Contrasto e Prevenzioni di radicalizzazione ed
estremismo violenti: Europa, Italia e Torino
Se le guerre hanno avuto nel corso
dell’ultimo secolo uno strumento giuridico, il diritto internazionale, e una
sede sovrannazionale, le Nazioni Unite, dove provare a disinnescare o contenere
il fenomeno; i terrorismi viceversa, che dal secondo dopo guerra hanno sempre
più prevalso come modalità di conflitto a bassa intensità bellica ma a forte
efficacia destabilizzante e impatto politico, non hanno trovato a tutt’oggi le
ragioni di una definizione comune e condivisa dal consesso internazionale.
Come sappiamo però, purtroppo
l’Europa non condivide una politica estera, un sistema comune di difesa e di intelligence.
Nella lotta al terrorismo, ha quindi capacità limitate di fare prevenzione,
cioè di sostenere la repressione dell’atto eversivo in una delle fasi che
precedono la sua attuazione concreta di attentato.
La strategia della UE, dal 2005, si è
quindi concentrata sulla lotta contro la radicalizzazione
e il reclutamento (“EU Strategy on Radicalisation’”
adottata nel 2005, e rivista nel 2008 e 2014)
nell’ambito delle politiche che rafforzano la resilienza delle comunità, gettando così le basi per un maggiore coinvolgimento
della società civile nella lotta contro
la radicalizzazione, il reclutamento e la propaganda.
Dal 2011 la Commissione Europea, Direzione Generale Affari Interni, ha
lanciato la RAN, Radicalisation
Awareness Network (qui http://www.ec.europa.eu/ran ), creando
una rete di operatori che a vario titolo lavorano sul campo nei vari settori
(dalla carceri all’ambito socio-sanitario, dalle scuole alle polizie di
prossimità, a solo titolo di esempio), per raccogliere le migliori pratiche e
trasformare i migliori approcci di contrasto alla radicalizzazione violenta in
politiche strategiche per gli Stati Membri.
L’Europa ha di fatto così avviato
quelli che si definiscono a livello internazionale (UN e OSCE) politiche e
strategie di P/CVE: prevenzione e contrasto
all’estremismo violento.
Il loro presupposto di partenza, ben
esplicitato nel summit alla Casa Bianca del Febbraio 2015, è che “l'intelligence,
la forza militare e l'applicazione della legge da sole non risolvono - e quando
abusato possono invece esacerbare - il problema dell'estremismo violento".
I tre pilastri delle sue azioni
sono:
- Disseminare sensibilizzazione sui
processi di radicalizzazione violenza e di reclutamento;
- Contrastare le narrazioni
estremiste, come la propaganda jihadista, con la promozione on-line di
contro-narrazioni promosse dalla società civile;
- Valorizzare gli sforzi delle
comunità locali che intervengono consentendo di interrompere il processo di
radicalizzazione prima che un individuo si impegni in attività criminali.
Il concetto di radicalizzazione è
nato dopo gli attacchi dell’11 settembre 2001, quando sono iniziate a comparire
ricerche e analisi delle biografie dei terroristi da cui sono stati tratti dei
modelli che ci descrivono la pluralità di concause e gli stadi successivi per
cui un soggetto si radicalizza fino a giungere ad unirsi ad un gruppo
terrorista: quello che viene
definito il processo di radicalizzazione
violenta.
Da tali studi multidisciplinari di
un fenomeno assai complesso e variegato, sono poi seguiti programmi in diversi
paesi del mondo, finalizzati ad intervenire nella varie fasi di tale processo;
sia in quelle precedenti a quello finale in cui i soggetti disumanizzano le
vittime del proprio odio e la violenza diventa pratica tanto cieca quanto concreta
(Prevenzione della Radicalizzazione
violenta), sia in quelle successiva al reclutamento (Deradicalizzazione).
Tale relazione sarà comunque presentata
ad Aprile a Torino in occasione di un convegno in fase di organizzazione.
Tra quanto raccomandato al Governo
italiano dalla relazione della “Commissione Vidino”, compare la creazione di
Centri Regionali che supportino un servizio
di ascolto per permettere alle
famiglie di ricevere tutta l’assistenza necessaria nel caso temano che un
figlio o un figlia si stia radicalizzando, accingendosi magari a partire per
uno scenario bellico come quello dello Stato Islamico.
Un centro che può quindi sostenere
l’attività della varie comunità locali, comprese quelle religiose, che se già
svolgono un prima utilissima funzione di “sicurezza partecipata”, di
monitoraggio e contenimento del fenomeno, debbono sia formarsi sempre meglio,
che poter contare sul sostegno di personale specialistico e servizi di
supporto.
Torino è all’avanguardia in Italia: fin
dal 2012 sono partiti i primi progetti in materia.
Si tratta di progetti di natura
educativa, atti a rafforzare il pensiero critico di giovani e studenti di
fronte alla propaganda violenta e sviluppare contro-narrative create dai
medesimi soggetti, frutto della loro riflessione. (Chi fosse interessato può
chiedermi materiali di approfondimento)
Nel
2015, poi, la Commissione Consiliare
Speciale di promozione della cultura della legalità, ha avviato un Tavolo
di lavoro tra soggetti istituzionali, sociali e culturali interessate ad
affrontare interventi utili a prevenire i fenomeni di radicalizzazione ed
estremismo violento che rischiano di condurre al terrorismo i giovani del nostro
territorio. Un Tavolo di lavoro che
ci auguriamo riprenda il suo percorso con la nuova amministrazione cittadina
per mettere a sistema le varie iniziative che si stanno succedendo, tra le
quali sicuramente questa serie di utili incontri di dialogo.
Luca
Guglielminetti