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Colpisce come spesso non sia noto quanto e dove tutto è iniziato.
I punti di inizio, geografici e temporali, in vero forse sono due: uno è la Tunisia quando, tra il dicembre del 2010 e il gennaio 2011, scoppia quella che è stata definita la Rivoluzione dei gelsomini (Jasmin revolution). Ma probabilmente c'è una antenata: la proteste post-elettorali del 2009-2010 in Iran, definite come Green revolution (Rivoluzione verde) o Sea of Green (traducibile come Mare di verde) a ricordare il colore della campagna elettorale del candidato sconfitto Mousavi, ma è stata definita anche come Persian Awakening (Risveglio persiano) o ancora come Twitter Revolution (Rivoluzione di Twitter).
Da queste due ondate di proteste è sorta e seguita la cosiddetta Primavera Araba, in Egitto, nello Yemen, nel Bahrain, e poi in forma drammaticamente bellica nella Libia di Gheddafi, fino alla Siria di questi giorni tragici nei quali la violenza brutale del regime continua a mietere vittime a centinaia, con le complicità infami di Russia e Cina.
Il movimento approda in Europa, a Madrid, il 15 Maggio 2011 con gli indignados / acampados / Democracia Real YA che si estende alle città spagnole e agli altri paese europei, specie quelli latini più colpiti dalla crisi (Grecia, Italia, Francia).
Il 17 settembre 2011, il movimento sbarca negli USA, Occupy Wall Street è la prima di una serie di occupy seguita dal nome di città degli Stati Uniti, del Canada, della Gran Bretagna e in Israele.
In parte disgiunto in parte collegato è la varietà di altri movimenti nelle altre aree del mondo.
In estremo oriente, nella Corea del Sud e nel Giappone, non stupirà che la tragedia del maremoto e dell'incidente nucleare di Fukushima, abbia caratterizzato il movimento sul tema “No nukes”. Un movimento certo antico di decenni, ma che in quei paesi ha avuto nel 2011 nuova grande linfa.
Più curioso il caso del Latinoamerica. Anche lì c'è stato un forte movimento che ha coinvolto le principali città di grandi paesi come il Brasile: quello delle marce delle prostitute, Marcha das Vadias, o Marcha de las Putas. Ma non si può non segnalare il movimento studentesco cileno. O quello “occupy” in paesi come il Porto Rico. O ancora quello delle prostitute in un paese come la Corea del Sud. Per non dire del colletivo femminista ukraino "Femen".
L'idea di “Girls in relvolt” nasce dall'intuizione che la cifra di questi movimenti sia la presenza e il ruolo della donne, in particolare delle giovani donne, con tutta la loro immanente bellezza.
Le ragazze e i temi femministi sono presenti in tutti questi movimenti, così come i social media su Internet e i cellulari sono la piattaforma e le peroferiche su cui si è veicola la comunicazione e, almeno in parte, la organizzazione di tutti questi movimenti.
Le donne, e il loro contributo di idee, di pace, di bellezza e di libertà, spariscono ed escono dalla scena politica quando la rivolta si trasforma in guerra, come è successo in Libia e come rischia di succedere adesso in Siria.
La cifra pacifica così come quella femminile, cui la prima è probabilmente debitrice, abbiamo l'impressione che permettano di connotare questi movimenti più come 'rivolte' che non come 'rivoluzioni'.
Rivolte in senso camusiano, con il senso del limite ben chiaro, in cui i 'no' sono temperati con dei 'sì'. In cui la tentazione nichilista e violenta è ultra minoritaria.
Rivolte anche per la loro evidente lontananza dai movimenti giovanili e rivoluzionari del XX secolo, dalle loro mitologie ed ideologie. Lo si vede anche nell'iconografia del movimento “occupy” che utilizza con grande ironia la grafica dell'avanduardia russo-sovietica degli anni '20/'30 o la maschera di Anonymus, cioè quella di un celebre fumetto, che ha di fatto sostituito il ritratto del Che, quello di un celebre rivoluzionario dei 'mitici' anni '60.
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