domenica 17 dicembre 2023

Note su storie d’infamia e di terrorismo in una prospettiva vittimologica

 

Convegno Cancel Culture

Università di Padova si è svolto il primo convegno italiano sulla cancel culture


[testo del mio intervento]

Grazie Marta Ferronato per l’invito a partecipare a questo convegno.
.
Permettetemi una premessa.
Se ci stiamo domandando cosa fare del passato, temo che la prima sguardo vada rivolto allo status marginale a cui sono ridotti gli studi storici e, soprattutto, il suo insegnamento nelle scuole. 
Vorrei quindi iniziare rendendo omaggio ad un grande storico dell’università di Padova, scomparso nel 2016, Angelo Ventura. Professore emerito di Storia Contemporanea che non solo risulta essere, nella revisione degli studi e del dibattito sul terrorismo italiano, condotta da Giovanni Mario Ceci, uno dei rarissimi protagonisti di valore ad aver affrontato il fenomeno. Non è stato solo uno storico che ha coraggiosamente studiato il terrorismo rosso quando ancora non apparteneva al passato – una sorta di "storico del presente”, come lo descrive Sergio Luzzato nella sua recensione sul Domenicale del Sole24Ore della sua opera più famosa “Per una storia del terrorismo italiano”. Angelo Ventura è anche la prima storia d’infamia che vi presento, in quando tale, un infame, era considerato dagli ambienti patavini dell’Autonomia Operaia, che non perdonavano chi si ribellava alle loro intimidazioni sistematiche, ma entrava invece proprio tra gli obiettivi da colpire: lui con l’attentato subito il 26 settembre 1979, come altri suoi colleghi nel triennio 1977-79. 
Uno storico che inizia quindi a studiare il fenomeno che ha sotto gli occhi e dal quale è stato direttamente colpito. E questa anche è la prima prospettiva vittimologica, che si inscrive in quel paradigma che ha in Primo Levi l’esempio più illustre di capacità d’analisi di una vittima, sopravvissuta al peggior atto d’infamia del XX secolo, la Shoah. É proprio in premessa al capolavoro dello scrittore torinese, I sommersi e i salvati, che Levi getta un ponte tra il concetto “sociologico” di  “zona grigia” nei campi di concentramento nazisti e quella che sottende, “fiancheggia”, “simpatizza” si diceva allora, per le Brigate Rosse. Coincidenza vuole che il libro di Primo Levi esca per i tipi di Einaudi lo stesso anno, il 1986, in cui Angelo Ventura era a Torino in occasione del convegno fondativo della maggiore associazione di vittime del terrorismo. Quella per cui ho lavorato per 15 anni, dal 2001 al 2016, come unico loro consulente, che tra i vari compiti aveva anche quello di costruire le storie delle vittime, cioè le memorie di un passato che nei primi anni duemila era ampiamente obliterato. Da allora i processi di memorializzazione dei conflitti politici è diventato uno dei miei principali campi di interesse, passato dal lavoro di base - compilare e curare le liste, le biografie e i memoriali fisici, come mostre, e digitali sul web e su supporti elettronici - a un’attività di ricerca con saggi su riviste e libri accademici  e policy paper per l’organizzazione della Commissione europea, nelle cui vesti sono qui con voi: il RAN. Il mio lavoro infatti è passato presto da una dimensione nazionale ad una europea, esattamente a partire dagli anni successivi al maggiore attentato sul suolo europeo, quello alle stazioni di Madrid del’11 Marzo 2004. 

Mi sono quindi trovato, in un primo momento, a compiere un lavoro storico di base atto al fine politico del riconoscimento sociale di un gruppo vittimario, sacrificato sull’altare delle pacificazione tra stato italico e terroristi occorso negli anni ’80 con la cosiddetta legislazione premiale (analogamente a quanto accorso in Irlanda del Nord e in Spagna), e poi ad osservare, in qualità di ricercatore, come una volta raggiunto tale riconoscimento (diritti inclusi), lo stato, ma possiamo dire gli stati e la commissione europea, provi ad utilizzare, per non dire sfruttare, le vittime come nuovi eroi da porre in musei e memoriali, come testimonials delle loro politiche  di memoria e di lotta al terrorismo. Uno uso simmetrico e contrario, come raccontò Ventura a Torino, a quello dello stato quando indugiò assai a contrastarlo nei primi anni ‘70.

Nella mia esperienza ho potuto quindi osservare una serie di dinamiche politiche intorno ai processi di memorializzazione che conferma come la tensione tra memoria ed oblio delle storie di violenze sia sempre stata una delicata e controversa scelta politica per il suo impatto sui processi di pacificazione, da una parte, e d’identità nazionale, dall’altra.

