giovedì 14 novembre 2024

Guerra Psicologica: un video

Lavoro di gruppo degli studenti di psicologia dell emergenza dell'Università Cattolica di Milano. 

Guerra Psicologica: Il Potere Nascosto delle Parole



venerdì 30 agosto 2024

Convegno internazionale sull'ultima grande opera girardiana

Leggere Portando Clausewitz all'estremo: guerra e fine della storia in René Girard

Per seguire la diretta in streaming : https://unipd.zoom.us/j/84383251622?pwd=Rjhg3yOnCykZXoVX8GlYuhFZypUtZF.1#success

Abstract dell'intervento "Democratizzazione della violenza politica e liberazione della vittima".


L'evoluzione della violenza dalle guerre napoleoniche al terrorismo contemporaneo riflette forse una 'democratizzazione della violenza' politica (se la guerra è politica con altri mezzi, allora la politica democratica evolve in guerra democratica), in cui è riduttivo focalizzarsi solo su attori non statali (i rivoluzionali o i terroristi), nuove tecnologie, fine della guerra come istituzione, come fanno René Girard, Carl von Clausewitz, e anche Carl Schmitt. L'evoluzione dei conflitti comporta infatti che ogni cittadino possa diventare perpetratore o vittima di atti di violenza politica più o meno legittimi. Da porre in evidenza è come la vittimologia (Jan van Dijk, 2009)  abbia confermato la dimensione sacra della violenza e il ruolo del Cristianesimo presenti nel paradigma di Girard. Ma negli ultimi decenni il ruolo della vittima è stato sottoposta a critica dalle stesse vittime (del terrorismo) che hanno reclamato il diritto di sottrarsi dal ruolo religioso del capro espiatorio tra i due attori in conflitto, tipicamente stato e attore non statale, o di essere politicamente strumentalizzati dallo stato per le sue politiche di antiterrorismo o di memorializzazione dei conflitti con il terrorismo. Esemplare è il ruolo del comitato dei familiari dei rapiti del 7 ottobre, che nel contesto di un conflitto che sembra spingere all'estremo l'escalation bellica della risposta israeliana all'aggressione di Hamas, si pongono come attori politici terzi e con un'autonoma iniziativa diplomatica finalizzata a 'risparmiare sangue' (concetto di Anna Bravo, 2013).
Così, la vittima che si libera dall’etichetta di vittima, non è solo quella alle prese dal dilemma tra farsi milite che si vendica o buon cristiano che deve perdonare il perpetratore. Proprio come suggerisce Girard, in Achever Clausewitz, si deve stare nel conflitto svolgendo parimenti un ruolo di riconciliazione. Un ruolo che in ultima analisi ricorda a tutti l'umanità del nemico. Le vittime sono forse quelle che meglio possono interpretare tale ruolo da antieroi titolati a richiedere di risparmiare sangue? 



mercoledì 3 luglio 2024

Call for paper sull'ultima grande opera girardiana

Il Centro studi "René Girard politico" organizza il convegno: Leggere Portando Clausewitz all'estremo: guerra e fine della storia in René Girard
Il convegno avrà luogo presso il Dipartimento di Scienze politiche, giuridiche e studi internazionali nell'Università di Padova, nei giorni 4 e 5 settembre 2024. 

L'incontro vuol essere l'occasione per far dialogare studiosi di differenti appartenenze disciplinari. In questa prospettiva, il Centro Studi si rivolge a Docenti, Ricercatori e Operatori interessati a presentare un intervento della durata di quindici minuti nel corso del convegno. 
Sono graditi contributi originali, in lingua italiana o in lingua inglese, che si confrontino con i contenuti di Portando Clausewitz all'estremo. 
Gli Interessati sono pregati d'inviare un breve abstract, di massimo mille parole, entro il giorno 28 luglio 2024 alla seguente e-mail: marta.ferronato@unipd.it

The “Centro Studi René Girard politico” organizes the conference: Reading Achever Clausewitz: war and the end of history in René Girard.
The conference will be held at the Department of Political Science, Law and International Studies of the University of Padua on 4th and 5th September 2024. 
The aim of the event is to bring together scholars from different backgrounds, such as experts on René Girard (including Maria Stella Barberi, Giuseppe Fornari e Pierpaolo Antonello), as well as passionate readers who are new to the Girardian paradigm, and to encourage dialogue between them, in an interdisciplinary perspective.
To this end, the Centro Studi is calling on scholars, researchers and practitioners who are interested in presenting a fifteen-minute talk at the conference. 
We welcome original contributions, in Italian or English, that deal with the content of Achever Clausewitz. If you are interested, please send a short abstract of no more than one thousand words to the following email address: marta.ferronato@unipd.it by 28th July 2024.
Admission will be confirmed by 5th August 2024.
Selected applicants agree to speak either in person or remotely during the conference.


