domenica 16 gennaio 2011
Il caso Battisti tra strumentalizzazioni e storia indicibile
A leggere Barbara Spinelli su “la Repubblica” del 5 gennaio, o Antonio Tabucchi su “le Monde” del 15 gennaio, pare che il caso di Cesare Battisti sia utilizzato più per menare in testa Berlusconi che non per denunciare la politica dell’oblio di tutti i governi italiani, la poca solerzia cioè nel richiederne con convinzione e forza l’estradizioni dal Brasile all’Italia.
Mentre questa dimenticanza decennale e bipartisan si sintetizza indirettamente nelle parole del Presidente Napolitano quando, anche con senso d' autocritica, sostiene che l’Italia non sa comunicare la sua storia e il senso di se stessa. La Spinelli e Tabucchi si lagnano dei loro colleghi francesi perché, con la loro difesa di Battisti, indirettamente assecondano la critica alla magistratura italiana svolta dal premier.
Ai due nostri intellettuali preme dimostrare che la magistratura nostrana è indipendente (“la magistrature en Italie est indépendante”) e “la sua indipendenza è ben più solida che in Francia”. Loro intento, prima della giustizia verso le vittime dei PAC, è che tutta l’intellighenzia europea si schieri compatta contro Berlusconi.
Naturalmente il caso Battisti è stato cavalcato da molte parti (da D’Elia alla Santanché) per i più diversi scopi politico-pubblicitari, ma vale poco affrontarli perché il dilemma vero risiede nella problematica della condivisione della storia d’Italia: tanto sulle vicende del terrorismo, quanto su quelle della magistratura.
Due storie che meriterebbero l’intervento d’intellettuali coraggiosi ed anticonformisti, e non di chierici partigiani.
Due storie che sicuramente si toccano in più punti, come nel corso di indagini e di processi che già solo per la loro lunghezza spesso negano verità e giustizia.
Ma soprattutto due storie che comprendono fatti ancora indicibili. E questa indicibilità è il motivo profondo che spiega la difficoltà di condividere e comunicare dentro, fuori o lontano dal nostro paese una storia unitaria.
P.S. Tale cortocircuito si manifesta nel manifesto, apparso a Milano ad Aprile 2011, che ha destato furibonde, quanto, in sostanza, sterili polemiche.
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