Trai molti esempi, ve ne cito tre.
Ho accennato alla mia mi pregressa attività di ricostruzioni delle memorie delle vittime del terrorismo italiane, finalizzata al loro riconoscimento delle loro dignità e dei loro diritti a verità, giustizia e risarcimenti da parte dello stato. Tale obiettivo è stato raggiunto grazie ad una alleanza tra le due principale associazione che rappresentavano rispettivamente i familiari e i superstiti, l’una del terrorismo rosso, AIVITER a Torino, l’altra di quello nero, l’Unione Stragi a Bologna. Pur avendo letture diverse degli anni di piombo, hanno svolto un comune lavoro di advocacy coi policy maker, per raggiungere gli obiettivi legislativi comuni nel primo decennio di questo secolo.
Questo non toglie però che sul piano della memorializzazione le associazioni abbiano avuto esiti differenti, potendo contare l’una su l’appoggio politicamente incondizionato degli enti locali, mentre l’altra solo un appoggio parziale e tardivo.  A Bologna le costruzioni di memoriali e le iniziative pubbliche periodiche sono iniziate subito negli anni successivi alla strage del 2 agosto 1980; mentre Torino, salvo una piccola eccezione, è iniziata solo decenni dopo. Il dato forse più significativo da evidenziare, a parte la tempistica, è la connotazione delle epigrafi memoriali: solo in quelle delle stragi troviamo l’aggettivazione ‘fascista’ che segue il termine ‘terrorismo’; su quelle del terrorismo rosso, non compare aggettivazione alcuna. In qualche raro caso è precisato “delle Brigate Rosse”, ma la precisa connotazione ideologica, ‘comunista’, è di fatto un tabù.
Il secondo caso è ancora più eclatante e ci porta alla stringente attualità: l’elezione di Javier Milei a presidente dell’Argentina. Ero pochi giorni a seguire un telegiornale quando nel servizio su tale elezione appare colei che sarà la Vicepresidente designata da Milei, una donna che ho conosciuto di persona e con la quale sono stato in corrispondenza una dozzina d’anni fa: Victoria Villarruel, presentata come negazionista del terrorismo di stato ai tempi della giunta militare del generale Videla: i famosi desaparecidos. Non posso confermare, ma posso testimoniare che, prima della sua entrata in politica, Victoria aveva speso la vita nella sua associazioni per raccogliere i dati sulle vittime del terrorismo “rosso” in Argentina, quello di gruppi come i Montoneros che hanno agito non solo come controparte armate del regime di Videla, ma già prima in democrazia, durante il primo peronismo.  Dimostrazione di come la Guerra Fredda fosse in vero assai calda, i cui strascichi di memorie di violenza, con migliaia di vittime da una parte e dall’altra (tra le quali gli italo argentini che interessavano la mia ricerca sulle vittime italiane dei terrorismi internazionali), investa l’attualità politica.

L’ultimo caso riguarda Padova. Dove, confesso di non saperne la storia, un pezzo delle Torri gemelle, è stata posta come monumento per le vittime dell’11 settembre. In tutti i resoconti delle cronache sulle cerimonie, c’è un’anomalia mai evidenziata: nei migliore dei casi i discorsi riportano un numero: 10 gli italiani coinvolti. I nomi sono importanti, come sapete, i numeri deumanizzano. Sono stato fino al Consolato Italiano di New York nel 2011 per sapere i nomi degli italiani vittime dell’11 settembre. 10 anni dopo nessuno si era domandato se tra le macerie delle Twin Towers, ci fossero degli italiani… Meccanismo di rimozione che mi spinse appunto ad analizzare la percezione sociale delle vittime del terrorismo nel mio primo paper del 2017.

Per avviarmi alla prossima storia d’infamia e poter giungere al tema della cancel culture, debbo però tornare ad Angelo Ventura, per sottolineare la filosofia delle storia utilizzata nella sua opera. Ventura studia infatti i rivoluzionari italiani del Sessantotto e dintorni con lo stesso approccio metodologico del mio maestro torinese di studi di storia, Franco Venturi, col quale era andato studiando i rivoluzionari del Sette o dell'Ottocento, i giacobini francesi, i populisti russi: cioè a prescindere da ogni sociologismo o psicologismo, guardando questi ‘rivoluzionari’ attraverso i loro materiali di lavoro e di lotta, le loro idee e le loro azioni concrete. Semplificando all’essenziale, un approccio ‘idealista’ che cerca nei materiali della propaganda le ragioni della ‘propaganda dei fatti’, che sono le azioni armate condotte.
Tra questi materiali di studio ci sono i testi (e più recentemente anche i video) di rivendicazioni degli attentati terroristici, così come i miti e le teorie cospiratorie che supportano il bagaglio ideologico di questi gruppi.
Negli ultimi due anni ho avuto di occasione di provare a ricostruire in un saggio alcuni antecedenti storici di questi materiali. Per limitarmi ai primi, non potendo dilungarmi sui secondi, e così giungere alla conclusione, citerò solo quello molto noto della colonna infame di manzoniana memoria. Una storia che già Sciascia, nell’introduzione dell’edizione de lui curata nel 1981, aveva collegato con i nostri anni di piombo.
Nel percorrere alcuni testi che si possono configurare come teorie cospiratori, da quelle medievali contro ebrei e streghe, alla prima modernità della Milano sotto la peste, per giungere a quelle più recenti su Protocolli di Sion e le teorie novax durante la pandemia, mi sono imbattuto in una interessante reazione alla lettura della Storia delle Colonna Infame.