giovedì 20 giugno 2024

After the RAN, the new Eu Hub of Knowledge on Radicalisation




The launch conference for the new EU Knowledge Hub on Prevention of Radicalisation took place  Monday 17 June in Brussels. 
-> See details here

This marks the conclusion of the Radicalisation Awareness Network - RAN ’ the European network for prevention practices established in 2011 by the DG Home of the European Commission. Thus, it is time to evaluate this experience, in particular in Italy, and open up a discussion on the future consolidation of policies and practices aimed at preventing and countering violent extremism and terrorism.


I thank React/StartInsight for publishing my paper a few days before the launch of the new Eu Hub.
-> Read my article here

The RAN Yestarday, Today, Tomorrow


martedì 28 maggio 2024

Formare insegnanti e giornalisti sui fenomeni di radicalizzazione

Nuova collaborazione con OIKOS ETS di Udine nel  progetto regionale sulla prevenzione della radicalizzazione indirizzato ad insegnanti e giornalisti. Si veda la pagina https://www.oikosets.net/pratica-logica/







lunedì 6 maggio 2024

giovedì 11 aprile 2024

La protezione dei luoghi di culti da violenza e terrorismo

 

Il progetto SHIELD, a sostegno della protezione dei luoghi di culto dal pericolo terroristico, ha raccolto i suoi principali risultati, rapporti e risultati in un manuale di facile utilizzo, progettato specificamente per i leader delle comunità religiose, i decisori e le forze dell'ordine a livello locale, con l'obiettivo di supportare un sistema di protezione completo per i luoghi del culto, inserendo i risultati del progetto nel quadro più ampio delle politiche europee sulla prevenzione e il contrasto dell’estremismo violento (P/CVE) e sul sostegno alle vittime del terrorismo.

Un manuale in 10 lingue scaricabile da questa pagina web: https://shieldproject.eu/handbook/

THE SHIELD HANDBOOK


giovedì 14 marzo 2024

Orientarsi di fronte alle guerre

Di fronte a guerre che coinvolgono sempre più direttamente l’Europa e l’Italia, siamo sopraffatti da un senso d’impotenza che ci rende passivi fruitori di un mare d’informazioni. 

Un mare nel quale l’unica libertà concessa sembrerebbe essere quella di poter scegliere quale propaganda seguire, per poterci ritrovare - in una “bolla” o “camera dell’eco” (echo-chambers) - insieme ad altri, dalla “parte giusta”. 

Chi voglia sottrarsi a queste bolle, cariche di pregiudizi di conferma, si pone il problema di come approcciarsi in maniera vigile e consapevole ai mezzi e alle fonti di informazione e di analisi.

Esattamente a queste persone - psicologi dell’emergenza, operatori sociali, umanitari e di pace, studenti, ma anche a chiunque sia interessato - si rivolge l’incontro on-line:

 ”Orientarsi. La guerra, l’informazione, gli inganni.” 

il 27 Marzo alle ore 21, on line su Zoom al seguente link:

 https://unipd.zoom.us/j/87366408059?pwd=SzlvYlJTVU1IRXA2OWhMR2x3VGdxdz09



Orientarsi di fronte le guerre


venerdì 1 marzo 2024

Narrazioni diversive

Intorno alle teorie del complotto, loro natura, utilizzo e fine. Se ne discute alla libreria torinese Il Ponte sulla Dora con l'autore, Tobia Savoca, e con Enrico Manera - giovedì 7 Marzo ore 18.30.






sabato 24 febbraio 2024

A Shield For the Places Of Worship

 

Shield Project ConferenceIn response to terrorist attacks that occurred in Europe in the last decade, the European Commission has funded a wide range of projects that develop effective strategies to protect public spaces. Places of worship, such as mosques, churches and synagogues, are hereby of particular importance, as they are considered sensitive targets due to their high symbolic value of civil coexistence and social and cultural cohesion.

