giovedì 29 marzo 2018

Più grave oggi il ritardo italiano sulla prevenzione della radicalizzazione

Da oltre 4 anni si parla di prevenzione della radicalizzazione violenta, almeno qui dal post "Softpower nella prevenzione del terrorismo: il divario europeo" e ancora oggi l'Italia è praticamente l'unico paese europeo privo di un strategia nazionale di prevenzione in materia.
L'unica forma attuata fino ad oggi riguarda le espulsioni del Ministero degli Interni, ma al di là della loro efficacia (dubbia sui tempi lunghi), non è una pratica applicabile ai cittadini italiani: che siano convertiti o le seconde generazioni di giovani figli o figlie di migranti da paesi a maggioranza musulmana.

La precedente legislatura è terminata senza l'approvazione della proposta di legge in materia di prevenzione della radicalizzazione, così come senza quella sullo ius soliFine legislatura senza jus soli né lotta alla radicalizzazione. Il perché. 
I due recenti casi di Foggia e Torino che hanno coinvolto due italiani:  "il cattivo maestro" Habdel Rahman, 58enne manipolatore di giovani cervelli dai 4 ai 10 anni, e il giovane Elmahdi Halili, già arrestato per aver per primo tradotto in italiano un documento dell'ISIS, hanno aggiornato l'allarme terrorismo e pongono con urgenza un problema. Infatti, seppur la minaccia del terrorismo jihadista abbia ancora una dimensione relativa in confronto ad altri paesi europei e le nostra capacità investigative abbiano dimostrata grande abilità nel contrastare sul piano della prevenzione gli atti di terrorismo, in prospettiva, si pone seriamente il problema dei giovani italiani in fase di radicalizzazione

Non si può non osservare che i bambini coinvolti nelle nelle lezioni di odio di Habdel Rahman siano delle vittime, al pari di quelli che, nello Stato Islamico, erano normalizzati alla violenza e alla deumanizzazione dei nemici. Non si può neppure non osservare come Elmahdi Halili già arrestato nel 2015 appena studente, non abbia avuto alcuna opportunità di recupero in un programma di de-radicalizzazione.
Col passare del tempo non si potrà continuare a non mettere in campo politiche e personale specialistico per far fronte tanto alle giovani vittime dei cattivi maestri che a chi è in fase di radicalizzazione, quando non ha ancora agito alcuna violenza.

Questo il senso di poche battute recepite dal TG3 nazionale delle ore 19 di ieri 28 marzo...



TG3 del 28.3.2018: L'arresto di Halili e il ritardo italiano su prevenzione radicalizzazione from Kore on Vimeo.







giovedì 22 marzo 2018

P/CVE, lavorare coi giovani e le vittime del terrorismo: esperienze, criticità e prospettive in Italia

ABSTRACT:
I primi progetti italiani sulla prevenzione dell'estremismo violento sono iniziati nel 2012 sulla base dell'esperienza dell'Autore nel quadro dei lavori del Radicalization Awareness Network (RAN), istituito dalla Commissione Europea nel 2011, e Aiviter, le più grande associazione di vittime del terrorismo in Italia. Il gruppo di lavoro RAN sulla Voce delle vittime del terrorismo ha evidenziato nella sua attività durante 4 anni (pubblicati nel suo manuale) le principali questioni per sviluppare le (pre)condizioni per consentire alle vittime di diventare sopravvissuti attivi promotori di narrative alternative, da utilizzare nei programmi scolastici e nelle attività di P/CVE (prevention / counter violent extremism). Gli scopi principali dei progetti italiani erano (e lo sono tuttora) rafforzare il pensiero critico dei giovani e le competenze utili a consentire loro di affrontare la propaganda e la disinformazione attraverso l'uso pedagogico delle testimonianze/voci delle vittime. La descrizione dei progetti italiani realizzati a Torino è accompagnata dalla segnalazione dei loro punti deboli e delle loro criticità. L'A. sottolinea, infine, diversi punti per migliorare sia la valutazione della metodologia dell'impatto nell'attività didattica che le politiche pubbliche italiane sulla resilienza per le comunità e le vittime del terrorismo.


giovedì 15 marzo 2018

Aldo Moro: il rapporto esemplare tra Stato e vittime del terrorismo

La diretta televisiva dei funerali di Stato di Aldo Moro: qui il video

Quello di cui si parlerà meno in questo quarantesimo anniversario del rapimento e omicidio (16 Marzo - 9 maggio) di Aldo Moro, sarà il 14 maggio 1978: il giorno dei suoi funeriali di Stato.

(...) Nel corso dei 55 giorni che precedettero l’omicidio di Aldo Moro, il tema del rapporto tra politica, media e terroristi aveva per epicentro le lettere dello statista democristiano che i brigasti facevano filtrare ai media. Gli interessi del rapito e della sua famiglia, da una parte, e quelli dello Stato dall’altra, posero stampa e televisioni in una situazione di forte pressione tra le spinte a pubblicare o silenziare tali documenti. Com’è noto le lettere vennero pubblicate, ma furono alimentati dubbi che giunsero fino a mettere in dubbio la lucidità, o a dubitare della sanità mentale del rapito.
Il caso Moro ebbe un epilogo che rende esemplarmente il rapporto tra Stato e vittime, ‘mediato’ da giornali e televisioni. Dopo le aspre vicissitudini dei giorni del rapimento, comprese quelle tra politica, media e familiari dello statista democristiano, la moglie Eleonora ottemperò alle ultime volontà che lo statista aveva espresso nella lettera a Benigno Zaccagnini del 24 aprile 1978: «Per una evidente incompatibilità, chiedo che ai miei funerali non partecipino né Autorità dello Stato né uomini di partito. Chiedo di essere seguito dai pochi che mi hanno veramente voluto bene e sono degni perciò di accompagnarmi con la loro preghiera e con il loro amore» (Moro, 2008). Il risultato fu che la televisione trasmise agli italiani un paradossale funerale di Stato dalla basilica di S. Giovanni in Laterano a Roma alla presenza del Papa, autorità istituzionali e uomini politici, fondato su una duplice assenza: quella della salma di Moro e dei suoi famigliari più stretti.
Il rapimento è una forma di attacco che non si risolve nei pochi minuti di una sparatoria o di un’esplosione, ma dilata il tempo dell’azione terroristica. In quella frazione di tempo si possono osservare dinamiche mediatiche e politiche che hanno, rispetto alla vittima, un carattere parzialmente ‘genuino’ derivante dall’impossibilità di conoscere gli esiti del rapimento. Tale incertezza non rende meno ‘stumentalizzabili’ le vittime, ma, obbligando gli attori politici e sociali a schierarsi sulla strategia di gestione del rapimento, fanno emergere in modo chiaro la visione che ciascuna parte ha delle vittime, del loro valore umano rispetto la Ragion di Stato. (...)
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(da Luca Guglielminetti, La percezione sociale delle vittime del terrorismo, in “Rassegna Italiana di Criminologia”, n.4/2017, Pensa MultiMedia Editore, Lecce, 2017) 
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