Catalogo dell'esposizione itinerante dell'Associazione Italiana Vittime
del terreorismo AIVITER, intitolata "Anni di piombo. La voce delle
vittime, per non dimenticare", realizzata con il contributo della
Regione Piemonte nel 2009. A cura di Luca Guglielminetti in
collaborazione con l'associazione Leon Battista Alberti; design e
grafica della Kore Mutlimedia.
Catalogo Mostra "Anni di piombo. Per non dimenticare" by Luca Guglielminetti on Scribd
PRESENTAZIONE
Lo scopo di questa mostra, che aggiorna la prima versione realizzata nel 1989, è di carattere informativo e didattico sul terrorismo politico che ha connotato un ventennio della recente storia italiana. Per molti motivi il fenomeno è stato quasi rimosso, sia a livello di dibattito politico che di analisi storica e culturale, riscuotendo solo recentemente una certa attualità editoriale. E questo nonostante che l’attacco dell’11 settembre 2001 avesse anche aperto il nuovo secolo, mostrando a tutto il mondo il tragico impatto del terrorismo sulla storia. La chiave di lettura degli ‘anni di piombo’ proposta dalla mostra, quella della voce delle vittime, non deve essere considerata come una tardiva, e comunque insufficiente, forma di compensazione verso coloro i quali per lunghi decenni hanno patito oltre ad un generale silenzio, anche il disinteresse dello Stato. Essa è piuttosto una documentata rassegna dell’intolleranza politica, la rivisitazione della violenza politica in Italia: sul percorso della mostra è quindi possibile articolare studi e riflessioni didattiche per:
a) recuperare/rielaborare la memoria dei fatti, molti dei quali rischiano l’oblio totale;
b) incrementare il livello di informazione/conoscenza dei giovani sul fenomeno del terrorismo interno ed internazionale e le sue radici storiche e culturali; e, così, incoraggiare e accrescere nei giovani lo sviluppo di una coscienza critica verso il fenomeno del terrorismo e le diverse forme di violenza in politica.
LA MEMORIA DEI FATTI.
Oltre alle verità giudiziarie dei processi, di quanto approfondito storicamente sui fatti più eclatanti, quali il rapimento di Aldo Moro, e al di là di quanto non è stato possibile accertare, anche per via del segreto di Stato, i dati storici che ancora mancano sono molti e spesso tra i più basilari: primo tra tutti quello derivante dalla mancanza di elenchi esaustivi e attendibili delle vittime morte e ferite. Una delle primarie attività dell’Associazione italiana vittime del terrorismo è proprio questa: cercare di accertare chi sono le vittime. Nomi, date, fatti, biografie che in quegli anni terribili, quando gli attentati si susseguivano quasi quotidianamente, sono stati lacunosamente registrati sulle cronache di giornali magari per uno o pochissimi giorni, per poi sparire nell’oblio. Una delle attività didattiche che più aiuterebbero la ricostruzione della memoria dei fatti, sarebbe proprio quella di coinvolgere gli studenti in ricerche a partire dalle fonti giornalistiche sui fatti “minori”: quei morti e quei feriti di cui si conoscono a malapena i nomi e nulla più, o quei fatti “secondari” come attentati, ferimenti, aggressioni e rapimenti di cui in molti casi non conosciamo dati e protagonisti attendibili. Le scuole italiane, e i visitatori della mostra, se aiutassero l’associazione AIVITER a ricostruire il quadro delle vittime del terrorismo in Italia, restituendo loro dignità storica, oltre ad un utile lavoro di ricerca, offrirebbero agli studenti un modo pratico di affrontare l’educazione civica.
LE RADICI STORICHE E CULTURALI
Sull’origine storico-culturale del terrorismo, segnaliamo le plurime suggestioni che si possono cogliere nell’evoluzione del terrorismo a partire dalla sua prima affermazione nel corso della rivoluzione francese, che può essere analizzato sotto le lenti di diverse discipline: dalla storia delle dottrine politiche alla sociologia, dalla filosofia alla letteratura o discusso attraverso forse la più suggestiva riflessione sulla violenza politica che sia stata fino ad ora scritta: l’Uomo in rivolta di Albert Camus. «Il terrorismo moderno viene definito e battezzato da Robespierre, che è il primo a precisarne la funzione politica nell’accezione oggi ancora usata. Nel suo intervento alla Convenzione dice: “La spinta maggiore al governo popolare in tempo di guerra è data dalla virtù e dal terrore: il terrore senza virtù è fatale, e la virtù senza terrore è inerme”. Dopo la rivoluzione francese, tutto il terrorismo rivendicherà sempre sé stesso come strumento di giustizia». (Lucia Annunziata, ne Il Piemonte e Torino alla Prova del Terrorismo) Una giustizia assoluta che pretende di saldare nella storia umana la virtù pura e astratta all’agire reale e concreto dei cittadini. Anche Albert Camus parte dal 1793, da Saint-Just che esclama: “O la virtù o il terrore”. «Pretendendo di costruire la storia sopra un principio di purezza assoluta, la rivoluzione francese apre i tempi moderni…». La sua riflessone si snoda tra filosofia politica e letteratura fino agli Anni Cinquanta e indica la sola virtù media umanamente perseguibile, tra l’assoluto virtuoso e il cinico realismo, per cui, nell’agire politico «non importa la causa difesa, sarà inevitabilmente disonorata dal cieco massacro di un innocente». L’importante insegnamento del premio Nobel Camus è stato dimenticato per decenni, al pari delle vittime, ma resta fermo e incancellabile nella sua cocente attualità : «La misura c’insegna che occorre ad ogni morale una parte di realismo: la virtù pura è omicida; e che occorre una parte di morale ad ogni realismo: il cinismo è omicida». È la dismisura a giustificare il terrore: infatti «il bene assoluto e il male assoluto, se vi si mette quanto occorre di logica, esigono lo stesso furore». Una riflessione da sottoporre ai giovani sul loro modo di stare nella società, per cercare di prevenire il rischio che possano contrapporvisi in maniera violenta, anziché esercitare il diritto alla politica nel più completo rispetto della vita degli altri.
Il curatore, Luca Guglielminetti
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