Sapete che la condanna a morte contro i due untori prevedeva anche la demolizione della casa del barbiere Gian Giacomo Mora e la costruzione di una colonna epigrafia con l'orgogliosa rivendicazione della giustizia compiuta, firmata dagli illustri giudici che avevano emesso la condanna.
Seppure un testo scritto dalla parte dell’autorità pubblica e non di un attore anti-statale, quel testo aveva un connotazione palesante analoga a quelli delle rivendicazioni dei terrorismi contemporanei. Sebbene di un epoca che precede i rivoluzionari francesi e le formazioni ‘para militari’ partigiane o terroriste, quanto accomuna chiaramente l’iscrizione sulla colonna alle rivendicazioni è una precisa finalità  propagandistica. Come i giudici di Milano nel 1630, i terroristi, novelli giustiziati dell’anti-stato, hanno bisogno di rivendicare per suscitare immediatamente simpatia per la giustizia ottenuta attraverso le loro azioni violente contro i nemici, cioè delle vittime colpevoli. Dal punto di vista della vittimologia, le rivendicazioni sono testi che indirizzano una parte dell’opinione pubblica a colpevolizzare la vittima: una forma crudele di vittimizzazione secondaria nota con il nome di victims blaming. Questi testi cercano di mettere in atto un meccanismo di autodifesa del lettore che gli impedisca di provare empatia e compassione nei confronti delle vittime, alimentando qualche “buon diritto” per averle attaccate.

Tornando al saggio manzoniano, meno noto è che fu solo nel 1778, pochi anni prima della nascita dello stesso Manzoni, che il governo cittadino fece abbattere la colonna: una demolizione effettuata di notte e senza pubblicità, in virtù di una legge che vietava il restauro dei monumenti d’infamia.
Questa legge è un importante indizio storico, che segnala la diffusione di tale pratica in epoca medievale e moderna. Una diffusione difficile da riconstruire storicamente, come segnala Marco Albertoni, il maggiore esperto italiani di monumenti d’infamia. Diffusione che vie ribadita da un lettore del saggio manzoniano: Samuel David Luzzatto, professore al Collegio rabbinico di Padova, in una lettera scritta il 24 marzo 1843, citata da Luigi Sardi (2004): “Monumenti d'infamia furono eretti anche contro gli ebrei, e questi monumenti esistono ancora, e né la mano del tempo né quella dell’Illuminismo, né quella della coscienza li hanno demoliti. Anche contro i miei padri furono usate mille volte torture spietate, confessioni forzate, condanne, supplizi…”.

Questa lettera di porta al centro del tema di queste giornate: traducendo nel linguaggio giornalistico attuale: Samuel David Luzzatto è un “woke” che chiede un atto di “cancel culture”…

Ci pone l’interrogativo stringente su come compiere scelte in relazione alle vestigia di fatti violenti, originariamente scritti o costruiti per testimoniare a futura memoria l’orgoglio di aver giustiziato un nemico pubblico infame. Fatti violenti che nei secoli successivi vengono riletti, o meglio interpretati con una sensibilità o da cultura diverse.
Sia il provvedimento del governo milanese (non restaurare o distruggere nascostamente) che la volontà del rabbino Luzzatto, poi esaudita, presentano un paradosso evidente. L'infamia di una colonna o di un monumento emerge quando si vede che dietro l'atto eroico celebrato non ci sono nemici colpevoli, ma vittime innocenti. Quindi, queste demolizioni da un lato riconoscono l’ingiustizia, ma dall’altro la nascondono, cancellano la testimonianza della persecuzione dagli spazi pubblici.
La lettera del rabbino ci segnala come fosse insito nell’illuminismo aspettarsi la distruzione dei monumenti d’infamia. Anche il clima di positivismo storico poteva indurre a ripulite i resti e le testimonianze di atti sulla cui impossibile riproposizione erano poste tutte le certezze di un futuro illuminato dalla ragione. 
Oggi nessuno, non solo ebrei, si sognerebbe di proporre la distruzione dei resti di Auschwitz e Birkenau. Ma il problema è quale funzione questi abbiano.
Funzionano come elementi identitari: quelli di una Europa antitotalitaria, certo. 
Ma il punto è la famosa funzione “to act so that Auschwitz does not happen again”, annunciata  Theodor Adorno negli anni settanta.
Recenti revisione delle attività didattiche interno alla giornata della memoria della Shoah, hanno evidenziato lo scarso impatto. Laura Fontana, per esempio, scrive: “Tutto il fervore attorno alla memoria della Shoah, invocata e ricordata da ogni parte e in ogni circostanza, non è quasi mai ancorata a un’esigenza di conoscenza storica, né a una riflessione politica sul background intellettuale dei carnefici, o a una esame dei sistemi di valore del nostro presente; tale memoria, nel suo essere paradigma del “male assoluto” e della “cattiveria dell'essere umano”, rappresenta invece il pretesto per impartire una lezione morale”.

La finalità della RAN quella di prevenire tutte le forme di radicalizzazione e polarizzazione: fenomeni che hanno spesso a che vedere i diritti storici, con memorie di conflitti storici vicini (Shoah, terrorismo) e lontani (colonialismo, neo-colonialismo). 
Difficile prevenire che il risentimento alimentato da tali diritti e memorie storiche finisca per alimentare, in taluni soggetti o gruppi, forme di radicalizzarsi fino ad esiti violenti.

