lunedì 25 maggio 2020

KIT DI SUPPORTO AGLI OPERATORI PSICO-SOCIALI IN PRIMA LINEA NELLA PANDEMIA

"Support the Supporters" è parte del progetto “ICS - INSIEME CONTRO LA SOLITUDINE”, finanziato dalla Compagnia di San Paolo, è promosso da Psicologi per i Popoli Torino in collaborazione con Esprì, Psicologi nel Mondo Torino e l’Associazione Leon Battista Alberti. 

Il Kit contiene risorse, linee guida, suggerimenti, analisi e strumenti di aiuto agli operatori volontari o pubblici della psicologia dell’emergenza che stanno affrontando l’emergenenza pandemica da Covid-19, elaborato da un team scientifico multidisciplinare, per mitigare i rischi che possono compromettere la resilienza - connessi allo stress e alle possibili traumatizzazioni secondarie

Il file originale del Kit, sempre aggiornato, è qui:
-> https://drive.google.com/open?id=13wWpf1Dd6dNRY14bkoFECi2YI5S5onsF

-> Qui puoi sfogliare l'anteprima: https://issuu.com/ncletterario/docs/lineeguidasts-vers1-5blow



Qui link al test online di auto-valutazione ProQOL_5 su Compassion Fatigue, Burnout e Compassion Satisfaction:
-> https://docs.google.com/forms/d/e/1FAIpQLSdpqY4PK0XMhC6hPg1QxUlZN0Skvrs5COK2c283bqkoyfjZow/viewform

giovedì 14 maggio 2020

La liberazione di Silvia Romano e l’eredità di Primo Levi




Quello che sta patendo Silvia Romano è definito in letteratura la “colpevolizzazione della vittima” (victim blaming) ed è una forma di vittimizzazione secondaria: prima la violenza fisica dei rapitori, poi quella verbale dell'opinione pubblica.

Aver assistito al meccanismo del capro espiatorio in questo periodo di lockdown da pandemia nei confronti dei vari segmenti sociali, "untori" del coronavirus, ci ha reso ancora più esercitati ad individuare colpevoli su cui scaricare i nostri risentimenti. "Abbiamo tutti meno soldi e li spendiamo per pagare un riscatto", sentiamo ripetere sui social, per fare un solo esempio.

È piuttosto paradossale il fatto che ci siamo trovati anche noi tutti rapiti ai nostri domicili nella più completa incertezza, con la necessità di inventarci qualcosa per sopravvivere e restare sani, soprattutto di mente, senza tuttavia riuscire ad attivare nei confronti di Silvia l'empatia, la capacità di immedesimarsi in un persona rapita per un periodo così lungo, un anno e mezzo (!). Anzi, come occorso nel caso di Greta Ramelli e Vanessa Marzullo, le due cooperanti poco più che ventenni partite alla volta della Siria e subito rapite il 31 luglio 2014, anche in questi giorni ci troviamo un quadro di “odio civile” in cui si sommano idiosincrasie politiche, religiose e sessuali.

Lo sforzo di intendere le vittime tutte uguali perché eguale è l'insensatezza e l'ingiustizia della violenza politica, ideologica, religiosa o di genere su di loro esercitata, è un passaggio culturale che a molti resta difficile compiere. Infatti, il biasimo della vittima si indirizza a seconda della parte politica a cui l'ascriviamo. Prendiamo per esempio lo scenario iracheno del 2004: quando il rapito è percepito come di destra, nel casi di Fabrizio Quattrocchi, si scateno il biasimo di certa sinistra; pochi mesi dopo, nel caso delle sue Simone, percepite come di sinistra, all'opposto si scatena il biasimo del fronte opposto. L'anno dopo, sempre in Irak, abbiamo assistito alla polarizzazione del biasimo incrociato in occasione della liberazione della giornalista del Manifesto, Giuliana Sgrena, durante il quale viene ucciso il funzionario del SISMI, Nicola Calipari.

