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Consolato italiano di New York, targa
commemorativa "in memoria delle vittime italiane o di origine
italiana" dell'attentato alla Torri Gemelle |
L’11/9 ITALIANO
All'inizio del 2011 l'associazione AIVITER (Associazione Italiana Vittime del Terrorismo) di Torino
ricevette un e-mail che la invita a individuare i nomi degli italiani coinvolti
nell'attentato alle Twin Tower di New York. Il suo autore presupponeva che non esistessero o fossero
inventati. Si trattava infatti di un simpatizzate di quella teoria del
complotto che sosteneva che l'11/9 fosse stata tutta una complessa messa in
scena, compresi i nomi e i volti delle quasi 3000 vittime. Iniziai così delle ricerche su Internet nei mesi
successivi.
Tranne quanto accertato dei cronisti
italiani presenti a New York nelle primissime settime successive all'attentato,
che presentano alcuni nomi e profili di vittime italiane, i dati ufficiali si
fermano ad un numero, 10, sul quale caddero le parole dell'allora Ministro
degli esteri Ruggiero. Prima quelle del 18 settembre 2001:
"Sull'identità dei dieci il console mantiene il silenzio”; poi quelle
del 27 settembre: “Ci sono stati tanti italo-americani. Poi ci sono 37
oriundi, di cui 27 con doppia nazionalità e 10 con passaporto solo italiano. I
nomi debbono rimanere top secret perché così vogliono gli americani.”
Dopo queste date degli italiani spariscono.
Restano solo le suddette tracce di alcune corrispondenze fino ad ottobre 2001,
sulle quali è però difficile valutare l'affidabilità in termini di nazionalità
tra italoamericano, oriundi e dotati di doppia cittadinanza o solo di quella
italiana.
Non scioglie il problema neppure un video,
scovato sul web, della cerimonia nella quale il Ministro degli Esteri Massimo
D’Alema inaugurava nel 2007, al Consolato italiano di New York, una targa
commemorativa "in memoria delle vittime italiane o di origine
italiana". In quell’occasione si vedono dei famigliari, a turno, leggere
una lista di 172 vittime, senza distinzione tra italiani ed italoamericani. Al
termine della lettura, prima dell’intervento del ministro D’Alema, si assiste
ad una drammatica scena della madre di una vittima il cui figlio, Arturo Angelo
Sereno, lamenta non essere stato citato e quindi essere presente nell'elenco.
Curiosamente le reiterate scuse per l’omissione non vengono da personale del
Consolato, ma dal un parente di una vittima che assume su sé la responsabilità
della stesura delle lista dei nomi.
Scoprirò poi, avendolo incontrato, che tale
elenco era stato curato dal Cav. Giulio Picolli, cugino di una vittima diretta,
che mi disse di averlo tratto dalla lista ufficiale di tutte le vittime del
9/11/2001 rilasciato dalle autorità statali di New York e pubblicato dal New
York Times nel 2002. Tele lista però a me non risultava indicasse sempre le
nazionalità delle vittime, sicuramente non quelle italiane, come del resto
tutti i memoriali on-line, incluso quelle della CNN, che avevo consultato.
Quando nel settembre del 2011 mi recai al
Consolato italiano di New York con l'allora presidente dell'associazione, Dante
Notaristefano, riuscimmo ad ottenere un parziale chiarimento: informalmente ci
dissero che il motivo della segretezza dei nomi dei cittadini italiani era
dovuto ad aspetti legali verso i risarcimenti alle famiglie delle vittime. Il
che poteva avere un fondamento dovuto al fatto che in Italia nel 2004 era stata
nel frattempo approvata una legge in favore delle "vittime del terrorismo
e delle stragi di tale matrice" che prevede risarcimenti e agevolazione di
natura pensionistica e assistenziale anche per i cittadini colpiti fuori
dall'Italia. L'Italia non voleva quindi caricarsi di ulteriori indennizzi per
quei suoi cittadini che erano già stati risarciti dall'amministrazione
americana con una legge del dicembre 2001 e che stanziava un milione e seicento
mila dollari del governo federale per tutte le famiglie delle vittime.
