alla vittima”, ci dovrebbe ricorda che ogni loro decisione favorisce qualcuno a scapito di qualcun altro (esemplificativo il caso attuale del reddito di cittadinanza, nel quale una parte dei suoi percettori sarà la “vittima di questo governo”).
Aldo Moro era il campione della moderazione politica nel senso più alto: come mediazione per giungere a decisioni col minore impatto sulle vittime chiunque queste fossero. Esemplare questo ruolo durante tutto il primo centro sinistra in Italia. Dopo restò comunque “il meno impiccato di tutti nella cose orribili che sono state organizzate dal ’69”, come lo definì Pasolini nel 1975 sul Corsera, poi ripreso da Sciascia nell’Affaire Moro (1994).
Di fronte al rapimento brigatista, la maggioranza dei partiti di un governo di unità nazionale, ragionò come Caffa, il sommo sacerdote dei farisei alla domanda “che fare?” di fronte al processo a Gesù. Rispose: «Voi non capite nulla. Non vedete dunque come sia meglio che muoia un solo uomo per il popolo e non perisca la nazione intera» (Giov., 11, 47-53).

Chi tradisce la vita non è Giuda, ma bensì la Ragion di Stato e i partiti che la supportano.
L’epitaffio che la famiglia ha scelto di porre sulla tomba di Moro nel 2005, recita esattamente questo concetto: “In memoria di Aldo Moro morto a causa della cecità criminale delle Brigate Rosse e abbandonato da coloro che considerarono che la salvezza della sua vita non meritasse il disonore di una sconfitta”.
Si pensa che la politica sia l’onore del potere, l'augusto ruolo di amministrare la 'res publica', ma di fronte alla violenza, si riduce al ruolo (decisionale) di mandante che sacrifica le vite.

“Esterno Notte”


martedì 1 novembre 2022

Texts of Persecution In Girard and Conspiracy Theories In Manzoni: a Pre-crime Approach



Take a look at my last (draft) paper under peer review:

"In Le bouc émissaire René Girard examined a work by the French poet Guillaume de Machouat, to return on the 'texts of persecution' during The Back Death. In this paper I suggest the emergence of both conspiracy theories and vindication texts, similar to ones still being used by contemporary terrorists, during the second wave of plague in Europe in the seventeenth century. This emergence was highlighted in Milan by Alessandro Manzoni, the nineteenth-century Italian Catholic novelist, poet and essayist. According to Girard the reconciliation mimesis to the detriment of the victim is culturally defined by myths and with less and less effectiveness by persecution texts. In analysing Manzoni's work, I will argue that vindications and conspiracy theories are the legacy of the persecution texts of the Early Modern Age: from texts by writers who "consider themselves judges", Guillaume de Machouat in Girard, to texts by people who are in fact judges, those in Milan in Manzoni's Storia della Colonna Infame. Furthermore, this analysis tries to give some evidence on the role the victims of political violence, both by states and nonstate actors, such as the victims of the Shoah and of terrorism, and their contribute to the efforts to find narratives that counter conspiracy theories and improve the efficacy of crime prevention work".

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