L'iniziativa promossa dalla Fondazione Corriere della Sera
nell'autunno 2015 e rivolta agli
studenti delle scuole superiori (15-18 anni) di Milano, dal titolo L’Isis
spiegato (non solo) ai ragazzi, è un buon esempio in negativo di come un
approccio paternalista sia controproducente. I migliori giornalisti, i più
preparati, non sono infatti i soggetti corretti ad affrontare nelle scuole i
temi dell'Isis e delle sue relazioni con l'Islam e la sua storia.
I casi di proteste di studenti di religione islamica non
sono infatti la spia di una generica difficoltà ad affrontare il tema, come
sottolineano lo stesso Corriere qui
e il magistrato Guido Salvini sul Foglio
qui, ma sono piuttosto la spia di un metodo errato e contro-producente, al
di là dei buoni propositi.
In Europa il tema è affrontato da tempo, gli approcci
sperimentati, discussi e resi pubblici: basta consultare la Collezione di buone
pratiche dalla RAN che dal 2011 ha attivato gruppi di lavoro sui vari ambiti di
intervento della prevenzione della radicalizzazione violenta che porta al
terrorismo, facendo confrontare gli operatori che lavorano sul campo nei vari
Stati membri,
In tale rete della Commissione Europea non mancano
italiani e l'Italia, pur in ritardo in
questo genere di interventi e politiche di prevenzione, sta comunque
compiendo i primi passi. Esistono infatti già esperienze pilota locali che,
insieme a quelle degli altri paesi, ci indicano la metodologia e l'approccio
più efficace per gli intervenire nelle scuole.
Porto solo due esempi.
Dietro il termini di peer
education c'è un pratica pedagogica molto potente, quella di utilizzare gli
stessi studenti per formare i loro coetanei. Una esperienza recente a Lodi ci
segnala il successo di un approccio che porta nelle classi gli stessi studenti,
originari da famiglie di paese mussulmani, a parlare di Islam e terrorismo con
i loro coetanei.
Il secondo esempio riguarda un secondo soggetto indicato ad
intervenire e sono naturalmente gli insegnanti. Se si vogliono evitare tanto le discriminazioni
islamofobiche, quanto le derive di radicalizzazione violenta tra i giovani
studenti, il primo passaggio fondamentale riguarda una massiva formazione dei
docenti. Quelli di tutti gli ordini e gradi perché servono competenze sia nella
scuola primaria che permettano corretti approcci psicopedagogici per formare identità emotive in grado di
confrontarsi pacificamente con il diverso, sia didattiche nelle superiori che
rafforzino le capacità di pensiero critico di fronte alla propaganda violenta e
i tentativi di reclutamento via Web.
E' stato lanciato la settimana scorsa un tavolo di lavoro a Milano che si occupa di queste politiche e di questi interventi, in stretto
contatto con le suddetta rete europea, l’amministrazione cittadina e i soggetti
che a Milano e in Italia lavorano ai vari livelli sul problema. La Fondazione
Corriere della Sera sarà sicuramente benvenuta.
Nessun commento:
Posta un commento