Così conclude Primo Levi il suo articolo il giorno dopo l'uccisione di Aldo Moro sulle colonne de 'La Stampa': "(...) Se, per ipotesi assurda, (le Brigate Rosse) dovessero prevalere, non c'è dubbio che il Paese sarebbe sommerso da una marea di barbarie senza uguali nella storia moderna, forse perfino più odiosa di quella delle «non ancora dimenticate SS naziste» a cui esse osano paragonare le forze dell'ordine." (10.05.1978)
Primo Levi, nella sua opera finale, I sommersi e i salvati (1986), colloca i sopravvissuti ai Lager nazisti (e se stesso) fra i “peggiori”; Adriano Sofri, nelle due lettere del 2008 su il Foglio e il Corriere della Sera, colloca gli assassini del commissario Calabresi (e se stesso) fra i "migliori".
Questo l'abisso di tempra morale tra due figure esponenti della zona grigia, seppur di due contesti storici diversi: i Lager del terzo Reich e gli anni di piombo italiani. Contesti che però è lecito accostare perché l'autore stesso del concetto di "zona grigia" lo suggerisce alla fine dal capoverso in cui lo presenta: "La zona grigia della «protekcja» e della collaborazione nasce da radici molteplici.(…) Questo modo di agire è noto alle associazioni criminali di tutti i tempi e luoghi, è praticato da sempre dalla mafia, e tra l'altro è il solo che spieghi gli eccessi, altrimenti indecifrabili, del terrorismo italiano degli anni '70". (P. Levi, I sommersi e i salvati, pagg. 29-30)
Se gli studiosi di Levi, come Anna Bravo (1), hanno sottolineato giustamente che "Si potrebbe scrivere un libro sugli usi e gli abusi fatti del termine zona grigia", dall'altra parte, nessuno di loro mi risulta si sia preso la briga di domandarsi ed approfondire quel riferimento così esplicito al terrorismo italiano (*).
Rientra così in una tendenza, per fortuna in regresso (come segnalato in precedenti articoli), cui siamo ormai abituati da decenni: il ruolo di supplenza svolto dai giornalisti alla carenze degli studiosi sui temi caldi della stagione dei terrorismi. Infatti quest'anno è apparso il volume di Massimiliano Griner, "La zona grigia". Sottotitolo: "Intellettuali, professori, giornalisti, avvocati, magistrati, operai, Una certa Italia idealista e rivoluzionaria", per i tipi di Chiarelettere.
Il libro si compone di una carrellata di storie e personaggi che hanno aderito, fiancheggiato, simpatizzato o accettato il terrorismo eversivo di sinistra; che con le loro simpatie, silenzi, complicità indirette o scoperte, hanno reso possibile l'ampiezza, l'intensità e la durata del terrorismo del caso italiano.
Scrive l'autore che «La molla principale alla realizzazione di questo libro è stata l’indignazione verso un ambiente spesso arrogante e protetto che, diversamente da alcuni ex brigatisti, non ha fatto un solo passo indietro; non una riflessione sul proprio operato; non un ripensamento o un’ammissione di responsabilità per le tante sofferenze causate alle vittime e alle loro famiglie».
In vero qualche riflessione c'è stata anche in quell'area, e l'autore forse avrebbe fatto bene a sottolineare meglio che quanto ha riportato è una selezione parziale di quanto emerso solo pubblicamente nel corso dei decenni. Inoltre, il pur ampio quadro di tipologie è tratteggiato in modo talvolta insufficiente per valutare il livello di coinvolgimento nel fenomeno terrorista del singolo esponente. Infine, tra gli intellettuali, sono inclusi solamente i "clerici" laici.
Salvo rari casi con vasta letteratura, come quello Sofri-Calbresi, di fronte a questa area è quindi importante approfondire sia quantitativamente che qualitativamente, cercando di esimersi da giudizi netti ed affrettati. Come insegna sempre Primo Levi, è bene sfuggire sia dal sentimentalismo che tutto assolve, sia dal moralismo astratto che vuole tosto giudicare.
Siamo infatti di fronte ad un crinale delicato, fatto di livelli e responsabilità diverse e graduate. Come scrivevo a proposito del softpower da utilizzare oggi in termini preventivi nei processi di radicalizzazione attuali, siamo qui di fronte ad una area dinamica che esprimeva livelli diversi di coinvolgimento con il fenomeno. Un'area, quella grigia degli anni di piombo, che un programma USA (The Minerva Initiative) poi bloccato da carenze di fondi federali, voleva indagare scientificamente per trarre indicazioni utili alle sfide attuali.
Un peccato, perché una riflessione di quell'area oggi avrebbe potuto rimediare la sua propria tardività con una qualche utilità per il futuro.
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(*) In vero è la stessa Anna Bravo l'unico caso di un'analisi critica, seppur soggettiva, dall'interno, e probabilmente in parte inconsapevole, della zona grigia intorno al terrorismo degli anni '70: non a caso una studiosa della Shoa e di Primo Levi. 10 anni fa suscitò aspre polemiche la sua intervista a la Repubblica relativa al suo saggio “Noi e la violenza. Trent’anni per pensarci” , pubblicato sul numero III/1 (2004) della rivista “Genesis” (per informazioni: www.societadellestoriche.it dove è reperibile), nel quale studia i rapporti del femminismo e di tutta la nuova sinistra degli anni settanta, a cominciare da Lotta continua, il gruppo di cui ha fatto parte, con le varie forme di violenza (materiale, simbolica, ideologica). E' la prima volta che viene affrontato il tema delle violenza politica senza infingimenti e giustificazionismi, da perte di chi era stata parte del movimento.
Tre anni dopo, Luigi Manconi, anche lui ex militante di LC, riprenderà sostanzialemnte le sue tesi, sviluppando una ampia analisi sociologica sul terrorismo rosso in Italia tra il 1970 e il 2008. "Terroristi italiani" (RIzzoli). Si veda la recensione di entrambi i testi qui