lunedì 30 gennaio 2017
venerdì 27 gennaio 2017
Civil Society Empowerment Programme
In 2017 we support the Civil Society Empowerment Programme: empowering civil society in countering extremism online https://t.co/e3oFTCImjK pic.twitter.com/qWdHEU4Phd— RAN CoE (@RANEurope) 26 gennaio 2017
lunedì 16 gennaio 2017
Deumanizzazione. Come si legittima la violenza
Il libro di Chiara Volpato, docente di psicologia sociale a
Milano, è un percorso ragionato tra le ricerche svolte a livello
internazionale, sul concetto e le pratiche di deumanizzazione: cioè su tutti gli atteggiamenti, i comportamenti, le
pratiche sociali e le narrazione massmediatiche che, o in maniera aperta e
violenta, oppure sottile e subdola, escludono, discrimina o minacciano, fino
all’annichilimento, l'altro: i gruppi diversi dal nostro - l'oppositore, il nemico, il diverso - con
metafore di natura, di volta in volta, animale, sovrumana, strumentale,
meccanicista o biologica.
Un’attività, quella di disumanizzare, che l’Autrice ci pone con suggestione all’origine della nostra stessa specie nell’incipit del saggio.
Moltissime le ricerche che vengono riportate in relazioni ai
vari conflitti: da quelli coloniali dell’età moderna, fino alle più recenti
guerre, dove - ad esempio - vengo evidenziate similitudini tra le metafore verso
i nemici come animali, malattie, mostri, utilizzate durante la seconda guerra
mondiale sia dai nazisti per descrivere gli ebrei che dagli americani per descrivere i
giapponesi e poi quelle, dagli stesse americani, durante la Guerra al
Terrorismo, per descrivere i terroristi islamisti.
Ho trovato curiosa un lacuna, forse dovuta al fatto che il saggio è del 2011, relativa a tutta la mole di recenti studi sul processo di radicalizzazione violenta cui molti ricercatori di psicologia sociale, e non solo, si sono dedicati analizzando le biografie dei terroristi, soprattutto dopo l’11 settembre. Studi nei quali, al di là dei differenti modelli proposti, tutti identificano nell’ultimo scalino del processo proprio la completa deumanizzazione del nemico che rende il radicalizzato un terrorista pronto ad uccidere un suo simile innocente.
Particolarmente interessante l’ultimo capitolo in cui sono
evidenziate le prospettive di ricerche, tra le quali quelle che definisce “Strategia
di resistenza (…) per contrastare il fenomeno” e per alimentare le quali
sottolinea, forse con un po’ di ingenuità accademica, il fondamentale apporto
di cui si devono fare carico il livello istituzionale, quello politico e quello
dei mass-media. A me pare che molto del lavoro che l’Autrice propone, dal
riconoscimento e la denuncia del fenomeno, alle strategia di umanizzazione
delle vittime e quelle di rimodulazione inclusiva ed empatica del linguaggio, sia
in vero più compito della società civile.
In ogni caso, siamo di fronte ad un saggio utile che fornisce moltissimi stimoli.
Peccato che l’editore lo abbia “deumanizzato” privandolo di un indice e di una
bibliografia dettagliata.
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Deumanizzazione
Come si legittima la violenza
Edizione: | 20164 |
Collana: | Universale Laterza [919] |
ISBN: | 9788842096047 |
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domenica 8 gennaio 2017
Guerre, genocidi e terrorismi: il ciclo della violenza
Nel 1939, poco prima dell'invasione della Polonia, Hitler disse ai suoi generali:
"Lo scopo della guerra non è quello di raggiungere le linee predefinite, ma annientare il nemico fisicamente. È così che otterremo lo spazio vitale di cui abbiamo bisogno. Chi oggi parla ancora del massacro degli Armeni?"
Quando nel 1915 ci fu la deportazione di tutti gli armeni dalla Turchia all’est della Siria, furono soprattuto le milizie curde a scortare gli armeni verso sud, rendendosi corresponsabili del genocidio. Quei curdi che in questi ultimi anni stanno combattendo fieri contro l'ISIS sul confine siriano, e sono al contempo combattuti dal governo turco che considera terroristi alcune loro organizzazioni politiche, come il PKK.
Del resto, negli anni '70, abbiamo avuto anche il terrorismo dell'Esercito segreto armeno che colpiva obiettivi per "costringere il governo turco a riconoscere pubblicamente la sua responsabilità per la morte di 1.5 milioni di armeni" nel 1915.
Così va la storia.
Oggi possiamo parlare di tutti i massacri, anche quelli poco noti come quelli in Yemen provocati dall'Arabia Saudita, e qualcosa lo dobbiamo alle nuove tecnologie, con il loro carico di informazioni e disintermediazioni,… ma è quasi sempre impossibile definire buoni e cattivi, come agognerebbero i cuori semplici di molte persone anche tra le più preparate e competenti.