Nel mio recente paper per la RAN ho cercato di evidenziare un approccio per gestire i conflitti delle memorie. Tale approccio deriva da una recente campo di ricerca interdisciplinare: i “Memory studies”, che comprende trai suoi esponenti Anna Cento Bull, autrice del più importante saggio sull’eredità degli anni di piombo (Ending Terrorism in Italy). Affinchè la memoria dei conflitti non resti un campo di battaglia, strumentalizzabile dalla parti politiche, affinché i monumenti e i musei dedicati ai conflitti non comunichino solo moralismo e retorica nazionale, non si può far altro che considerarla un dibattito “always in progress”, la cui unica difficile precondizione è che in tale dibattito siano coinvolti tutti gli attori coinvolti: inclusi i nemici.
Una opzione politicamente difficile, che però ha degli esempi pratici: Tim Parry Johnathan Ball Peace Foundation, dedicato a due bambini vittime di una attentato dell’IRA a Glasgow,  e nel Centro costruito ad Oslo in memoria delle vittime degli attentati del 2011 di Brevik. Entrembi utilizzano quello che i memory studies definiscono “agonistic mode” of remembering e che prevede appunto la mutua riumanizzazione di tutti gli attori del conflitto. Sì, anche i nemici, che certo sono necessari alla politica, secondo Carl Schmitt, per la civiltà, secondo Umberto Eco, ma da riumanizzare, se vogliamo un processo di pace e chiudere un ciclo storico di violenze. 




giovedì 7 dicembre 2023

Un esempio virtuoso di prevenzione: il caso dell USR Lombardia

 


Il comunicato dell’ Ufficio Scolastico Regionale (USR) per la Lombardia recita:

“Il giorno 5 dicembre 2023 è stato organizzato un seminario regionale, nell’ambito della Convenzione tra Regione Lombardia e Ufficio Scolastico Regionale per la Lombardia per la realizzazione del progetto “Educazione alle differenze nell’ottica della prevenzione e contrasto ad ogni forma di estremismo violento” (anni 2022-2023) - (l. r. 24/2017, art. 6, comma 4), prot. n.5448 del 10.03.2022, nel corso del quale le dieci reti di scopo provinciali in oggetto (Bergamo, Brescia, Como, Cremona, Lecco, Lodi, Città metropolitana di Milano, Monza e Brianza, Pavia, Varese) presenteranno i risultati del loro lavoro pluriennale”.

Questa iniziativa, fin dall'a.s. 2016/2017, ha posto la Lombardia come l’unica, nel panorama nazionale, che abbia portato in modo sistematico il tema del contrasto e della prevenzione della radicalizzazione o estremismo violento nel settore educativo, con un articolata serie di scopi:

- realizzare corsi di formazione per dirigenti scolastici e docenti sulle diverse forme di estremismo; 

- inserire i temi dell’estremismo violento, nelle sue molteplici manifestazioni, nei percorsi di educazione civica attraverso Unità di Apprendimento (UdA) dedicate;  

- coinvolgere, nella progettazione delle iniziative, le Consulte Provinciali degli Studenti;   

- sensibilizzare i genitori sui temi delle diverse forme di estremismo violento;  

- attivare specifici monitoraggi per acquisire la percezione del fenomeno degli estremismi violenti da parte dei giovani e per modulare conseguenti azioni educative;  

- realizzare azioni di prevenzione tra i giovani del fenomeno dell’estremismo violento in tutte le sue forme; 

- sviluppare attività di sensibilizzazione rivolte alla cittadinanza;  

- elaborare strumenti di valutazione, con specifiche linee d’indirizzo d’intervento, in grado di supportare le interpretazioni di atteggiamenti e comportamenti che possono riferirsi ad un potenziale percorso estremista. Tali strumenti dovrebbero essere utili per accomunare l’interpretazione di senso da parte del personale docente e scolastico, per meglio definire i potenziali fattori di attivazione, ponendoli sempre in relazione con le realtà contestuali locali, sociali e familiari. 

Nel corso degli ultimi 4 anni ho avuto modo di svolgere il ruolo di esperto formatore dei docenti nei poli di  Lodi e Monza e Brianza, nonché di partecipare all’incontro del 5 dicembre, osservando che il lavoro svolto dalle reti di scuole lombarde era assolutamente degno dell’attività che avevo visto presentare in Europa in seno al RAN e alla primigenie attività svolte a Torino fin dal 2012, di cui fui promotore.

La relazione “Vidino”, cioè quella del Comitato Commissione di studio su fenomeno della radicalizzazione e dell’estremismo jihadista e intitolata: Verso un approccio italiano alla prevenzione della radicalizzazione, pubblicata nel gennaio 2016, presentava le seguenti esperienze italiane del tempo:

“Negli ultimi anni in Italia sono stati condotti alcuni embrionali esperimenti di contrasto della radicalizzazione, non sempre e non solo di matrice jihadista. Tra il 2012 e il 2014, ad esempio, alcuni progetti e corsi sono stati inseriti nella Collezione delle buone prassi della RAN, come il progetto europeo attuato a Torino “Counternarrative for Counterterrorism” – C4C  e l’azione del Comitato promotore per RAN Italia.  Nel 2016 invece, sono stati avviati nuovi corsi di formazione con la L107/2015 art.1, comma 121- carta del docente (Corso per docenti. “Radici, radicalizzazioni e terrorismo: una didattica di prevenzione” approvato dall’USR Piemonte  e dall’USR Friuli Venezia Giulia  ed il Corso di formazione per dirigenti e docenti sull’Educazione alle differenze nell’ottica della lotta ad ogni forma di estremismo violento promosso dall’USR Lombardia . Sono stati anche finanziati dei progetti per la de-radicalizzazione e la creazione di un sistema di pre-allarme in contesto carcerario. Tra questi, il progetto europeo Raising Awareness and Staff Mobility on Violent Radicalisation in Prison and Probation Services (RASMORAD P&P) ed un progetto per la sicurezza degli enti locali “Local Institutions against Violent Extremism II”. 