Sta di fatto che quei nomi non sono a
tutt'oggi chiaramente noti. Districarsi nella loro individuazione non è
possibile neppure utilizzando quel memoriale ufficiale, 911MEMORIAL, sito
internet inaugurato parallelamente a quello fisico costruito a Ground Zero,
negli stessi giorni in cui mi trovavo a New York per il Decimo anniversario degli
attentati. Esso, infatti, non riporta le nazionalità, ma solamente il luogo di
nascita; e i nomi presenti sono quelli con i quali le famiglie hanno scelto di
ricordare i loro cari che non necessariamente corrispondono con quelli
anagrafici.
Da quel sito risulta che sono nati in
Italia, coi loro nomi talvolta ‘americanizzati’:
1. Angelo Amaranto
August 1,
1941–September 11, 2001
Born in: Salerno,
Italy
Lived in: Brooklyn,
New York
2. Lucia Crifasi
May 27,
1950–September 11, 2001
Born in: Sicily, Italy
Lived in: Queens,
New York
3. Anthony Luparello
November 24,
1938–September 11, 2001
Born in: Sicily,
Italy
Lived in: Queens,
New York
4. John Frank Rizzo
July 28,
1951–September 11, 2001
Born in: Vizzini,
Italy
Lived in: Brooklyn,
New York
5. John Talignani
August 31,
1927–September 11, 2001
Born in: Lentigione,
Italy
Lived in: New Port
Richey, Florida
6. Gino Luigi Calvi
July 27,
1967–September 11, 2001
Born in: Naples,
Italy
Lived in: East
Rutherford, New Jersey
7. Elvira Granitto
March 1,
1958–September 11, 2001
Born in: Naples,
Italy
Lived in: The Bronx,
New York
8. Felicia Hamilton
June 20,
1939–September 11, 2001
Born in: Nusco,
Italy
Lived in: Queens,
New York
9. Franco Lalama
June 18,
1956–September 11, 2001
Born in: Pacentru,
Italy
Lived in: Nutley,
New Jersey
10. Sean Gordon
Corbett O'Neill
May 24,
1967–September 11, 2001
Born in: Rome, Italy
Lived in: Rye, New
York
11. Palmina
DelliGatti
August 30,
1968–September 11, 2001
Born in: Avellino,
Italy
Lived in: Queens,
New York
12. Gerard F. Rauzi
March 24,
1958–September 11, 2001
Born in: Cloz,
Trento, Italy
Lived in: Floral
Park, Long Island, New York
13. Dominick A.
Pezzulo
August 15,
1965–September 11, 2001
Born in: Italy
Lived in: The Bronx,
New York
Altri nomi della lista "Picolli" sono qui
Le morali di questa storia.
La prima è la scelta dello Stato italiano di
scaricare i suoi cittadini, non solo dal punto di vista dei risarcimenti di cui
avevano, e hanno, diritto, ma relegandoli al rango di numeri. L’11 settembre
2008 al Palazzo del Quirinale, nel suo intervento in occasione della
commemorazione del settimo anniversario, il Presidente Napolitano, si limita a
ricordare: “Tra esse dieci persone con cittadinanza italiana o con doppia
cittadinanza, 260 di origine italiana”.
La seconda è che nessun giornalista si sia
fatto carico di questa lacuna per gli oltre 15 anni che ci separano oggi da
quei fatti.
Delle suddette difficoltà provai a
partecipare anche l’allora direttore del quotidiano La Stampa, Mario Calabresi,
figlio del commissario di polizia, Luigi, ucciso a Milano nel 1972 dopo una
campagna d'odio che ha avuto come voci primaria i periodici Lotta Continua e
l'Espresso e come base di sostenitori ben 800 intellettuali; ma l'autore di
quello che è stato il libro di testimonianza più letto in Italia, Spostando
la notte più in là (2007), non ebbe modo, voglia o interessa ad ascoltarmi,
almeno in quell'occasione. Così nel decimo anniversario della strage, La Stampa
pubblicò una sovra-copertina del giornale che presentava una paginata di volti
e nomi estratti dalla vecchia lista del Cav. Picolli col suo carattere
approssimativo e indistinto.