In order to address this issue, the European Commission has, through its Internal Security Fund, funded amongst other initiatives the SHIELD Project, which aims to protect places of worship from the risks of violent extremism. To achieve this objective, the project connects and is jointly implemented by 18 partners from 10 EU countries, including representatives of the Jewish, Christian and Muslim religious communities. Through an in-depth analysis of violent attacks over the last twenty years against places of worship, the project analysed potential vulnerabilities, especially of smaller buildings and local communities, for which security was often not a priority. However, in the light of the Middle East conflicts, the recent attacks in France and Belgium and a global increase in incidents of anti-Semitism and Islamophobia, security has become a key factor for places of worship and has raised an alert from various intelligence or counter-terrorism agencies. In response to this heightened need, the SHIELD project has been able to draw from its extensive research, conducted interviews and inspections of various types of buildings, to provide places of worship with tools and methods to assess their potential risk level and specific vulnerabilities. These tools are further supported by detailed overviews of different technical and procedural means that can be used to address the identified risks.

In order to make these tools even available on a wider-scale, the project has compiled its main deliverables, reports and findings into an easy-to-use handbook, designed specifically for decision makers, leaders of religious communities and law enforcements agencies at local level, which will be presented on the occasion SHIELD Final Conference in Brussels next February 29.

domenica 17 dicembre 2023

Note su storie d’infamia e di terrorismo in una prospettiva vittimologica

 

Convegno Cancel Culture

Università di Padova si è svolto il primo convegno italiano sulla cancel culture


[testo del mio intervento]

Grazie Marta Ferronato per l’invito a partecipare a questo convegno.
.
Permettetemi una premessa.
Se ci stiamo domandando cosa fare del passato, temo che la prima sguardo vada rivolto allo status marginale a cui sono ridotti gli studi storici e, soprattutto, il suo insegnamento nelle scuole. 
Vorrei quindi iniziare rendendo omaggio ad un grande storico dell’università di Padova, scomparso nel 2016, Angelo Ventura. Professore emerito di Storia Contemporanea che non solo risulta essere, nella revisione degli studi e del dibattito sul terrorismo italiano, condotta da Giovanni Mario Ceci, uno dei rarissimi protagonisti di valore ad aver affrontato il fenomeno. Non è stato solo uno storico che ha coraggiosamente studiato il terrorismo rosso quando ancora non apparteneva al passato – una sorta di "storico del presente”, come lo descrive Sergio Luzzato nella sua recensione sul Domenicale del Sole24Ore della sua opera più famosa “Per una storia del terrorismo italiano”. Angelo Ventura è anche la prima storia d’infamia che vi presento, in quando tale, un infame, era considerato dagli ambienti patavini dell’Autonomia Operaia, che non perdonavano chi si ribellava alle loro intimidazioni sistematiche, ma entrava invece proprio tra gli obiettivi da colpire: lui con l’attentato subito il 26 settembre 1979, come altri suoi colleghi nel triennio 1977-79. 
Uno storico che inizia quindi a studiare il fenomeno che ha sotto gli occhi e dal quale è stato direttamente colpito. E questa anche è la prima prospettiva vittimologica, che si inscrive in quel paradigma che ha in Primo Levi l’esempio più illustre di capacità d’analisi di una vittima, sopravvissuta al peggior atto d’infamia del XX secolo, la Shoah. É proprio in premessa al capolavoro dello scrittore torinese, I sommersi e i salvati, che Levi getta un ponte tra il concetto “sociologico” di  “zona grigia” nei campi di concentramento nazisti e quella che sottende, “fiancheggia”, “simpatizza” si diceva allora, per le Brigate Rosse. Coincidenza vuole che il libro di Primo Levi esca per i tipi di Einaudi lo stesso anno, il 1986, in cui Angelo Ventura era a Torino in occasione del convegno fondativo della maggiore associazione di vittime del terrorismo. Quella per cui ho lavorato per 15 anni, dal 2001 al 2016, come unico loro consulente, che tra i vari compiti aveva anche quello di costruire le storie delle vittime, cioè le memorie di un passato che nei primi anni duemila era ampiamente obliterato. Da allora i processi di memorializzazione dei conflitti politici è diventato uno dei miei principali campi di interesse, passato dal lavoro di base - compilare e curare le liste, le biografie e i memoriali fisici, come mostre, e digitali sul web e su supporti elettronici - a un’attività di ricerca con saggi su riviste e libri accademici  e policy paper per l’organizzazione della Commissione europea, nelle cui vesti sono qui con voi: il RAN. Il mio lavoro infatti è passato presto da una dimensione nazionale ad una europea, esattamente a partire dagli anni successivi al maggiore attentato sul suolo europeo, quello alle stazioni di Madrid del’11 Marzo 2004. 

