giovedì 29 settembre 2016

giovedì 22 settembre 2016

mercoledì 21 settembre 2016

Malintesi linguistici intorno alla radicalizzazione violenta e all’Islam radicale.




Ricordo ancora il Presidente del Consiglio Monti, al rientro da Bruxelles, dichiarare che “dobbiamo combattere la radicalizzazione”. L’espressione sul viso non dissimulava il fatto che non avesse molto chiaro quel concetto probabilmente appena sentito in un incontro con la Commissione Europea.
Cosa si erano inventati gli 'eurocrati' questa volta?
Non avendo potere in materia di sicurezza, la Commissione, attraverso il  “Programma di Stoccolma” per il periodo 2010-2014 e la “EU Strategy on Radicalisation’” (adottata nel 2005, e rivista nel 2008 e 2014), ha provato a valorizzare a livello Europeo quelle politiche e programmi di prevenzione del terrorismo, attivati in alcuni paesi nordici (Regno Unito, Olanda, Germania, Svezia e Danimarca), che cercano di incidere sulle radici del fenomeno. Su quello che la recente letteratura scientifica post 11/9/2001 ha descritto come processo di radicalizzazione violenta che investe i giovani che si fanno reclutare o che si auto-reclutano in gruppi estremisti che praticano la violenza.

Da notare subito che  tale approccio non si è mai rivolto al solo terrorismo di matrice islamista, anzi le prime e più interessanti esperienza  europee erano rivolte ai gruppi giovanili neonazisti, come avvenuto in Svezia a Germania. Gli studi hanno riguardato anche fenomeni come quelli del nostro passato per le Brigate Rosse. La radicalizzazione violenta è  un processo psico-sociale che viene osservato o sul quale si interviene  al di là dell’ideologia violenta con cui si sposa (la “giusta causa” per cui uccidere e/o farsi uccidere) e gli interventi educativi, sociali e psicologici che si attuano per prevenirla sono frutto di attività locale, di resiliente  e multidisciplinare collaborazione tra amministrazioni e società civile.
Avendo però negli ultimi anni dominato la scena del terrorismo, l’IS, o ISIS o Daesh, e avendo la politica e i media, per pigrizia o imperizia, abbandonato od omesso l’aggettivazione “violenta”, la radicalizzazione si è trovata ben presto linguisticamente stravolta nel mare magnum dell’informazione. Con i termini tipo "radicalizzazione jihadista" se non ancor più semplificati di "Islam radicale".
Non stupisce, allora, la requisitoria dell’elzeviro di Roberto Casati comparso sulla terza pagina dell'ultimo numero del supplemento domenicale del Sole24Ore, intitolato “Islam non radicale ma distorto”.

Lì si arriva al paradosso di imputare al termine “Islam radicale” l’origine dell’attività de-radicalizzazione. Nella frase “esistono delle scale di “radicalità” che le forze di polizia usano per misurare la pericolosità dei sospetti e dei sorvegliati speciali”, a proposito delle politiche del governo francese, c’è il culmine del paradosso linguistico nel contesto più inappropriato, quello francese,  per discettare sul termine 'radicale/radicalizzazione'.
La Francia è infatti nota per essere partita tardivamente ad affrontare la radicalizzazione violenta, cioè solo dopo i fatti di Charlie Hebdo; inoltre l’approccio centralistico dello Stato sta inficiando gravemente l’efficacia dei suoi programmi; e l’uso di “radicalizzazione jihadista” nella comunicazione de la Republique alimenta malintesi linguistici fino a rischiare di assumere un carattere discriminatorio e controproducente. (Si veda anche questo precedente post.)

Il senso delle ricerche e delle politiche di prevenzione della radicalizzazione violenta e di de-radicalizzazione si comprendono solo spostando lo sguardo verso i paesi (nordici) che hanno una  cultura della prevenzione del crimine che agisce sui territori nei quali già esistano, o di possano sviluppare, coesione sociale, resilienza, fiducia tra istituzioni (anche della sicurezza) e cittadini tutti.
Compreso questo, anche in Italia, il linguaggio potrebbe diventare allora meno equivoco e controproducente, come giustamente auspica Roberto Casati nell’articolo del Sole24Ore sopra citato.

martedì 13 settembre 2016

CVE: dove sono i fondi?