I due attori principali, l’uno istituzionale
l’altro nel doppio ruolo di giornalista e familiare, che presiederanno la già
menzionata prima cerimonia del 9 maggio 2008 al Quirinale per la Giornata in
Memoria, Giorgio Napolitano e Mario Calabresi, in quell’atto di
centralizzazione delle vittime del terrorismo nella storia repubblicana del
dopoguerra, manifestarono, in almeno in quelle due occasioni, un disinteresse
esplicito per quelle del nuovo terrorismo d’inizio millennio.
Non reputo che ci sia stata solo la volontà,
meschina e piccola Ragion di Stato, di far risparmiare alle pubbliche finanze
altri risarcimenti. Il disinteresse di Mario Calabresi nel 2011 e la
contabilità numerica di Giorgio Napolitano nel 2008, esprimono primariamente la
loro attenzione verso le vittime degli ‘Anni di Piombo’: sono solo loro a dover
acquisire centralità. Le altre esulano da quell’agenda: bastano i numeri o dei
nomi a caso.
La conferma di questa tesi emerge da un
altro dettaglio legato sempre alle liste dei nomi nella prima cerimonie
dedicate alle vittime del terrorismo, il 9 maggio 2008.
Tutti i nomi ufficiali delle vittime
italiane sono elencati nella pubblicazione promossa dalla stessa Presidenza
delle Repubblica Per le vittime del terrorismo nell'Italia repubblicana, qui consultabile,
edito dall'Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato e presentata e distribuita
al Quirinale nel 2008, ma tale pubblicazione non contiene esattamente l’elenco
di tutte le vittime italiane del terrorismo. È l’evidente frutto di un
accomodamento politico. Sono presenti nomi e omissioni di nomi che hanno una
lettura politica assai chiara.
Da una parte sono inclusi alcuni attentati e
omicidi condotti da organizzazioni non clandestine in un contesto di violenza
politica di piazza sull’asse fascismo/antifascismo che non si configura come
eversione contro lo Stato.
Dall’altra, mancano tutti i nomi delle
vittime italiane coinvolti negli attentati del terrorismo internazionale: da
quelle colpite nel nostro paese dal terrorismo di matrice arabo-palestinese e
di altre, a quelle colpite fuori dall’Italia per mano di terrorismi di Stato e
gruppi eversivi diversi.
Un esempio della prima fattispecie è l’inserimento del nome del giovane
Roberto Crescenzio, arso vivo da un attacco di bottiglie incendiare (‘molotov’)
al bar Angelo Azzurro di Torino nel 1977 a margine di un corteo antifascista
organizzata da sigle della sinistra extraparlamentare e che poco prima aveva
cercato di assaltare la sede dell’MSI. Il bar era ritenuto un ritrovo di
fascisti, ma il giovane Roberto era lì per caso: estraneo alla dinamica di
vendette e ritorsioni tra gruppi di estrema sinistra e destra. Certamente l’orrore
suscitato dalle fotografie dello studente lavoratore seduto fuori del bar con
ustioni sul 90% del corpo, fu enorme non solo in città e l’associazione di
Torino ha custodito la sua memoria nei 40 anni successivi. Purtuttavia né il
gruppo responsabile del servizio d’ordine del corteo, Lotta Continua, né la
sentenza del giudici in Corte d’Appello nel 1984, configuravano
l’organizzazione e i fatti come terrorismo.
Un esempio della seconda fattispecie, oltre
quello degli italiani dell’11 settembre, è l’omissione del nome del piccolo
Stefano Gaj Tachè, di due anni, rimasto ucciso, con 37 feriti, il 9 ottobre
1982 quando un commando palestinese, probabilmente per conto della fazione del
gruppo guidato da Abu Nidal, attaccò la Sinagoga di Roma all’uscita delle
famiglie al termine della celebrazione per la festività dello Sheminì
Azzereth. Portavoce della sua memoria, in questo caso, è la Comunità
ebraica di Roma che ancora 30 anni dopo, il 9 ottobre 2012, chiederà al
presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, di ''rimuovere il segreto di
Stato'' per le ''troppe ombre e dubbi'' sull'attentato. Sul sito internet della
comunità ebraica di Roma, sempre nel 2012, si legge:
«Per
non dimenticare il sacrificio di tante, troppe persone, da tempo è stato
istituito l’elenco delle vittime italiane che viene letto il 9 maggio al
Quirinale, in occasione del “Giorno della Memoria delle vittime del terrorismo
e delle stragi”. In questo elenco manca, inspiegabilmente, un bambino di due
anni, Stefano Gaj Tachè (…)».
