martedì 10 marzo 2020

Sulla rimozione delle vittime da coronavirus

On the removal of the victims from corona virus in Italian public speech


"Le verità troppo evidenti, e che dovrebbero esser sottintese, sono invece dimenticate", scriveva Alessandro Manzoni nella Storia della colonna infame. Non ce ne accorgiamo neppure: possiamo parlare di rimozione.

Si ammalano, senza sintomi, il segretario del PD o il presidente del Piemonte ed è subito diretta video e profluvio di messaggi di solidarietà. Se si ammala il vecchio con sintomi gravi e poi muore, resta anonimo, un numero privo di biografia pubblica e qualsiasi solidarietà.

La comunicazione mediatica ci permette di nasconderci dietro i numeri e il loro anonimato di mantenere un enorme distanza emotiva. I numeri sono astrazioni che ci aggiustiamo alla bisogna per evitare dissonanze cognitive.

Detto in modo brutale: non sappiamo nulla dei morti oggi, per non sapere domani, quando eventualmente ci troveremo al triage di un ospedale, che il nostro ricovero in terapia intensiva ha il costo della vita di un altro più anziano e malconcio di noi. Ammesso di non essere noi il sacrificabile… Un verità che richiede veramente una misericordia oltre le nostre umane possibilità.

Posta questa verità “troppo evidente”, che senza l'aura letteraria manzoniana mi rendo conto suoni d’angoscia pornografica, resta la responsabilità preventiva della comunicazione, oggi chiamata a ridurre l'impatto della pandemia. Sul sistema sanitario, certo, ma soprattutto sulla coscienza, cioè il Sé più profondo, di chi al triage quelle scelte deve compiere. Quando cioè il verbo ‘decidere’ assume l'origine del suo etimo: tagliare la testa alla vittima, scegliere chi vive e chi muore.

Per usare ancora le parole del Manzoni, "l’adoprar doppio peso e doppia misura" verso le vittime al quale stiamo assistendo, questa rimozione, è il punto esatto che indebolisce la comunicazione istituzionale. Quella che ci chiede di cambiare le nostre abitudini per contrastare la pandemia da coronavirus. Abbiamo il coraggio di misure coercitive che piegano libertà ed economia, ma manca quello per raccontare le storie dei nuovi Guglielmo Piazza e Giangiacomo Mora. Non siamo nel 1630, sappiamo che l'untore è una chimera, ma le vittime innocenti ci sono e le loro storie e visi anche. Sono queste storie e visi, con le loro forza emotiva, che possono smuoverci, spostarci da abitudini consolidate e metterci di fronte alle nostre dissonanze cognitive.

Sono queste storie e visi, cioè quanto oggi rimosso dai media, gli strumenti per superare la mancata percezione del rischio da parte di molti, troppi segmenti di popolazione, giovani ed adolescenti in particolare (si veda). Chiedere di assumersi responsabilità di fronte a pericoli invisibili, come il coronovirus o il cambiamento climatico, è la cosa più difficile dal punto di vista della psicologia della comunicazione, ma quella istituzionale intorno a questa emergenza non può davvero dipendere dal solo linguaggio neutro di virologi e medici o dai numeri snocciolati dalla protezione civile ogni sera. Lasciare le vittime alla dimensione aritmetica dei numeri non favorisce altro che la loro de-umanizzazione e lascia la collettività nell’angoscia anonima delle sue vittime.

Il biasimo verso gli incoscienti nulla ottiene, se non di gratificare chi lo esprime. Se viceversa si cercano cambiamenti d'abitudine drastici, allora smettiamo di obliterare le vittime e, lo dico con estrema crudezza, diamole in pasto, come un ostia, ai "poveri di spirito".

Non servirebbe solo per la resilenza nell'attualità, ma anche per il domani, quando questa ‘guerra’ sarà finita: sui militi ignoti o, in questo caso, i cives ignoti, non si costruisce il futuro di un paese.

 

Dehumanize Victims By Numbers

"Truths that are too obvious, and that should be implied, are instead forgotten", wrote Alessandro Manzoni in the History of Infamous Column (1843). We don't even realize it: we can talk about removal. 
The secretary of the Democratic Party (PD) or the president of Piedmont falls infected with coronavirus, without symptoms, and it is immediately video directed and profuse of messages of solidarity. If the old man falls ill with serious symptoms and then dies, he remains anonymous, a number without public biography and any solidarity. Media communication allows us to hide behind numbers and their anonymity to maintain an enormous emotional distance. Numbers are abstractions that we adjust to the need to avoid cognitive dissonance. Put brutally: we know nothing around the dead today, to don't know tomorrow, when we will eventually find ourselves in the triage of a hospital, that our hospitalization in intensive care has the cost of life of another older and battered than us. Admitted that we are not the expendable (the the sacrificial victim)... 
A truth that truly requires mercy beyond our human possibilities. Given this "too obvious" truth, that without Manzoni's literary aura I realize sounds of pornographic anguish, there remains the preventive responsibility of communication, today called to reduce the impact of the pandemic. On the health system, certainly, but above all on the conscience, that is the deepest Self, of those who have to make those choices in triage. That is, when the verb 'decide' assumes the origin of its etymology: to cut the victim's head off, to choose who lives and who dies. 
To use Manzoni's words again, "the double weight and double measure" towards the victims we are witnessing, this removal is the exact point that weakens institutional communication. The one that asks us to change our habits to fight the coronavirus pandemic. We have the courage of coercive measures that bend freedom and economy, but we lack the courage to tell the stories of the new Guglielmo Piazza and Giangiacomo Mora. 
We are not in 1630, we know that the anointer ("l'untore") is a chimera, but the innocent victims are there and their stories and faces also. These stories and faces, with their emotional strength, can move us, move us from established habits (bias) and put us in front of our cognitive dissonances. These stories and faces, i.e. what is now removed from the media, are the tools to overcome the lack of risk perception by many, too many segments of the Italian population, young people and adolescents in particular. 
Asking to take responsibility in the face of invisible dangers, such as coronovirus or climate change, is the most difficult thing from the point of view of communication psychology, but the institutional one around this emergency cannot really depend only on the neutral language of virologists and doctors or on the numbers pitted by the civil protection every evening. Leaving the victims to the arithmetic dimension of numbers only favours their de-humanization, leaving the community in the anonymous anguish of its victims. Blaming the unconscious - who is not following the rules of prudence -  achieves nothing except to gratify those who express it. If, on the other hand, drastic changes of habit/bias are sought, then let us stop obliterating the victims and, I say this with extreme cruelty, let us feed them, like a host, to the "poor of spirit". 
It is not only for resilience in current events, but also for tomorrow, when this 'war' will be over: the future of a country will not be built on the Unknown Soldier or, in this case, the Unknown Citizen.

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