Quando nel 1915 ci fu la deportazione di tutti gli armeni dalla Turchia all’est della Siria, furono soprattuto le milizie curde a scortare gli armeni verso sud, rendendosi corresponsabili del genocidio. Quei curdi che in questi ultimi anni stanno combattendo fieri contro l'ISIS sul confine siriano, e sono al contempo combattuti dal governo turco che considera terroristi alcune loro organizzazioni politiche, come il PKK.
Del resto, negli anni '70, abbiamo avuto anche il terrorismo dell'Esercito segreto armeno che colpiva obiettivi per "costringere il governo turco a riconoscere pubblicamente la sua responsabilità per la morte di 1.5 milioni di armeni" nel 1915.
Così va la storia.
Oggi possiamo parlare di tutti i massacri, anche quelli poco noti come quelli in Yemen provocati dall'Arabia Saudita, e qualcosa lo dobbiamo alle nuove tecnologie, con il loro carico di informazioni e disintermediazioni,… ma è quasi sempre impossibile definire buoni e cattivi, come agognerebbero i cuori semplici di molte persone anche tra le più preparate e competenti.
Anticipazioni sulla strategia italiana di contrastro alla radicalizzazione
Un prima anticipazione dei dettagli della Relazione della Commissione di studio su fenomeno della radicalizzazione e dell estremismo jihadista, presentata al Governo il 5 gennaio scorso
Un Centro Nazionale sulla Radicalizzazione, denominato Cnr, da creare «in seno a Palazzo Chigi», composto da esperti, psicologi, assistenti sociali, forze dell’ordine. Seguendo l’esperienza di Paesi che già hanno una struttura simile, ci si potrebbe avvalere anche dell’aiuto di ex militanti. E poi venti Centri di Coordinamento della Radicalizzazione a livello regionale, Ccr, formati da un numero ridotto di membri (tra 5 e 8): radar sul territorio e punto di riferimento per chiunque colga segnali di radicalismo in un figlio, un amico, un vicino di casa.
È questa la proposta principale presentata al governo dalla Commissione di studio sul fenomeno della radicalizzazione e dell’estremismo jihadista, istituita quattro mesi fa e incontrata ieri l’altro dal premier Gentiloni. Un’idea «altamente consigliabile», contenuta in una bozza riservata della relazione del gruppo di studio, che Palazzo Chigi e Viminale stanno valutando con molto interesse.
Per quanto i numeri della radicalizzazione nel nostro Paese non siano paragonabili a quelli di alcuni vicini europei (110 foreign fighter contro i 1500 francesi) «anche in Italia è presente una scena informale che, con vari livelli di intensità, adotta l’ideologia jihadista», si legge: non basta più il sia pur necessario contrasto tramite arresti ed espulsioni; servono anche, raccomandano i 19 esperti, politiche non repressive che prevengano la radicalizzazione.
Ecco allora la proposta: non solo l’invito a una «contro narrativa» (e magari alla creazione di un «portale multimediale gestito dalla Rai» con programmi di musica e sport capaci di veicolare messaggi di tolleranza e integrazione), ma anche una struttura di lavoro che abbia la sua centrale operativa direttamente a Palazzo Chigi, sede del governo, e da lì garantisca unità di intenti e coordinamento ai centri regionali. Ai quali spetta il compito più delicato: guadagnare la fiducia e fare rete con i soggetti locali - dalla scuola alle comunità islamiche - che possono venire a conoscenza di fenomeni di radicalizzazione, e essere per loro un referente. Per evitare quello che, racconta la relazione, successe tre anni fa nel Milanese, quando un paio di comunità per minori notarono segnali strani in due giovani originari del Marocco, ne parlarono a servizi sociali e Tribunale, ma, non avendo i ragazzi commesso reati, nulla si potè fare. Entrambi sono partiti per combattere in Siria con l’Isis, uno di loro è morto.
E che fare nel caso in cui un Centro regionale abbia una segnalazione? Nel percorso che la Commissione sottopone al governo, a quel punto bisogna individuare un mentore, una persona con «profonda conoscenza religiosa» capace di conquistare la fiducia del soggetto per distoglierlo dall’ideologia jihadista. Un lavoro lungo, ma non impossibile, come dimostra la storia di un olandese di origini marocchine deradicalizzato con l’aiuto di due mentori: oggi lui gira per incontri e seminari a raccontare la sua storia.
Questa, secondo la Commissione, la strada da affiancare a quella di polizia. Tutta da impostare, ma ritenuta necessaria. E, sottolineano gli esperti, dal costo «molto più basso di quello supportato per la normale attività investigativa, processuale e detentiva».
(Francesca Schianchi)
- da La Stampa del 07/01/2017.
Un Centro Nazionale sulla Radicalizzazione, denominato Cnr, da creare «in seno a Palazzo Chigi», composto da esperti, psicologi, assistenti sociali, forze dell’ordine. Seguendo l’esperienza di Paesi che già hanno una struttura simile, ci si potrebbe avvalere anche dell’aiuto di ex militanti. E poi venti Centri di Coordinamento della Radicalizzazione a livello regionale, Ccr, formati da un numero ridotto di membri (tra 5 e 8): radar sul territorio e punto di riferimento per chiunque colga segnali di radicalismo in un figlio, un amico, un vicino di casa.