Ma il piccolo Stefano non è il primo né
l’unica vittima dimenticata, anche solo limitandoci al terrorismo
arabo-palestinese. Il 27 aprile1973 a Roma l'impiegato della compagnia
israeliana EL AL, Vittorio Olivares, venne ucciso da un terrorista palestinese
che lo aveva scambiato per il direttore della società aerea. E qualche mese
dopo ci fu il primo dei due attentati all’aeroporto romano di Fiumicino, quello
del 17 dicembre 1973 con 32 morti e 15 feriti, cui seguirà quello del 27
dicembre1985 con 15 morti. Un decennio raccontato in un recente documentario,
significativamente intitolato "Il terrorismo dimenticato" e
visionabile integralmente sul sito di RAI
Storia qui.
Nel 2009 a Parigi avevo individuato delle
vittime italiane ancor più dimenticate. Avendone conosciuto dei familiari, al
rientro in Italia scrissi la seguente lettere al direttore de La Stampa, con in
calce anche le loro firme e a quella di Sergio Bazzega anche lui presente a
Parigi ed allora membro del direttivo dell’associazione torinese :
« [Gentile Mario Calabresi,]
Se non ci sbagliamo durante la visita nel nostro
paese del colonnello Gheddafi lo scorso giugno, sulla stampa italiana tra gli
atti terroristici riconducibile al suo regime, l’attentato al DC10 d’UTA è
stato citato una sola volta da un solo quotidiano.
Nelle rare volte in cui questa strage viene
ricordata ci si dimentica di dire che in quell’attentato, tra le 170 vittime di
18 nazionalità diverse, c'erano anche 10 cittadini italiani. Sabato scorso è
caduto il 20° anniversario di quella strage, dimenticata in Italia: delegazioni
di associazioni di vittime del terrorismo da tutta Europa si sono unite ai
famigliari nella commemorazione al cimitero parigino di Père Lachaise dove c’è
una stele che ricorda l’attentato con tutti i nomi delle vittime.
L’occasione è stata utilizzata anche per una
riflessione comune sull’enorme apertura di credito rivolta al colonnello libico
negli ultimi mesi dalla comunità internazionale e dalle Nazioni Unite.
Questi sono stati giorni di lutto, ma è difficile
non notare che da parte dei vertici istituzionali alla retorica utilizzata oggi
verso i nostri parà barbaramente uccisi in Afghanistan [nella missione Isaf],
non sia corrisposta tre mesi fa una sola parola verso le vittime delle stragi
compiute dal regime libico. La “realpolitik” è una prassi politica che non
mettiamo certo qui in discussione, ma ciò non toglie che risulti
incomprensibile il fatto che alla retorica della 'vittima del colonialismo' utilizzata
a man bassa del colonnello libico, non sia stato possibile - in tutti questi
anni - contrapporgli i crimini di Stato del suo regime che sono costati
centinaia di vittime di tutto il mondo, tra le quali dei cittadini italiani.
Se ci permette di ricordali, su quel volo del 19
settembre 1989 c’erano: Marina Baraldini, 37 anni, Pietrino Bernardi, 56 anni,
Stefano Cini, 24 anni, Gioacchino Diasio, 51 anni, Irene Pasqua in Feist, 26
anni, Marcello Ghirini, 36 anni, Ippolido Nievo, 62 anni, David Passigli, 31
anni, Kateleen Hilda Alvandian in Tolio, 39 anni e Mario Tolio, 52 anni.
[Grazie della sua corte attenzione,]
Olga Maiorana in Diasio, moglie di Gioacchino
Diasio
Nicoletta e Francesco Diasio, figli di Gioacchino
Diasio
Giorgio Bazzega, Direttivo Aiviter
Luca Guglielminetti, Relazioni Internazionali
AIVITER»
Mario Calabresi pubblicò la lettera e
aggiunse:
«Spero
che questo spazio, seppur limitato, serva da parziale risarcimento per l’oblio
che la politica italiana e i mezzi di comunicazione hanno riservato alle
vittime dell’attentato del DC10 della compagnia francese Uta, esploso mentre
stava sorvolando il deserto del Tenéré sulla rotta Brazzaville-Parigi. Il
coinvolgimento del regime libico è stato provato da tempo, ma oggi molte
ragioni - economiche, come di controllo dell’immigrazione illegale – sembrano
impedire qualunque rispetto della memoria».