Altri progetti avviati con fondi di enti locali sono stati: 1) il progetto torinese nelle scuole “Islam: radici, fondamenti e radicalizzazioni. Le parole e le immagini per dirlo”  che utilizzava i fondi del Consiglio regionale piemontese ai quali si aggiungerebbero per il progetto 2016-2017 quelli privati di alcune fondazioni bancarie; 2) Il Progetto “Rete di sostegno contro gli abusi e le vessazioni nei gruppi”, finanziato dalla L.R. del Friuli Venezia Giulia 11/2012 , che per gli anni 2016 e 2017 ha previsto anche percorsi di uscita e recupero dai gruppi manipolativi ed estremisti.” 

Nonostante l’esperienza lombarda, già ivi citata, abbia travalicato i confini del focus sulla radicalizzazione ed estremismo politico-religioso, verso una prevenzione primaria che includeva altri fenomeni - dall'hate speech alla violenza di genere e il bullismo-, resta il fatto che questa esperienza non abbia assunto il carattere episodico tipico delle analoghe iniziative svolte nel nostro paese negli ultimi 12 anni, sia che si trattasse di formazione che di attività sul campo nei vari livelli di prevenzione della radicalizzazione. Del resto, la storia dell’iter della proposta di legge sul tema, lanciata nel 2016 dall’ex parlamentare e magistrato Stefano Dambruoso,  dopo 4 legislature non è riuscita a vedere la sua approvazione, lasciando l’Italia tra i pochi paesi senza una strategia complessiva di contrasto e prevenzione all’estremismo violento.

martedì 17 ottobre 2023

Protecting Jewish Communities: an Interview

The war between Israel and Hamas is feared to have consequences on the European Jewish communities. Their safety is not a new issue. This is the interesting interview with the historic head of security of the Italian Jewish community, Giacomo Zarfati, at the Great Mosque of Rome produced in the framework of the SHIELD Project which aims to protect all places of worship from terrorism.

Si teme che la guerra tra Israele e Hamas possa avere conseguenze sulle comunità ebraiche europee. La loro sicurezza non è una questione nuova. Questa è l'interessante intervista allo storico responsabile della sicurezza della comunità ebraica italiana, Giacomo Zarfati, presso la Grande Moschea di Roma realizzata nell'ambito del Progetto SHIELD che mira a proteggere tutti i luoghi di culto dal terrorismo.

venerdì 29 settembre 2023

The Role Of Victims In the Prevention Of Radicalization And Memory Policies

 Seminar under the Spanish Presidency of the Council of the EU. I’ve been panelist in round table on the role of victims in the prevention of radicalization and Memory policies.


Extracts form my speech:

In my experience of a quarter of a century, I have observed how the timing of memorialisation processes have shortened. For decades the victims of the past seasons of terrorism in Italy, Spain, England, Germany and France were removed and forgotten. In Spain the rise of the civic movement known as Espíritu de Ermua, at the end of t of the XX century, is probably the turning point that allowed to change the social perception of the victims of terrorism. In Italy something analogue occurred a few years after, at the beginning of the XXI century. Up until sixteen years ago, most of commemoration activities around terror facts in Europe arose in a bottom-up movement often carried out only by the victims’ organisations. (...)

In the last decades, the sensitivity towards the victims of terrorism on the part of public opinion and decision-makers has increased and the commemoration processes of the most recent attacks, from 9 11, have accelerated. This means, for instance, that some of the US association of victims of September 11, in the space of about ten years, went from dealing with trauma care to peace education in schools, as main goal activity. (…)

The consequences of this acceleration of memorialization, however, are not all positive, especially when the owner of the memory is the state. The 9/11 memorial and museum, inaugurated in New York in 2011, shows how some memorials take advantage of the emotions fear and anxiety “to persuade Americans to support government policy that appear to provide security” (Erica Doss, 2010, pp. 146–148). The alternative approach by the Norwegian government to design memorial sites a few months after the attacks in Oslo and Utoya, is rather paradigmatic: the discussion brought to no conclusion or consensus and the plan was abandoned, but in 2005, the local authority of Olso, and then the Ministry of Education, created a Centre that is a learning space that works with the mediation of memory and knowledge about the terror attacks. That’s exactly have sense: beyond commemoration, as an official “duty of memory” carried out top-down by the states, memorial centers or museums should be an open forum in an always ongoing work in progress. The only way to avoid that the conflict memory may be exploited by the political agora, creating polarization, and to allow the development of both prevention (PVE) and historicization activities.





venerdì 8 settembre 2023

L'imam di Birmingham, lapidazione e radicalizzazione

Contro l'imam di Birmingham un'indagine e fondi bloccati. Ma l'Islam radicale spaventa meno il Regno Unito. 

 Qualche mia battuta in questo articolo dell Huffpost sul caso dell'imam di Birmingham e la lapidazione delle adultere. “Il Regno Unito è stato uno dei primi Paesi ad attivare una strategia a livello nazionale di contrasto alla radicalizzazione dopo gli attentati del 7 luglio 2005 alla metro e ai bus di Londra”, spiega il referente del Radicalisation Awareness Network (RAN) della Commissione Ue, Luca Guglielminetti, “ovviamente, la percezione di questo fenomeno è cambiata in base ai momenti storici: se dopo gli attentati in Regno Unito l’attenzione era orientata verso la prevenzione dal jihadismo e del salafismo, il focus si è spostato poi sui movimenti di estrema destra, ritenuti altrettanto pericolosi”. In questo momento, il governo Sunak non valuta questi episodi come minacce e nella maggior parte del Regno Unito l’episodio non ha suscitato grande clamore: “Le nuove policy sull’antiterrorismo europeo e britannico tendono a identificare i luoghi di culto più come target di possibili attacchi che come luoghi destinati alla formazione di cellule estremiste e alla radicalizzazione dei giovani”, conclude Guglielminetti".