Mi sono quindi trovato, in un primo momento, a compiere un lavoro storico di base atto al fine politico del riconoscimento sociale di un gruppo vittimario, sacrificato sull’altare delle pacificazione tra stato italico e terroristi occorso negli anni ’80 con la cosiddetta legislazione premiale (analogamente a quanto accorso in Irlanda del Nord e in Spagna), e poi ad osservare, in qualità di ricercatore, come una volta raggiunto tale riconoscimento (diritti inclusi), lo stato, ma possiamo dire gli stati e la commissione europea, provi ad utilizzare, per non dire sfruttare, le vittime come nuovi eroi da porre in musei e memoriali, come testimonials delle loro politiche  di memoria e di lotta al terrorismo. Uno uso simmetrico e contrario, come raccontò Ventura a Torino, a quello dello stato quando indugiò assai a contrastarlo nei primi anni ‘70.

Nella mia esperienza ho potuto quindi osservare una serie di dinamiche politiche intorno ai processi di memorializzazione che conferma come la tensione tra memoria ed oblio delle storie di violenze sia sempre stata una delicata e controversa scelta politica per il suo impatto sui processi di pacificazione, da una parte, e d’identità nazionale, dall’altra.

Trai molti esempi, ve ne cito tre.
Ho accennato alla mia mi pregressa attività di ricostruzioni delle memorie delle vittime del terrorismo italiane, finalizzata al loro riconoscimento delle loro dignità e dei loro diritti a verità, giustizia e risarcimenti da parte dello stato. Tale obiettivo è stato raggiunto grazie ad una alleanza tra le due principale associazione che rappresentavano rispettivamente i familiari e i superstiti, l’una del terrorismo rosso, AIVITER a Torino, l’altra di quello nero, l’Unione Stragi a Bologna. Pur avendo letture diverse degli anni di piombo, hanno svolto un comune lavoro di advocacy coi policy maker, per raggiungere gli obiettivi legislativi comuni nel primo decennio di questo secolo.
Questo non toglie però che sul piano della memorializzazione le associazioni abbiano avuto esiti differenti, potendo contare l’una su l’appoggio politicamente incondizionato degli enti locali, mentre l’altra solo un appoggio parziale e tardivo.  A Bologna le costruzioni di memoriali e le iniziative pubbliche periodiche sono iniziate subito negli anni successivi alla strage del 2 agosto 1980; mentre Torino, salvo una piccola eccezione, è iniziata solo decenni dopo. Il dato forse più significativo da evidenziare, a parte la tempistica, è la connotazione delle epigrafi memoriali: solo in quelle delle stragi troviamo l’aggettivazione ‘fascista’ che segue il termine ‘terrorismo’; su quelle del terrorismo rosso, non compare aggettivazione alcuna. In qualche raro caso è precisato “delle Brigate Rosse”, ma la precisa connotazione ideologica, ‘comunista’, è di fatto un tabù.
Il secondo caso è ancora più eclatante e ci porta alla stringente attualità: l’elezione di Javier Milei a presidente dell’Argentina. Ero pochi giorni a seguire un telegiornale quando nel servizio su tale elezione appare colei che sarà la Vicepresidente designata da Milei, una donna che ho conosciuto di persona e con la quale sono stato in corrispondenza una dozzina d’anni fa: Victoria Villarruel, presentata come negazionista del terrorismo di stato ai tempi della giunta militare del generale Videla: i famosi desaparecidos. Non posso confermare, ma posso testimoniare che, prima della sua entrata in politica, Victoria aveva speso la vita nella sua associazioni per raccogliere i dati sulle vittime del terrorismo “rosso” in Argentina, quello di gruppi come i Montoneros che hanno agito non solo come controparte armate del regime di Videla, ma già prima in democrazia, durante il primo peronismo.  Dimostrazione di come la Guerra Fredda fosse in vero assai calda, i cui strascichi di memorie di violenza, con migliaia di vittime da una parte e dall’altra (tra le quali gli italo argentini che interessavano la mia ricerca sulle vittime italiane dei terrorismi internazionali), investa l’attualità politica.

L’ultimo caso riguarda Padova. Dove, confesso di non saperne la storia, un pezzo delle Torri gemelle, è stata posta come monumento per le vittime dell’11 settembre. In tutti i resoconti delle cronache sulle cerimonie, c’è un’anomalia mai evidenziata: nei migliore dei casi i discorsi riportano un numero: 10 gli italiani coinvolti. I nomi sono importanti, come sapete, i numeri deumanizzano. Sono stato fino al Consolato Italiano di New York nel 2011 per sapere i nomi degli italiani vittime dell’11 settembre. 10 anni dopo nessuno si era domandato se tra le macerie delle Twin Towers, ci fossero degli italiani… Meccanismo di rimozione che mi spinse appunto ad analizzare la percezione sociale delle vittime del terrorismo nel mio primo paper del 2017.