L’anno successivo, il 2010, le mie ‘scoperte’
su vittime e terrorismi dimenticati si allargarono fuori dall’Europa.
LATINO AMERICA
L'America latina è stata una delle aree
nelle quali la guerra fredda ha preso le vesti di volta in volte di terrorismo
rivoluzionario e di Stato. Tra gli effetti della rivoluzione castrista a Cuba
del 1959, c'è stato infatti anche quello di creare un ponte all'URSS verso i paesi
del Sud America scatenandovi una grande instabilità politica negli anni '60 e
'70. Da una parte le varie avventure terroristiche, sotto forma di guerriglia
rivoluzionaria urbana e rurale, venivano sostenute e finanziate dal regime
comunista sovietico, attraverso l'isola caraibica, dando il via ad ogni sorta
di rapina, violenza e attentati. Dall'altra gli USA intervenivano in forma
eguale e contraria, non di rado aiutando colpi di stato da parte del potere
militare, con il conseguente insorgere di regimi totalitari e relative pratiche
di terrorismo di Stato.
Un caso paradigmatico, secondo lo storico
Walter Laqueur, Il nuovo terrorismo (2002), è quello dell'Uruguay.
«I prototipi di questo nuovo terrorismo
furono i Tupamaro dell'Uruguay. Erano emersi in un paese che per anni era stato
il più progressista dell'America Latina e ancora negli anni '60 era tra i più
liberali. I Tupamaros, che volevano un mutamento politico e sociale radicale,
attirarono gli elementi migliori e più idealisti della giovane generazione e
s'impegnarono in assalti alle banche e rapimenti, ma non in omicidi. All'inizio
le loro attività ebbero successo dimostrando che un paese civile poteva essere
facilmente destabilizzato. I Tupamaros ottennero l'attenzione dei media
mondiali, ma in ultima analisi l'unico risultato delle loro operazioni fu la
distruzione della libertà in un paese che, caso quasi unico nell'America
Latina, aveva una tradizione democratica ininterrotta, per quanto imperfetta.
La campagna di Tupamaros suscitò l'insorgere di una dittatura militare e
distrusse il sistema democratico, provocando nel contempo la distruzione del
loro stesso movimento».
I ruoli indiretti delle due superpotenze non
lascia scampo a quasi nessuno dei paesi latinoamericani. Quando pensiamo alle
loro vittime non dobbiamo dimenticarci che quei paesi, in primis l'Argentina,
sono stati meta di quella emigrazione - dalla fine dell'800 all'inizio del 900
- che ha condotto almeno un paio di milioni di italiani in tutto il continente
americano. Per la legge italiana i discendenti potevano facilmente richiedere
la cittadinanza.
Questo significa che abbiamo vittime
italiane, ed evidentemente soprattutto di origine italiana, su tutti i versanti
che hanno connotato i tragici fatti di terrorismo e violenza politica in quei
paesi. Tra questi proprio l'Argentina è un altro caso paradigmatico. Sui fatti
di quel paese esiste una ricca letteratura per quanto concerne le vicende dei
desaparecidos, i prigionieri politici che la dittatura militare del generale
Vileda, incarcerava, tortura e uccideva fuori da ogni controllo e iter
giudiziario.
Le vicende che hanno visto impegnate le
Madri de Plaza de Mayo nel buio della dittatura argentina dal ‘76 all’ ’83,
sono sicuramente un esempio di resistenza ad un regime che aveva inventato un
agghiacciante fenomeno nuovo: i desaparecidos, gli scomparsi. Gli oppositori
venivano prelevati a casa, sul luogo di lavoro, per la strada da uomini senza
uniforme e scomparivano nel nulla: decine di migliaia di cui molti ancora oggi
non si sa niente. Finivano in campo di detenzione clandestini e il modo di
eliminarli, senza lasciare traccia del corpo, erano i famigerati “voli della
morte”: ogni mercoledì un gruppo di persone, spesso giovani, venivano lanciati
vivi dagli aerei nel Rio de la Plata e nelle profondità dell’oceano Atlantico.