Queste "minoranze rumorose" con le loro espressioni di biasimo non comprendono ciò che tutti i terroristi sanno benissimo: la vittima non deve essere compianta, non deve suscitare pietà o diventa emblema di martirio: bisogna che prima di tutto essa susciti orrore, se uccisa, o disprezzo, se sopravvive. La società civile ha sempre avuto difficoltà ad esprime pietà verso le vittime della violenza politica, se non è percepita come vicina alla propria/o parte/partito politica/o. Il prof. Angelo Ventura, tra i massimi storici del terrorismo italiano, nel 1986 così iniziò un suo intervento a Torino:
«Le vittime sono ingombranti. Gli studiosi delle forme di violenza politica conoscono bene la tendenza dell’opinione pubblica a criminalizzare la vittima, per rassicurarsi ed esorcizzare il pericolo, convincendosi che in fondo la vittima qualche cosa deve pur aver fatto per meritarsi la violenza. È questo uno dei principali effetti psicologici che intende ottenere il terrorismo, secondo un meccanismo già largamente sperimentato dallo squadrismo fascista e ora sistematicamente applicato dal terrorismo rosso e nero». 
Così ancora oggi, con il terrorismo jihadista scatta un meccanismo per cui pensiamo che "la vittima se l'è cercata". In politica nessuno è innocente, è il ragionamento sotteso, quindi se ti trovi nei guai qualche cosa avrai fatto per meritarti una ritorsione.

Di fronte a Silvia Romano liberata dai suoi sequestratari di al–Shabaab che si presenta al pubblico dei suoi concittadini italiani in abiti "islamici", il paragone virale che gira sui social recita: è come se un ebreo liberato uscisse dai campi di concentramento nazisti in divisa nazista. Il presunto scandalo è talmente stupito che non offende solo Silvia con il suo diritto di sopravvivere e affrontare il trauma con gli strumenti che ciascuna vittima di un rapimento è libera di scegliere nel contesto costrittivo e violento nella quale si ritrova, ma offende anche oltre 30 anni di eredità di pensiero di Primo Levi. In particolare il suo insegnamento sulla figura tragica del "salvato", il sopravvissuto che sopporta già di suo il peso della vergogna («la vergogna del sopravvivente»), l'onta delle sua collaborazione col carnefice e il senso di colpa verso i “sommersi”.

Taluno vorrebbe, infatti, che la (presunta) collaborazione di Silvia col nemico venga pagata con la vita o con almeno con l'accusa di favoreggiamento verso il terrorismo. Altri, dagli scranni in Parlamento, la definiscono “neo terrorista”.
Ecco, concludo chiedendo ai mittenti di avere il coraggio di girare il loro biasimo a Primo Levi e ai molti sopravvissuti dei campi di sterminio che si sono suicidati dopo essere stati liberati.

Dietro il victim blaming risulterà, così evidente, sorgere un reato preciso: l’istigazione al suicidio.


P.S. questo testo è un approfondimento delle dichiarazioni rilasciate ieri al quotidiano Avvenire qui
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Bibliografia

GUGLIELMINETTI L. (2019) La radicalizzazione pacifica delle vittime del terrorismo, in “TERRORISMO  Vittime contesti e resilienza”, EducCatt, Milano

GUGLIELMINETTI L. (2017) La percezione sociale delle vittime del terrorismo, in “Rassegna Italiana diCriminologia” (RIC), n. 4, pp. 269-276

LEVI P. (1986) I sommersi e i salvati, Einaudi, Torino

VENTURA A. (1986) In Atti del Convegno “Lotta al terrorismo. Le ragioni e i diritti delle vittime”, tenutosi a Torino il 5 aprile del 1986 e pubblicati dall’Associazione Italiana Vittime del Terrorismo, Torino

mercoledì 13 maggio 2020

Silvia e le vittime ferite due volte

 


Articolo Vincenzo R. Spagnolo mercoledì 13 maggio 2020 sul quotidiano Avvenire in merito alla vittimizzazione secondaria della cooperante Sivia Romano con le considerazioni e i precedenti di "victim blaming" di Luca Guglielminetti.