domenica 3 settembre 2023

L’attualità di Manzoni e Girard

L’ATTUALITÀ DI MANZONI E GIRARD: TRA VANGELO E PREVENZIONE DELLA VIOLENZA*

René GirardAlessandro Manzoni


Quest’anno è il 150° anniversario della morte di Alessandro Manzoni e il 100° dalla nascita di René Girard. Due pensatori - l’uno più letterato, l’altro più critico letterario - accomunati dalla dimensione profonda e originale del cattolicesimo presente nelle loro opere. Alcuni fili rossi li legano sia biograficamente, che per la riflessione filosofica sulla violenza e le credenze che lo alimentano. Riflessioni di stretta attualità perché afferiscono a quel mondo di idee che si nutre di teorie del complotto, che a loro volta nutrono le ideologie che sottendono la disumanizzazione dei nemici e giustificano l’uso della violenza per annientarli.
Il filo biografico è evidenziato da un aneddoto che Girard racconta in un’intervista pubblicata nel 2017. Lui che, per la sua analisi dei violenti contagi mimetici durante le crisi sociali, utilizzava le narrazioni intorno alle epidemie, dai miti antichi ai testi di persecuzione medievali, non si è mai soffermato sulla peste di Milano del 1630, nonostante racconti che da piccolo “Mia madre (...) imparò anche un po' di italiano, e ci leggeva il romanzo di Alessandro Manzoni ‘I promessi sposi’. Le chiedevamo di rileggere l'episodio della peste, che semplicemente ci affascinava. E per molto tempo abbiamo chiamato quel libro La peste di Milano”.
I testi di persecuzione medievali, come i testi antisemiti, i documenti dell'Inquisizione o i processi alle streghe, per Girard rappresentano una fase intermedia tra la capacità dei miti antichi di nascondere la logica sacrificale narrata da un persecutore che presenta la sua vittima come colpevole, e la nostra capacità di moderni di demistificare i miti, riconoscendo l’innocenza delle vittime perseguitate. La chiave di volta di questa capacità di demitizzare, per Girard, risiede nei Vangeli: Gesù e i suoi discepoli sono la prima ‘setta’ che vuole spezzare per sempre il ciclo delle violenze, cioè quelle faide che trovano nel sacrificio del capro espiatorio la via maestra di ricomposizione di conflitti o crisi sociali. Nella Passione, Gesù non è più un capro colpevole sacrificato sull’altare della pace e della coesione sociale, ma un agnello innocente, che si rende Paracleto, cioè avvocato difensore di tutte le vittime innocenti delle persecuzioni.
 
In occasione della Peste Nera che ha afflitto l’Europa e che colpì la Francia tra il 1349 e il 1350, Girard scorge nel testo del poeta Guillaume de Machouat, ‘Le Jugement du Roy de Navarre’, un esempio paradigmatico di capro espiatorio: addossare agli ebrei, avvelenatori di pozzi, la colpa dell’epidemia e la loro conseguente persecuzione. Se de Machouat, scrive Girard, “crede nelle storie che ci racconta, senza dubbio ci credono le persone intorno a lui. Il testo suggerisce che l'opinione pubblica è sovreccitata e pronta ad accettare le voci più assurde. Insomma suggerisce un clima propizio per i massacri che l'autore conferma effettivamente avvenuti. [...] Il testo che stiamo leggendo ha le sue radici in una persecuzione reale descritta dalla prospettiva dei persecutori. La prospettiva è inevitabilmente ingannevole poiché i persecutori sono convinti che la loro violenza sia giustificata; essi si considerano giudici, e quindi devono avere delle vittime colpevoli, eppure la loro prospettiva è in qualche misura attendibile, poiché la certezza di avere ragione li incoraggia a non nascondere nulla dei loro massacri.”

Nella seconda onda di peste che ha tormentato Italia del Nord e Svizzera tre secoli dopo, e in particolare quella di Milano del 1630, Alessandro Manzoni ci descrive, sulla scorta della documentazione storica da lui utilizzata tanto per i Promessi Sposi che per La Storia della Colonna Infame, come l'opinione pubblica sia stata altrettanto trascinata dalle credenze assurde sul contagio, le famose unzioni. A Milano non è più un poeta che si erge a voce collettiva di giudice, ma sono veri e propri giudici quelli che torturano e condannano a morte i due presunti untori, Giacomo Mora e Guglielmo Piazza. L’orgoglio per la loro violenza giustificata non è scritto sulla carta, ma scolpito sulla pietra della colonna eretta sulle macerie della casa del ‘sicuramente colpevole’ barbiere Mora, in uno di quei particolari testi di persecuzione che, in età medievale e moderna, assume la forma del monumento d’infamia e, possiamo aggiungere, che nei decenni recenti ha assunto quella del testo di rivendicazione dei diversi gruppi terroristici in giro per il mondo.