È questa la proposta principale presentata al governo dalla Commissione di studio sul fenomeno della radicalizzazione e dell’estremismo jihadista, istituita quattro mesi fa e incontrata ieri l’altro dal premier Gentiloni. Un’idea «altamente consigliabile», contenuta in una bozza riservata della relazione del gruppo di studio, che Palazzo Chigi e Viminale stanno valutando con molto interesse.
Per quanto i numeri della radicalizzazione nel nostro Paese non siano paragonabili a quelli di alcuni vicini europei (110 foreign fighter contro i 1500 francesi) «anche in Italia è presente una scena informale che, con vari livelli di intensità, adotta l’ideologia jihadista», si legge: non basta più il sia pur necessario contrasto tramite arresti ed espulsioni; servono anche, raccomandano i 19 esperti, politiche non repressive che prevengano la radicalizzazione.
Ecco allora la proposta: non solo l’invito a una «contro narrativa» (e magari alla creazione di un «portale multimediale gestito dalla Rai» con programmi di musica e sport capaci di veicolare messaggi di tolleranza e integrazione), ma anche una struttura di lavoro che abbia la sua centrale operativa direttamente a Palazzo Chigi, sede del governo, e da lì garantisca unità di intenti e coordinamento ai centri regionali. Ai quali spetta il compito più delicato: guadagnare la fiducia e fare rete con i soggetti locali - dalla scuola alle comunità islamiche - che possono venire a conoscenza di fenomeni di radicalizzazione, e essere per loro un referente. Per evitare quello che, racconta la relazione, successe tre anni fa nel Milanese, quando un paio di comunità per minori notarono segnali strani in due giovani originari del Marocco, ne parlarono a servizi sociali e Tribunale, ma, non avendo i ragazzi commesso reati, nulla si potè fare. Entrambi sono partiti per combattere in Siria con l’Isis, uno di loro è morto.
E che fare nel caso in cui un Centro regionale abbia una segnalazione? Nel percorso che la Commissione sottopone al governo, a quel punto bisogna individuare un mentore, una persona con «profonda conoscenza religiosa» capace di conquistare la fiducia del soggetto per distoglierlo dall’ideologia jihadista. Un lavoro lungo, ma non impossibile, come dimostra la storia di un olandese di origini marocchine deradicalizzato con l’aiuto di due mentori: oggi lui gira per incontri e seminari a raccontare la sua storia.
Questa, secondo la Commissione, la strada da affiancare a quella di polizia. Tutta da impostare, ma ritenuta necessaria. E, sottolineano gli esperti, dal costo «molto più basso di quello supportato per la normale attività investigativa, processuale e detentiva».
(Francesca Schianchi)
sabato 7 gennaio 2017
giovedì 5 gennaio 2017
Commissione di studio su fenomeno della radicalizzazione e dell estremismo jihadista (sintesi relazione)
Commissione di studio su fenomeno della radicalizzazione e dell’estremismo jihadista by Luca Guglielminetti on Scribd
Un documento importante, quello presentato oggi in conferenza stampa a Palazzo Chigi, e atteso da almeno due anni quando su L'Avvenire segnalavo il ritardo italiano in materia di prevenzione della radicalizzazione: Europa ed Italia di fronte al radicalismo violento
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Milano e prevenzione del terrorismo: corsi ai vigili nel piano anti-radicalizzazione
Milano come Rotterdam: corsi ai vigili e studenti arabi nel piano anti-radicalizzazione
A febbraio il Comune di Milano farà partire un corso diretto a formare 300 vigili di quartiere per prevenire il rischio radicalizzazione islamica nei quartieri ad alta concentrazione musulmana, onde evitare quanto successo in Francia e in Belgio. A guidare i corsi, voluti dall’assessore alla Sicurezza, Carmela Rozza, ci sarà l’esperto antiterrorismo, ex magistrato e deputato dei Civici Innovatori, Stefano Dambruoso, che è anche autore di un disegno di legge in discussione al Parlamento per prevenire la radicalizzazione. In anteprima ci siamo fatti dire di cosa si tratterà
(Servizio di Lucia Tironi
Riprese di Fabio Lesmo)
Si veda anche
Si veda anche
Formare la polizia municipale al contrasto della radicalizzazione
Commissione di studio su radicalizzazione ed estremismo jihadista
Palazzo Chigi, 05/01/2017 - Il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni ha incontrato a Palazzo Chigi la Commissione di studio sul fenomeno della radicalizzazione e dell’estremismo jihadista. Al termine dell'incontro si è svolta la conferenza stampa del Ministro dell’Interno, Marco Minniti e del coordinatore della Commissione, prof. Lorenzo Vidino, alla presenza del Presidente del Consiglio.
http://www.governo.it/articolo/gentiloni-incontra-commissione-di-studio-sul-fenomeno-jihadista/6520
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