Per avviarmi alla prossima storia d’infamia e poter giungere al tema della cancel culture, debbo però tornare ad Angelo Ventura, per sottolineare la filosofia delle storia utilizzata nella sua opera. Ventura studia infatti i rivoluzionari italiani del Sessantotto e dintorni con lo stesso approccio metodologico del mio maestro torinese di studi di storia, Franco Venturi, col quale era andato studiando i rivoluzionari del Sette o dell'Ottocento, i giacobini francesi, i populisti russi: cioè a prescindere da ogni sociologismo o psicologismo, guardando questi ‘rivoluzionari’ attraverso i loro materiali di lavoro e di lotta, le loro idee e le loro azioni concrete. Semplificando all’essenziale, un approccio ‘idealista’ che cerca nei materiali della propaganda le ragioni della ‘propaganda dei fatti’, che sono le azioni armate condotte.
Tra questi materiali di studio ci sono i testi (e più recentemente anche i video) di rivendicazioni degli attentati terroristici, così come i miti e le teorie cospiratorie che supportano il bagaglio ideologico di questi gruppi.
Negli ultimi due anni ho avuto di occasione di provare a ricostruire in un saggio alcuni antecedenti storici di questi materiali. Per limitarmi ai primi, non potendo dilungarmi sui secondi, e così giungere alla conclusione, citerò solo quello molto noto della colonna infame di manzoniana memoria. Una storia che già Sciascia, nell’introduzione dell’edizione de lui curata nel 1981, aveva collegato con i nostri anni di piombo.
Nel percorrere alcuni testi che si possono configurare come teorie cospiratori, da quelle medievali contro ebrei e streghe, alla prima modernità della Milano sotto la peste, per giungere a quelle più recenti su Protocolli di Sion e le teorie novax durante la pandemia, mi sono imbattuto in una interessante reazione alla lettura della Storia delle Colonna Infame.

Sapete che la condanna a morte contro i due untori prevedeva anche la demolizione della casa del barbiere Gian Giacomo Mora e la costruzione di una colonna epigrafia con l'orgogliosa rivendicazione della giustizia compiuta, firmata dagli illustri giudici che avevano emesso la condanna.
Seppure un testo scritto dalla parte dell’autorità pubblica e non di un attore anti-statale, quel testo aveva un connotazione palesante analoga a quelli delle rivendicazioni dei terrorismi contemporanei. Sebbene di un epoca che precede i rivoluzionari francesi e le formazioni ‘para militari’ partigiane o terroriste, quanto accomuna chiaramente l’iscrizione sulla colonna alle rivendicazioni è una precisa finalità  propagandistica. Come i giudici di Milano nel 1630, i terroristi, novelli giustiziati dell’anti-stato, hanno bisogno di rivendicare per suscitare immediatamente simpatia per la giustizia ottenuta attraverso le loro azioni violente contro i nemici, cioè delle vittime colpevoli. Dal punto di vista della vittimologia, le rivendicazioni sono testi che indirizzano una parte dell’opinione pubblica a colpevolizzare la vittima: una forma crudele di vittimizzazione secondaria nota con il nome di victims blaming. Questi testi cercano di mettere in atto un meccanismo di autodifesa del lettore che gli impedisca di provare empatia e compassione nei confronti delle vittime, alimentando qualche “buon diritto” per averle attaccate.

Tornando al saggio manzoniano, meno noto è che fu solo nel 1778, pochi anni prima della nascita dello stesso Manzoni, che il governo cittadino fece abbattere la colonna: una demolizione effettuata di notte e senza pubblicità, in virtù di una legge che vietava il restauro dei monumenti d’infamia.
Questa legge è un importante indizio storico, che segnala la diffusione di tale pratica in epoca medievale e moderna. Una diffusione difficile da riconstruire storicamente, come segnala Marco Albertoni, il maggiore esperto italiani di monumenti d’infamia. Diffusione che vie ribadita da un lettore del saggio manzoniano: Samuel David Luzzatto, professore al Collegio rabbinico di Padova, in una lettera scritta il 24 marzo 1843, citata da Luigi Sardi (2004): “Monumenti d'infamia furono eretti anche contro gli ebrei, e questi monumenti esistono ancora, e né la mano del tempo né quella dell’Illuminismo, né quella della coscienza li hanno demoliti. Anche contro i miei padri furono usate mille volte torture spietate, confessioni forzate, condanne, supplizi…”.