Se la storiografia recente ha confermato che nella Milano d’inizio XVII secolo un corpus di testi medici, magici e giuridici formarono una vera e propria teoria cospiratoria contro coloro che Manzoni battezzò come ‘untori’; la persecuzione anti-giudaica descritta da Girard troverà nuova linfa in età contemporanea con la nascita dell’antisemitismo, il cui corpus di testi culminerà nei tristemente famosi Protocolli dei Saggi di Sion. La congiura là prefigurata ha sostenuto ancora le più recenti ideologie dei gruppi eversivi neo-nazisti.
Più recentemente, il complottismo che abbiamo visto crescere durante la pandemia da Covid-19, presenta analogie con quanto Manzoni ci ha descritto. I vaccini e la classe sanitaria, come allora gli unguenti e gli untori, spesso lavoratori nel lazzaretto milanese, hanno una doppia valenza: sono stati visti e vissuti, da una parte di opinione pubblica, come prevenzione e cura dal virus, da un’altra, invece, come veicoli della sua diffusione o causa di più pericolose malattie, tanto da arrivare a fare degli hub vaccinali oggetto di attentati.
Le opere di Manzoni e Girard ci forniscono quindi un’analisi preziosa dell’humus mitologico, antropologico e culturale entro il quale cresce e si alimenta la violenza. In epoche diverse, da fenomeno di violenza sociale nel medioevo, a violenza istituzionalizzata in epoca di stati assolutistici, e che oggi continua nelle forme ancora istituzionalizzate di stati cui diamo il nome di totalitari e in quelle sociali anti-statali cui diamo il nome di terrorismi. Tuttavia la lezione più importante di questi due maestri è quella di avere provato a fornire ai loro lettori un antidoto, degno erede della “lieta novella”, alle teorie e ai miti cospiratori, ma anche uno strumento culturale di prevenzione del crimine, cioè quello di raccontare, l’uno, o analizzare, l’altro, la storia partendo dallo sguardo delle vittime, tutte parimenti innocenti, al di là di qualsiasi giustificazione i persecutori siano in grado di portare e alimentare o che, spiritualmente inconsapevoli, non sappiano quello che fanno (Lc. 23,33-34).


Luca Guglielminetti, membro del “Centro studi Renè Girard politico” dell’università di Padova


*Sintesi della relazione presenta all’Istituto Cattolico di Parigi il 16 Giugno 2023 in occasione della conferenza COV&R2023 “A celebration of René Girard’s 100th birthday”. Relazione in inglese scaricabile qui: https://fileshare.uibk.ac.at/d/cef9cf04f15143c2ab08/files/?p=%2FGuglielminetti%20Luca_What%20Are%20Girardian%20Persecution%20Texts.pdf







venerdì 2 giugno 2023

Prevenzione della radicalizzazione dei giovani in carcere e diritti umani

 

Giornata di studi organizzata nell’ambito del progetto di ricerca SERENY

Prevenzione della radicalizzazione dei giovani in carcere e diritti umani: approcci e pratiche” che si terrà il 31 maggio a Santa Maria Capua Vetere (CE), presso il Dipartimento di Giurisprudenza della Università della Campania




Tavola rotonda con Dott. Luca Guglielminetti, rappresentante per l'Italia della rete europea Radicalization Awareness Network (RAN) - Dott.ssa Gemma Tuccillo, già Capo del Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità - Dott. Ezio Giacalone, comandante del NIC (Nucleo Investigativo Centrale) - Dott. Nicolò Maria Iannello, Assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Giurisprudenza, Università degli Studi di Palermo.



giovedì 4 maggio 2023

Formazione a Udine

L'incontro a Udine del progetto 'Prassi Intermedia', "Prevenzione della RAdicalizzazione tramite la formazione degli operatori della sicurezza e dei profeSSIonisti dell'INformazione nei TERritori e nei MEDIA".

giovedì 30 marzo 2023

Anni di Piombo: la stagione senza fine



Il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, ha dichiarato: “Prendiamo atto della decisione della Corte di Cassazione francese, che in piena autonomia ha deciso di negare l’estradizione in Italia di 10 ex terroristi condannati in via definitiva per gravissimi reati compiuti negli anni di piombo. L’Italia ha fatto tutto quanto in suo potere, perché fosse rimosso l’ostacolo politico che per decenni ha impedito alla magistratura francese di valutare le nostre richieste”.

In verità l’Italia non fatto sempre sempre “tutto quanto in suo potere”.

Ho assistito a questa vicenda dall’interno, come consulente per 15 anni delle principale associazione italiana di vittime del terrorismo. Posso dire, per essere precisi, che lo Stato ha fatto “quanto in suo potere” solo a partire dalla Presidenza delle Repubblica di Giorgio Napolitano in avanti, cioè negli ultimi 15 anni. Nei precedenti 25 anni non ha fatto proprio nulla. Il punto è assai rilevante, perché tutti sappiamo che la giustizia o ha dai tempi ragionevoli o non è tale. Sappiamo cioè che le pene hanno un senso - sia verso le vittime e il contratto di convivenza che lo Stato garantisce che verso la finalità costituzionale di “rieducazione” dei rei - solo in confini temporali che permettano alle ferite di rimarginarsi. Nessuno crede che sia di qualche utilità sociale, politica o psicologica la carcerazione di persone anziane per i loro pur gravissimi reati di gioventù.

Quanto conta evidenziare è quindi la volontà politica sottesa all’inazione giudiziaria del nostro paese per decenni che è stata definita dal più importante lavoro accademico sugli anni di piombo, “Ending Terrorism in Italy”, di Anna Cento Bull e Philip Cooke (Routledge, 2013), una “strategia dell’amnesia” portata avanti dallo Stato italiano. Una strategia che si è infranta solo sotto grazie all’attivismo civile dal basso delle associazioni delle vittime del terrorismo, fin dagli '80 e, poi, dall’emergere della narrativa dei figli e dei superstiti delle violenze degli anni di piombo. L’esito di questa originaria strategia ha inficiato l’intervento riparativo di Napolitano nel primo decennio di questo secolo e ha destinato quella stagione ad una assenza di prospettive d’uscita, cioè di riconciliazione completa.