Versioni originali qui:
- http://avvenire.ita.app.newsmemory.com/?publink=0f8dc6928
- https://www.avvenire.it/attualita/pagine/silvia-e-le-vittime-ferite-due-volte

sabato 9 maggio 2020

9 Maggio: la pietas ieri e oggi





Questi giorni di lockdown, di reclusione in casa, sono corsi lungo gli stessi 55 giorni che nel 1978 accompagnarono gli italiani durante il rapimento di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse. Allora c'era una sola alta personalità dello Stato rapita, oggi siamo stati tutti rapiti nei nostri domicili. Se allora l'angoscia e l'incertezza era in misura della capacità d'empatia di ciascuno, salvo la minoranza che plaudiva l'infame atto, oggi abbiamo vissuto tutti angoscia e incertezza su noi stessi e sui nostri "congiunti".  Il 9 maggio una famosa telefonata comunicava il luogo dove ritrovare il cadavere del presidente della Democrazia Cristiana: nel bagagliaio di una R4 rossa in via Caetani a Roma. Fù il momento della pietas che 30 anni dopo sarebbe diventato il Giorno della Memoria per ricordare tutte le centinaia di vittime itliane del terrorismo dell'età repubblicana.

Oggi, nonostante ci siano stati ripetuti appelli, non abbiamo avuto un momento ufficiale di pietas verso le vittime della pandemia. La parola è stata citata una sola volta in occasione di una delle conferenze stampa delle ore 18 della Protezione civile, ad Aprile, in occasione delle morte di un medico. Sia Conte che Mattarella, nelle loro comunicazioni, si sono limitati all'espressione di cordoglio e vicinanza alle vittime e alle loro famiglie. Il motivo risiede in uno standard della comunicazione durante le emergenze (risk communication), mutuata da quelle durante le guerre, secondo il quale l'espressione della pietà nei confronti delle vittime "fiaccherebbe il morale delle truppe". In caso di terrorismo o di pandemia, il morale dei cittadini. Il risultato è che le vittime vengono 'normalizzate'(*), ridotte a quei numeri quotidiani dai quali tutti possiamo prendere le distanze emotive che ci permettono di stare concentrati su quelle emozioni, l'angoscia e l'incertezza, che ci spingono a mantenere salde le regole: igieniche (lavarsi le mani), di salute pubblica (le mascherine) e di distanziamento sociale (restare a casa).

L'espressione della pietà verso le vittime di questa pandemia arriverà assai tardi, soprattutto quella verso tutte le vittime. L'espressione della pietà significa infatti riumanizzare le vittime dando loro dei nomi e cognomi e un minimo profilo biografico, così come aveva provveduto a fare la Presidenza della Repubblica quando, nel 2008 in occasione della secondo Giorno della Memoria delle vittime del terrorismo, aveva pubblicato il libro con i loro profili, attentato per attentato.
Oggi già sappiamo che i numeri ufficiali di questa pandemia sono parziali, in quanto non includono le vittime non riconosciute "come morte da Covid-19" e quelle indirette: cioè i malati gravi non-Covid che non sono stati curati, quei malati cronici che avranno subito un impatto letale per l'interruzione delle cure e coloro che non avranno retto alla pressione mentale e sociale, suicidandosi. Determinare tutte le vittime sarà un'operazione che richiederà indagini statistiche e giudiziarie che, seppur siano già iniziate, hanno tempi lunghi.

L'esito finale sarà comunque parziale. Come per l'elenco ufficiale delle vittime del terrorismo contenuto nel libro del Quirinale, nel quale mancano le vittime italiane del terrorismo internazionale (si veda), così, anche se un giorno avremo l'elenco delle vittime italiane di questa pandemia, dobbiamo già sapere che mancheranno dei nomi. Il che significa che ci saranno famiglie che si sentiranno escluse del riconoscimento ufficiale e dalla pietas pubbliche. Se gli esclusi saranno troppi, i rischi sulla coesione non avranno un impatto diverso da quello, più facilmente immaginabile, prodotto dal lasciare indietro settori sociali nello sforzo pubblico di rilancio del lavoro e dell'economia.
Magari in tempi diversi, ma i fallimenti o i successi delle politiche di coesione sociale sono l'esito di investimenti corretti, inclusi quelli sulla pietas, cioè sulla ricostruzione di memorie collettive.

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(*) Si veda "Sulla rimozione delle vittime da coronavirus" del 10 marzo 2020