Questa lettera di porta al centro del tema di queste giornate: traducendo nel linguaggio giornalistico attuale: Samuel David Luzzatto è un “woke” che chiede un atto di “cancel culture”…

Ci pone l’interrogativo stringente su come compiere scelte in relazione alle vestigia di fatti violenti, originariamente scritti o costruiti per testimoniare a futura memoria l’orgoglio di aver giustiziato un nemico pubblico infame. Fatti violenti che nei secoli successivi vengono riletti, o meglio interpretati con una sensibilità o da cultura diverse.
Sia il provvedimento del governo milanese (non restaurare o distruggere nascostamente) che la volontà del rabbino Luzzatto, poi esaudita, presentano un paradosso evidente. L'infamia di una colonna o di un monumento emerge quando si vede che dietro l'atto eroico celebrato non ci sono nemici colpevoli, ma vittime innocenti. Quindi, queste demolizioni da un lato riconoscono l’ingiustizia, ma dall’altro la nascondono, cancellano la testimonianza della persecuzione dagli spazi pubblici.
La lettera del rabbino ci segnala come fosse insito nell’illuminismo aspettarsi la distruzione dei monumenti d’infamia. Anche il clima di positivismo storico poteva indurre a ripulite i resti e le testimonianze di atti sulla cui impossibile riproposizione erano poste tutte le certezze di un futuro illuminato dalla ragione. 
Oggi nessuno, non solo ebrei, si sognerebbe di proporre la distruzione dei resti di Auschwitz e Birkenau. Ma il problema è quale funzione questi abbiano.
Funzionano come elementi identitari: quelli di una Europa antitotalitaria, certo. 
Ma il punto è la famosa funzione “to act so that Auschwitz does not happen again”, annunciata  Theodor Adorno negli anni settanta.
Recenti revisione delle attività didattiche interno alla giornata della memoria della Shoah, hanno evidenziato lo scarso impatto. Laura Fontana, per esempio, scrive: “Tutto il fervore attorno alla memoria della Shoah, invocata e ricordata da ogni parte e in ogni circostanza, non è quasi mai ancorata a un’esigenza di conoscenza storica, né a una riflessione politica sul background intellettuale dei carnefici, o a una esame dei sistemi di valore del nostro presente; tale memoria, nel suo essere paradigma del “male assoluto” e della “cattiveria dell'essere umano”, rappresenta invece il pretesto per impartire una lezione morale”.

La finalità della RAN quella di prevenire tutte le forme di radicalizzazione e polarizzazione: fenomeni che hanno spesso a che vedere i diritti storici, con memorie di conflitti storici vicini (Shoah, terrorismo) e lontani (colonialismo, neo-colonialismo). 
Difficile prevenire che il risentimento alimentato da tali diritti e memorie storiche finisca per alimentare, in taluni soggetti o gruppi, forme di radicalizzarsi fino ad esiti violenti.

Nel mio recente paper per la RAN ho cercato di evidenziare un approccio per gestire i conflitti delle memorie. Tale approccio deriva da una recente campo di ricerca interdisciplinare: i “Memory studies”, che comprende trai suoi esponenti Anna Cento Bull, autrice del più importante saggio sull’eredità degli anni di piombo (Ending Terrorism in Italy). Affinchè la memoria dei conflitti non resti un campo di battaglia, strumentalizzabile dalla parti politiche, affinché i monumenti e i musei dedicati ai conflitti non comunichino solo moralismo e retorica nazionale, non si può far altro che considerarla un dibattito “always in progress”, la cui unica difficile precondizione è che in tale dibattito siano coinvolti tutti gli attori coinvolti: inclusi i nemici.
Una opzione politicamente difficile, che però ha degli esempi pratici: Tim Parry Johnathan Ball Peace Foundation, dedicato a due bambini vittime di una attentato dell’IRA a Glasgow,  e nel Centro costruito ad Oslo in memoria delle vittime degli attentati del 2011 di Brevik. Entrembi utilizzano quello che i memory studies definiscono “agonistic mode” of remembering e che prevede appunto la mutua riumanizzazione di tutti gli attori del conflitto. Sì, anche i nemici, che certo sono necessari alla politica, secondo Carl Schmitt, per la civiltà, secondo Umberto Eco, ma da riumanizzare, se vogliamo un processo di pace e chiudere un ciclo storico di violenze. 




