domenica 10 aprile 2016

Terrorismo e migrazioni oggi, rischi e prevenzione

  • Dal catalogo “binario 18: #stayhumanart” promosso da Legal@rte
RISCHI E PREVEZIONE
Le ricadute sull’Europa dello scenario di guerre e flussi migratori è sotto gli occhi di tutti e prendono le forme e i nomi di una serie di rischi diversi: la stessa tenuta dell’Unione europea, quella dei suoi trattati (Schengen) e dei suoi valori comuni; la coesione sociale dei singoli Stati membri, minacciata da xenofobia, nazionalismi e populismi che raggiungono sempre più alti livelli politici; e la minaccia terroristica con annesse le varie forme di radicalizzazione violenta che coinvolgono le comunità musulmane.
Mi soffermo qui solo su l’ultimo di questi rischi, la cui prevenzione però ha ricadute positive su gli altri due.
Nella lotta al terrorismo, il significato di prevenzione è stato quasi  sempre associato alla repressione dell’atto eversivo in una delle fasi che precedono la sua attuazione concreta di attentato: dunque una prassi esclusiva degli organi di polizia ed intelligence.
Dopo gli attacchi dell’11 settembre 2001, sono iniziate a comparire ricerche, analisi e poi progetti e pratiche finalizzate ad intervenire sulle radici del fenomeno terroristico, cioè nelle fasi di quello che viene definito il processo di radicalizzazione violenta, precedenti a quelle finali in cui i soggetti disumanizzano le vittime del proprio odio e la violenza diventa pratica tanto cieca quanto concreta.
Non si nasce terroristi, né si tratta di pazzi e di emarginati sociali allo sbando. Dall’analisi delle loro bibliografie sono invece stati tratti dei modelli che ci descrivono la pluralità di concause e gli stadi successivi per cui un soggetto si radicalizza fino a giungere ad unirsi ad un gruppo terrorista. Da questi modelli sono stati tratti approcci e pratiche  atti alla  prevenzione di tale processo nei gruppi a rischi e di de-radicalizzazione sui singoli soggetti.
I programmi che si occupano di questa forma di prevenzione sono noti a livello internazionale come politiche di CVE: contrasto all’estremismo violento, il presupposto di partenza è che “l'intelligence, la forza militare e l'applicazione della legge da sole non risolvono - e quando abusato possono invece esacerbare - il problema dell'estremismo violento"(1).
I tre pilastri delle sue azioni sono:
- Disseminare sensibilizzazione sui processi di radicalizzazione violenza e di reclutamento;
- Contrastare le narrazioni estremiste, come la propaganda jihadista, con la promozione on-line di contro-narrazioni promosse dalla società civile;
- Valorizzare gli sforzi delle comunità locali che intervengono consentendo di interrompere il processo di radicalizzazione prima che un individuo si impegni in attività criminali.
Nei paesi del nord d’Europa tali politiche di prevenzione vedono le istituzioni pubbliche coinvolgere la società civile, le ONG, gli opinion maker politici e religiosi, con partnership pubblico /privato, per attuare, ormai da un decennio, interventi nelle comunità a rischio, nelle prigioni, nelle famiglie, nelle scuole con strumenti educativi, psicologi, sociali e mediatici.
Dal 2011 la Commissione Europea, Direzione Generale Affari Interni, ha lanciato la RAN, Radicalisation Awareness Network (2), creando una rete di operatori che a vario titolo lavorano sul campo, per raccogliere le migliori pratiche e trasformare i migliori approcci di contrasto alla radicalizzazione violenta in politiche per gli Stati membri. I paesi latini del Sud Europa sono però in grave ritardo su questo terreno. La Francia solo dopo i fatti di Charlie Hebdo del gennaio 2015, ha iniziato ad investire massicciamente nelle politiche e nei programmi di CVE. Mentre l’Italia stenta ancora, con l’eccezione di qualche progetto pilota.
Eppure, queste politiche che intervengono sul pensiero critico dei giovani di fronte alla propaganda su Internet, sulla resilienza delle comunità multi-religiose e multi-etniche delle nostre città, nell’informazione alle famiglie che temono per i propri figli in fuga verso scenari di guerra, o nelle prigioni per evitare che siano fucine di terroristi, oltre a prevenire la radicalizzazione, producono benefici indiretti per gli altri due rischi esposto all’inizio: rafforzano la coesione sociale dei nostri paesi e diffondono i valori comuni europei di cittadinanza attiva, democratica, plurale e non-violenta.


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