sabato 14 gennaio 2012

Terroristi e (in)giustizie



"C'è un'altra interessante differenza tra i terroristi del XIX secolo e dello del XX. I primi si aspettavano come un dato di fatto che sarebbero stati giustiziati o almeno che sarebbero stati condannati a lunghe pene detentive. Dall'altra i terroristi contemporanei hanno spesso sostenuto che nessuno aveva il diritto di punirli, che i terroristi avevano il diritto di attaccare, mentre lo stato e la società non avevano il diritto di difendersi. Di conseguenza pensano che i terroristi uccisi o imprigionati siano martiri. Molti gruppo terroristici chiedono di essere trattati prigionieri di guerra, ma negano allo stato il diritto di portarli davanti ad un tribunale come criminali di guerra per le loro indiscriminate uccisioni di civili." (Walter Laqueur, Il nuovo Terrorismo)

Oggi, in questo paese, che talune graduatorie - francamente ridicole ai tempi di internet - situano in una imbarazzate posizione nella graduatoria della libertà di stampa, abbiamo blogroll di (ex?) terroristi, con tanto di stellina rossa a 5 punte in 3D che ruota (dei vari Curcio, Persichetti & C.), che passano il loro tempo a lamentarsi del trattamento avuto dallo stato italiano, colpevole anche di gravi casi di torture su terroristi incarcerati.
Recriminare il fatto che lo stato non abbia trattato sempre in punta di diritto, di stato di diritto e di diritti umani, alcuni terroristi è il nucleo concettuale che finisce per giustificare la precedente azione omicida di tutti le bande brigatiste.
La tragica incorerenza di chiedere ad un stato un trattamento umanitario da parte di chi precedentemente non ha concesso nulla ai suoi cittadini inermi gambizzati o ammazzati per strada come cani, non è colta dagli interessati, ancora oggi a distanza di decenni dai fatti. Per costoro ci sono i loro martiri.
Un caso tra tutti, quella di Mara Cagol, cui recentemente si è giunti a dedicare un opera teatrale tratta dalle lettere che la ragazza prodigio delle prime BR mandava premurosa ai genitori. Cosa si può chiedere di più ad un topos letterario? La giovinetta ribelle, la causa giusta, la compagna del capo, le azioni temerarie, la morte tragica e pure le letterine alla mamma. Ci sono tutti gli ingredienti per presentare una romantica vita… immagino che vedremo presto anche il film, magari prodotto con soldi pubblici.
Così come non viene colta l'incoerenza che del fatto che in Francia, dove a centinaia i nostri terroristi hanno evitato di scontare la loro pena, ai loro (di) terroristi  - quandoescono dal carcere - viene fatto divieto di rilasciare una sola riga d'intervista. Nella patria dei lumi e dei diritti, agli ex terroristi francesi è riservato ben altro che le catene di blog, i libri, i film e i lavori nelle redazioni di giornali e case editrici. Per non dire del Brasile, la seconda patria di elezione per i nostri latitanti degli anni di piombo. Lì, dove Cesare Battisti è un addirittura esule politico, la situazione è tale per cui è stato certificato che la tortura di Stato è oggi assai superiore a quella del periodo delle giunte militari.
Infine, questi signori, che passano la loro vita a giustificare la morte data agli altri, con la complicità intellettuale degli stessi ambienti di un tempo (cui il sistema giudiziario non ebbe tempo di dedicarsi), omettono sistematicamente di ricordare che la maggior parte di loro, quando non sono latitanti fuori d'Italia, ha goduto di una legislazione premiale, la quale, se da una parte ha contributo alla sconfitta della loro follia criminale, dall'altra è stato un vero sopruso giuridico fatto alle vittime del terrorismo (Leonardo Sciascia disse a proposito: “Mi pare che il Parlamento, votando questa legge, si metta sotto i piedi sia i principi morali, sia il diritto”). Queste ultime hanno assai più motivi di dolersi del comportamento del nostro stato di quanto gli ex terroristi di lamentare un circoscritto numero di casi isolati di tortura, indegni di qualunque paese, certamente, ma che mai potranno fare del nostro paese di quegli anni nulla di sostanzialmente diverso da una delle 12 liberal-democrazie nel mondo uscite dal secondo dopoguerra.

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