giovedì 7 dicembre 2023

Un esempio virtuoso di prevenzione: il caso dell USR Lombardia

 


Il comunicato dell’ Ufficio Scolastico Regionale (USR) per la Lombardia recita:

“Il giorno 5 dicembre 2023 è stato organizzato un seminario regionale, nell’ambito della Convenzione tra Regione Lombardia e Ufficio Scolastico Regionale per la Lombardia per la realizzazione del progetto “Educazione alle differenze nell’ottica della prevenzione e contrasto ad ogni forma di estremismo violento” (anni 2022-2023) - (l. r. 24/2017, art. 6, comma 4), prot. n.5448 del 10.03.2022, nel corso del quale le dieci reti di scopo provinciali in oggetto (Bergamo, Brescia, Como, Cremona, Lecco, Lodi, Città metropolitana di Milano, Monza e Brianza, Pavia, Varese) presenteranno i risultati del loro lavoro pluriennale”.

Questa iniziativa, fin dall'a.s. 2016/2017, ha posto la Lombardia come l’unica, nel panorama nazionale, che abbia portato in modo sistematico il tema del contrasto e della prevenzione della radicalizzazione o estremismo violento nel settore educativo, con un articolata serie di scopi:

- realizzare corsi di formazione per dirigenti scolastici e docenti sulle diverse forme di estremismo; 

- inserire i temi dell’estremismo violento, nelle sue molteplici manifestazioni, nei percorsi di educazione civica attraverso Unità di Apprendimento (UdA) dedicate;  

- coinvolgere, nella progettazione delle iniziative, le Consulte Provinciali degli Studenti;   

- sensibilizzare i genitori sui temi delle diverse forme di estremismo violento;  

- attivare specifici monitoraggi per acquisire la percezione del fenomeno degli estremismi violenti da parte dei giovani e per modulare conseguenti azioni educative;  

- realizzare azioni di prevenzione tra i giovani del fenomeno dell’estremismo violento in tutte le sue forme; 

- sviluppare attività di sensibilizzazione rivolte alla cittadinanza;  

- elaborare strumenti di valutazione, con specifiche linee d’indirizzo d’intervento, in grado di supportare le interpretazioni di atteggiamenti e comportamenti che possono riferirsi ad un potenziale percorso estremista. Tali strumenti dovrebbero essere utili per accomunare l’interpretazione di senso da parte del personale docente e scolastico, per meglio definire i potenziali fattori di attivazione, ponendoli sempre in relazione con le realtà contestuali locali, sociali e familiari. 

Nel corso degli ultimi 4 anni ho avuto modo di svolgere il ruolo di esperto formatore dei docenti nei poli di  Lodi e Monza e Brianza, nonché di partecipare all’incontro del 5 dicembre, osservando che il lavoro svolto dalle reti di scuole lombarde era assolutamente degno dell’attività che avevo visto presentare in Europa in seno al RAN e alla primigenie attività svolte a Torino fin dal 2012, di cui fui promotore.

La relazione “Vidino”, cioè quella del Comitato Commissione di studio su fenomeno della radicalizzazione e dell’estremismo jihadista e intitolata: Verso un approccio italiano alla prevenzione della radicalizzazione, pubblicata nel gennaio 2016, presentava le seguenti esperienze italiane del tempo:

“Negli ultimi anni in Italia sono stati condotti alcuni embrionali esperimenti di contrasto della radicalizzazione, non sempre e non solo di matrice jihadista. Tra il 2012 e il 2014, ad esempio, alcuni progetti e corsi sono stati inseriti nella Collezione delle buone prassi della RAN, come il progetto europeo attuato a Torino “Counternarrative for Counterterrorism” – C4C  e l’azione del Comitato promotore per RAN Italia.  Nel 2016 invece, sono stati avviati nuovi corsi di formazione con la L107/2015 art.1, comma 121- carta del docente (Corso per docenti. “Radici, radicalizzazioni e terrorismo: una didattica di prevenzione” approvato dall’USR Piemonte  e dall’USR Friuli Venezia Giulia  ed il Corso di formazione per dirigenti e docenti sull’Educazione alle differenze nell’ottica della lotta ad ogni forma di estremismo violento promosso dall’USR Lombardia . Sono stati anche finanziati dei progetti per la de-radicalizzazione e la creazione di un sistema di pre-allarme in contesto carcerario. Tra questi, il progetto europeo Raising Awareness and Staff Mobility on Violent Radicalisation in Prison and Probation Services (RASMORAD P&P) ed un progetto per la sicurezza degli enti locali “Local Institutions against Violent Extremism II”. 

