In verità l’Italia non fatto sempre sempre “tutto quanto in suo potere”.
Ho assistito a questa vicenda dall’interno, come consulente per 15 anni delle principale associazione italiana di vittime del terrorismo. Posso dire, per essere precisi, che lo Stato ha fatto “quanto in suo potere” solo a partire dalla Presidenza delle Repubblica di Giorgio Napolitano in avanti, cioè negli ultimi 15 anni. Nei precedenti 25 anni non ha fatto proprio nulla. Il punto è assai rilevante, perché tutti sappiamo che la giustizia o ha dai tempi ragionevoli o non è tale. Sappiamo cioè che le pene hanno un senso - sia verso le vittime e il contratto di convivenza che lo Stato garantisce che verso la finalità costituzionale di “rieducazione” dei rei - solo in confini temporali che permettano alle ferite di rimarginarsi. Nessuno crede che sia di qualche utilità sociale, politica o psicologica la carcerazione di persone anziane per i loro pur gravissimi reati di gioventù.
Quanto conta evidenziare è quindi la volontà politica sottesa all’inazione giudiziaria del nostro paese per decenni che è stata definita dal più importante lavoro accademico sugli anni di piombo, “Ending Terrorism in Italy”, di Anna Cento Bull e Philip Cooke (Routledge, 2013), una “strategia dell’amnesia” portata avanti dallo Stato italiano. Una strategia che si è infranta solo sotto grazie all’attivismo civile dal basso delle associazioni delle vittime del terrorismo, fin dagli '80 e, poi, dall’emergere della narrativa dei figli e dei superstiti delle violenze degli anni di piombo. L’esito di questa originaria strategia ha inficiato l’intervento riparativo di Napolitano nel primo decennio di questo secolo e ha destinato quella stagione ad una assenza di prospettive d’uscita, cioè di riconciliazione completa.
Oggi, dopo la sentenza della Corte di Cassazione francese, le ferite delle vittime e della società italiana resteranno aperte, così come chiuse sono rimaste le coscienze dei 10 ex terroristi espatriati in Francia. L’unico vero miracolo che potrebbe occorrere può giungere solo da questi ultimi, ora che sono certi di averla fatta franca, se giungesse una loro “parola di ravvedimento, di solidarietà o di riparazione”. Quella parola che, come ha sottolineato Mario Calabresi, fino ad oggi e per 40 anni è mancata.