Oggi, dopo la sentenza della Corte di Cassazione francese, le ferite delle vittime e della società italiana resteranno aperte, così come chiuse sono rimaste le coscienze dei 10 ex terroristi espatriati in Francia. L’unico vero miracolo che potrebbe occorrere può giungere solo da questi ultimi, ora che sono certi di averla fatta franca, se giungesse una loro “parola di ravvedimento, di solidarietà o di riparazione”. Quella parola che, come ha sottolineato Mario Calabresi, fino ad oggi e per 40 anni è mancata.

sabato 25 marzo 2023

Quello che non sappiamo sui bambini musulmani d'Europa

 

In quanto figlia di una madre afgana e di un padre pachistano e cresciuta in Norvegia, Deeyah Khan sa che cosa vuol dire essere una giovane divisa tra la sua comunità e il suo paese. In questo potente, commovente intervento, la regista svela il rifiuto e l'isolamento vissuto da molti bambini musulmani cresciuti in occidente e le conseguenze mortali di non appropriarsi della propria gioventù prima che lo facciano i gruppi estremisti.

venerdì 24 febbraio 2023

La preside e l'odio di Gramsci



La lettera della preside di Firenze che tanto afflato solidaristico sta provocando nelle anime belle del nostro paese, è letteralmente un invito all'odio violento (hate-speech). La frase di Antonio Gramsci ivi citata "Odio gli indifferenti", prosegue così: "Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano". L'indifferenza gramsciana non è quindi, come il testo della lettera insinua surrettiziamente, quella verso la vittima dell'agguato fascista, ma la non reazione allo stesso livello di violenza dei cittadini. Gramsci odia, e la preside invita oggi i suoi studenti a odiare, quei cittadini che non vogliono diventa militanti e miliziani, cioè partigiani; quei cittadini che non rispondono alla violenza con la violenza, alimentando quanto già visto nella spirale degli opposti estremismi durante gli anni '70. Sono quindi solidale coi ragazzi pestati dai fascisti, ma sono orgoglioso di essere indifferente alle sirene gramsciane dell'antifascismo militante.

Vale la pena aggiungere il finale dell'articolo di Gramsci (del 1917, non scritto in carcere durante il fascismo): "Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti”. Nel 1917 non c'era ombra di fascismo: Mussolini era ancora un socialista seppur interventista. L'essere partigiano e l'odiare l'indifferente non attiene quindi alla nascita del fascismo, ma alla volontà di piegare tutti alla costruzione della "città futura" in Italia come in quella che si stava costruendo in Russia... "Partigiano" qui è sinonimo di "rivoluzionario comunista" non di "combattente civile del fascismo".



lunedì 20 febbraio 2023

Cultural and Religious Dialogue As a Primary Prevention Need In Countering Extremism


Since ancient times, sacred and religious places have been the pivot on which the ideas and cultures of human societies have evolved, playing a mediating role between the human and divine dimensions which included a pre-juridical function in those prescriptions aimed at regulating and controlling violence.

The modern process of secularization and separation, gradual but never clear-cut, between the political sphere of the state and the religious sphere of society or of the individual, and the related legal norms, on the one hand, and moral and ethical norms, on the other, have placed the state as solely responsible for the law, with its monopoly on the use of force, and therefore as regulator and controller of violence. However, religions and their spaces have not lost their value: believers and non-believers of all communities recognize them as a strong symbolic value around which the common sense of identity feeds both national and social cohesion. By guaranteeing the safety of all its citizens, the state can therefore only provide particular attention to the protection of places of worship, precisely because of the strategic role they play in keeping the community it governs united and saved.

This aspect poses places of worship, together with palaces of political power, as targets to be hit, conquered and sometimes destroyed by internal or external enemies. The cases of the destruction of archaeological sites in Afghanistan by the Taliban and in Syria by ISIS are just two of the most striking examples that recent history has presented to us demonstrating the impact and the deep wounds that such attacks cause to the historical and cultural identity of a people. 

The European Shield project already from its name implies its purpose: to put the “shield” at the center and in favor of places of worship. The underlying European policies and this project arise precisely from the concern to intervene preventively in the face of the attacks that these places have suffered in recent years by various forms of violent extremism. The analysis of these attacks was in fact the first undertaking of the project. The development of strategies and tools to mitigate risks and improve safety and security strategies of such places is what Shield is developing, involving a wide range of stakeholders. Among the latter, the representatives of the three main monotheistic religions played an important role in the first seminar organized by the project partnership which took place in Rome in December 2022.

The three representatives who attended – the imam of the Great Mosque of Rome, Nader Akkad, Rabbi Scialom Bahbout, president of the International Center for Systemic Research, and Msgr. Jean-Marie Gervais, Coadjutor Prefect of the Chapter of the Papal Basilica of St. Peter in the Vatican and president of the Tota Pulchra Association – have launched a message of common respect and mutual brotherhood which has its central fulcrum in the inter-religious dialogue to always be kept open and above all the conflicts that are now increasingly internationally interconnected.

See on the Shield Project web-site more info and articles on the workshop, here https://shieldproject.eu/news/

Shield Workshop Agenda

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the Agenda of the Shield Workshop