La marcia delle madri, col fazzoletto bianco
in testa e con le foto dei figli scomparsi, in Plaza de Mayo di fronte alla
Casa Rosada, sede del Governo, è rimasto il simbolo positivo del periodo più
buio della storia argentina recente. È un caso esemplare di lotta delle memoria
dei familiari delle vittime contro un terrorismo di Stato, che non solo in
argentina, aveva reinventato l’occultamento di cadavere nella pratica violenta
di uno Stato.
Va tuttavia rammentato un altro pezzo di
storia meno noto. L'ascesa al potere dei vari militari Videla, Massera e
Agosti, non è stato un vezzo sadico della politica estera USA, come viene
disegnato in molta pubblicistica italiana, ma anch'esso si inquadra, come per
l'Uruguay, nel contesto della guerra fredda. Il periodo precedente alla
dittatura quando - con tutti i limiti di un altro fenomeno politico singolare,
il peronismo - l'Argentina era in regime di democrazia, almeno due
organizzazioni terroristiche si muovevano sulla scena con rapimenti ed
uccisioni indiscriminate a migliaia: quella dei montoneros (MPM) e
quella del Ejército Revolucionario del Pueblo (ERP).
L'eco di tali misfatti arrivò anche in
Italia quando fu rapito e poi ucciso il responsabile della Fiat in Argentina,
Oberdan Guillermo Sallustro.
Nel gennaio 2010 incontrai Victoria
Villarruel in occasione del VI Congreso Internacional sobre Víctimas del
Terrorismo, organizzato da fondazione universitaria San Pablo CEU, a
Salamanca: mi consegnò un Cdrom con la versione elettronica del libro Los
otros Muertos, sottotitolo “Le vittime civili del terrorismo guerrigliero
degli anni ’70” promosso dalla sua associazione Centro de Estudios Legales
sobre el Terrorismo y sus Víctimas, CELTYV, e mi farà seguire, via email,
un file con una lista provvisoria della vittime italiane o di origine italiana,
colpite in quegli anni: un totale di 259 nomi tra prima e dopo il colpo di
Stato del generale Vileda (consultabile qui).
Come sempre accade, l’opinione pubblica
internazionale fece le sue scelte in base alle simpatie politiche: le vittime del golpe a
scapito di quelle del terrorismo rosso, che sono state dimenticare e private di
giustizia ancor più dei desaparecidos i cui responsabili militari subirono
almeno dei processi: uno dei quali anche in Italia, proprio per via della
cittadinanza delle vittime ‘scomparse’.
Anche nel caso delle vicende dell'America
latina sono emerse graduatorie di memoria e quindi di valore attribuito alle
diverse vittime: quelle dei movimenti ‘rivoluzionari’ filosovietici e quelle
dei regimi militare filoamericani. A distanza di decenni la sperequazione
continua, come dimostra la battaglia di Victoria in Argentina. Ancora una volta
è la figlia di una vittima a provare a ‘riequilibrare la memoria’ pubblica di
un paese. Ancora una volta altri nomi d’italiani e italoamericani che non
interessano la politica e i media del nostro paese.
CONCLUSIONI
Come osserva Annalisa
Tota che in La città ferita (2004) ha studiato l'attività di 'imprenditori della memoria' condotta dai famigliari della strage di Bologna del 2 agosto 1980, le assenza hanno un valore politico:
“una assenza di memoria, infatti è spesso un atto denso di significato politico ancor più della
sua presenza”. Vale per i
monumenti dedicate alle vittime nelle città, vale per i nomi citati nelle
cerimonie e nelle pubblicazioni ufficiali, vale per gli elenchi omessi per un
tempo determinato dai governi e si evidenzia esplicitamente quando a sparire,
oltre il nome, è anche il corpo della vittima.