Altri progetti avviati con fondi di enti locali sono stati: 1) il progetto torinese nelle scuole “Islam: radici, fondamenti e radicalizzazioni. Le parole e le immagini per dirlo”  che utilizzava i fondi del Consiglio regionale piemontese ai quali si aggiungerebbero per il progetto 2016-2017 quelli privati di alcune fondazioni bancarie; 2) Il Progetto “Rete di sostegno contro gli abusi e le vessazioni nei gruppi”, finanziato dalla L.R. del Friuli Venezia Giulia 11/2012 , che per gli anni 2016 e 2017 ha previsto anche percorsi di uscita e recupero dai gruppi manipolativi ed estremisti.” 

Nonostante l’esperienza lombarda, già ivi citata, abbia travalicato i confini del focus sulla radicalizzazione ed estremismo politico-religioso, verso una prevenzione primaria che includeva altri fenomeni - dall'hate speech alla violenza di genere e il bullismo-, resta il fatto che questa esperienza non abbia assunto il carattere episodico tipico delle analoghe iniziative svolte nel nostro paese negli ultimi 12 anni, sia che si trattasse di formazione che di attività sul campo nei vari livelli di prevenzione della radicalizzazione. Del resto, la storia dell’iter della proposta di legge sul tema, lanciata nel 2016 dall’ex parlamentare e magistrato Stefano Dambruoso,  dopo 4 legislature non è riuscita a vedere la sua approvazione, lasciando l’Italia tra i pochi paesi senza una strategia complessiva di contrasto e prevenzione all’estremismo violento.

martedì 17 ottobre 2023

Protecting Jewish Communities: an Interview

The war between Israel and Hamas is feared to have consequences on the European Jewish communities. Their safety is not a new issue. This is the interesting interview with the historic head of security of the Italian Jewish community, Giacomo Zarfati, at the Great Mosque of Rome produced in the framework of the SHIELD Project which aims to protect all places of worship from terrorism.

Si teme che la guerra tra Israele e Hamas possa avere conseguenze sulle comunità ebraiche europee. La loro sicurezza non è una questione nuova. Questa è l'interessante intervista allo storico responsabile della sicurezza della comunità ebraica italiana, Giacomo Zarfati, presso la Grande Moschea di Roma realizzata nell'ambito del Progetto SHIELD che mira a proteggere tutti i luoghi di culto dal terrorismo.

venerdì 29 settembre 2023

The Role Of Victims In the Prevention Of Radicalization And Memory Policies

 Seminar under the Spanish Presidency of the Council of the EU. I’ve been panelist in round table on the role of victims in the prevention of radicalization and Memory policies.


Extracts form my speech:

In my experience of a quarter of a century, I have observed how the timing of memorialisation processes have shortened. For decades the victims of the past seasons of terrorism in Italy, Spain, England, Germany and France were removed and forgotten. In Spain the rise of the civic movement known as Espíritu de Ermua, at the end of t of the XX century, is probably the turning point that allowed to change the social perception of the victims of terrorism. In Italy something analogue occurred a few years after, at the beginning of the XXI century. Up until sixteen years ago, most of commemoration activities around terror facts in Europe arose in a bottom-up movement often carried out only by the victims’ organisations. (...)

In the last decades, the sensitivity towards the victims of terrorism on the part of public opinion and decision-makers has increased and the commemoration processes of the most recent attacks, from 9 11, have accelerated. This means, for instance, that some of the US association of victims of September 11, in the space of about ten years, went from dealing with trauma care to peace education in schools, as main goal activity. (…)

The consequences of this acceleration of memorialization, however, are not all positive, especially when the owner of the memory is the state. The 9/11 memorial and museum, inaugurated in New York in 2011, shows how some memorials take advantage of the emotions fear and anxiety “to persuade Americans to support government policy that appear to provide security” (Erica Doss, 2010, pp. 146–148). The alternative approach by the Norwegian government to design memorial sites a few months after the attacks in Oslo and Utoya, is rather paradigmatic: the discussion brought to no conclusion or consensus and the plan was abandoned, but in 2005, the local authority of Olso, and then the Ministry of Education, created a Centre that is a learning space that works with the mediation of memory and knowledge about the terror attacks. That’s exactly have sense: beyond commemoration, as an official “duty of memory” carried out top-down by the states, memorial centers or museums should be an open forum in an always ongoing work in progress. The only way to avoid that the conflict memory may be exploited by the political agora, creating polarization, and to allow the development of both prevention (PVE) and historicization activities.