La lettera della preside di Firenze che tanto afflato solidaristico sta provocando nelle anime belle del nostro paese, è letteralmente un invito all'odio violento (hate-speech). La frase di Antonio Gramsci ivi citata "Odio gli indifferenti", prosegue così: "Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano". L'indifferenza gramsciana non è quindi, come il testo della lettera insinua surrettiziamente, quella verso la vittima dell'agguato fascista, ma la non reazione allo stesso livello di violenza dei cittadini. Gramsci odia, e la preside invita oggi i suoi studenti a odiare, quei cittadini che non vogliono diventa militanti e miliziani, cioè partigiani; quei cittadini che non rispondono alla violenza con la violenza, alimentando quanto già visto nella spirale degli opposti estremismi durante gli anni '70. Sono quindi solidale coi ragazzi pestati dai fascisti, ma sono orgoglioso di essere indifferente alle sirene gramsciane dell'antifascismo militante.
Vale la pena aggiungere il finale dell'articolo di Gramsci (del 1917, non scritto in carcere durante il fascismo): "Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti”. Nel 1917 non c'era ombra di fascismo: Mussolini era ancora un socialista seppur interventista. L'essere partigiano e l'odiare l'indifferente non attiene quindi alla nascita del fascismo, ma alla volontà di piegare tutti alla costruzione della "città futura" in Italia come in quella che si stava costruendo in Russia... "Partigiano" qui è sinonimo di "rivoluzionario comunista" non di "combattente civile del fascismo".