Quando all’inizio del 2011 mi trovai di
fronte al problema di identificare i nomi delle vittime italiane dell’11
settembre, ero consapevole che nei 40 anni precedenti un numero di cittadini
italiani era stato colpito da terrorismi di ogni matrice, dentro e fuori il
nostro paese, la cui cifra non era lontana da quella dei presenti nell’elenco
ufficiale. Colpite da ogni fronte: dall’Esercito segreto armeno (contro la sede
della Turkish airlines a Roma il 10 marzo 1980), all’Armata rossa giapponese
(contro il circolo della marina USA a Napoli il 14 aprile 1988), dai gruppi
della guerriglia ai regimi militari sudamericani; dal GIA, Gruppo islamico
armato, nell’Algeria del 1994 a quello anticastrista della Fondazione
cubano-americana di Miami, a Cuba del 1997. Per giungere poi a quelle del post
11 settembre, a partire Maria Grazia Cutuli, giornalista Corriere della Sera,
in Afghanistan, il 19 novembre 2001, fino a quelli più recenti al museo Bardo di Tunisi, a Parigi e Nizza.
La legge n. 206 del 3 agosto 2004
"Nuove norme a favore delle vittime del terrorismo e delle stragi di tale
matrice" e la n. 56 del 4 maggio 2007 che istituisce il 9 maggio il Giorno
della memoria “al fine di ricordare tutte le vittime del terrorismo, interno
e internazionale, e delle stragi di tale matrice”, riconoscono le vittime
sia di attentati compiuti sul territorio nazionale che extranazionale, ma la
lista del 2008, la pubblicazione del presidente Napolitano, che contiene anche
i nomi ‘recenti’ delle vittime delle nuove BR (Biagi, D’Antona e Petri), non
comprende quella marea di nomi che passando il tempo continuavano ad emergere
da un passato non lontano e da luoghi remoti.
Qual è stato il criterio di inclusione ed
esclusione?
La risposta più ovvia è che le esclusioni
abbiano riguardato coloro che sono stati colpiti da terrorismi il cui obiettivo
eversivo non fosse lo Stato italiano.
Ma non è evidentemente così, altrimenti ci
sarebbe solo le vittime del terrorismo comunista e di una parte di quello
neofascista, quando invece ci cono le vittime delle stragi che se non
propriamente “di Stato”, sicuramente vedevano un ruolo attivo in parte dei suoi
apparati, come mandanti o come deviatori degli accertamenti giudiziari. E poi
le vittime della violenza politica ‘di piazza’ di organizzazioni che non
avevano carattere clandestino e la cui finalità era di difesa militante da
fascisti e antifascisti.
Il senso degli aggiustamenti e omissioni della lista
presente nella pubblicazione del Quirinale del 2008 è stato quello di includere, solo, tutte quelle
vittime, ‘attori passivi’ di una stagione precisa le cui istanze di memoria
molteplici erano state portate avanti per decenni da associazioni di vittime e parti politiche, e i cui limiti era
circoscritti a quelle che lo Stato italiano considerava un capitolo da
chiudere: gli “Anni di piombo’. Con tutto il loro portato di estremismi violenti
e ambiguità da parte degli ‘attori attivi’ con le relative ‘zone grigie” nello Stato come nella
società civile.
Le vittime prive di rappresentanza sociale o di rappresentanza troppo debole, sono state sacrificate all'obio.
Un’altra ragione risiede nello stato di sospensione in cui giacciono le
vittime di conflitti non conclusi, come quello israelo-palestinese, o quelle verso
quali le istituzione nazionali non state in grado di fornire un soluzione, un'exit strategy, una pacificazione. Sono
questi i casi dell’Argentina, ma anche dell’Algeria, mentre quello più recento della galassia jihadista dall’11/9 in avanti, è di fatto ancora in corso.
Quella lista che stavo redigendo dei
caduti italiani dei vari terrorismi omessi da quella ufficiale
del Quirinale, stava assumendo quella dimensione di
vertigine indagata da Umberto Eco (Bombiani, 2009). Era destinata ad
essere sempre incompleta come è nella natura di tutte le liste che possono
essere aggiornate, ridotte ed incrementate all'infinito. La si può consultare qui sul sito web di Aiviter, 'congelata' al 2015, quando è terminata la mia collaborazione con l'associazione. Ho quindi cercato ora di rendere ovvie le relazioni che tengono insieme i nomi di quella lista: una forma per scolpirli,
onorarli, per strapparli
dall'oblio e per fornire alla loro morte un significato: almeno un minimo
valore conoscitivo
che ci
informa sulle scelte, sempre politiche, degli attori istituzionali e sociali che
ruotano intorno al fenomeno del terrorismo.