Dove sono fondi per finanziare le attività di prevenzione e contrasto all'estremismo violento?
Questa la domanda reiterata da politici ed amministratori di fronte alla proposta di avviare interventi di prevenzione della radccalizzazione violenta e di de-radicalizzazione.
Ecco quindi un semplice elenco riassuntivo, per risposndere:




FONDI EUROPEI

1)  Programma "Internal Security Fund - Police". Fondi EU (DG Home) devoluti all'Italia:

Dal sito della Commissione http://ec.europa.eu/dgs/home-affairs/financing/fundings/mapping-funds/countries/italy/index_en.htm

  • Responsible authority

    Ministero dell'interno - Dipartimento della Pubblica Sicurezza

  • Budget

    The basic allocation for Italy under this fund is €56.631.761,00.

2) la RAN (Radicalisation Awareness Network) è dotata di 25 milioni di Euro per 4 anni con i quali la DG Home finanzia il funzionamento della rete e i servizi agli Stati Membri, come l'Italia, assicurando formazione e creazione di gruppi di lavoro nazionali su richiesta dei Ministeri degli Interni o della Giustizia.

3) Bandi (Call for proposal) gestiti direttamente dalle DG della Commissione Europea e i loro relativi programmi (REC, ERASMUS+, HORIZON2020...): ce non sono di prossima pubblicazione ma richiedono sempre azioni transnazionali con partnership che coinvolgano almeno 3/5 paesi europei.


FONDI ITALIANI

Anche se non ci sono fondi specifici sulla radicalizzazione, al momento, ciò non toglie che si possano utilizzare bandi ministeriali, regionali e locali per finanziare attività sul tema.

Ad esempio a Torino per il progetto nelle scuole ISLAM: RADICI, FONDAMENTI E RADICALIZZAZIONI VIOLENTE abbiamo utilizzato fondi del Consiglio regionale del Piemonte ai quali, questo anno, si aggiungeranno quelli privati di una fondazione bancaria.
Per il nostro progetto di formazione dei docenti delle scuole secondarie, dopo l'accredito presso gli Uffici scolastici regionali su direttiva MIUR, i corsi se li finanziano direttamente i docenti con il bonus di 500 Euro che hanno ricevuto dal governo.

Per l'attività di deradicalizzazione dei detenuti in carcere, ad esempio, si può probabilemnte procedere attraverso la Cassa delle Ammende gestita dal Ministero della Giustizia.

Insomma, sia a livello nazionale che locale ci sono opportunità e bandi sufficientemente generici da permettere di presentare progetti sulla radicalizzazione declinata nei vari ambiti: integrazione, cittadinanza, educazione, coesione sociale, resilienza, deradicalizzazione...

domenica 4 settembre 2016

L'Europa islamizzata dell'esoterico Buttafuoco



Che il più simpatico intellettuale della destra italiana si sia convertito all'Islam non deve stupire. Chi ha fatto il percorso opposto, come Magdi Cristiano Allam, si è trovato completamente spiazzato dall'ascesa dell'attuale Papa che è percepito come troppo dialogante con l'Islam anche da molti non credenti di sinistra.
La scelta di Pietrangelo Buttafuoco, ora col nome 'saracino' di Giafar al Siqilli, si inserisce invece in una filone alto della cultura di destra europea: quello esoterico di René Guénon che difende la Tradizione con la t maiuscola. Un sincretismo che prende il ‘meglio’ di tradizione pagana, giudaico-cristiana e islamica contro il nichilismo e l'illuminismo della modernità.
Il risultato è un dotto appello alla destra, solo apparentemente paradossale, in favore dell'islamizzazione dell'Europa, perché solo l'Islam ci può restituire "Dio, Patria e Famiglia".

Detto ciò, la lettura del pamphlet è interessante ed utile per comprendere la "firna" (che Buttafuoco piega al termine estremo di ‘faida’) che sta colpendo il mondo mussulmano e che viene giustamente ricordato essere la prima vittima del terrorismo jihadista.

Qui il capitolo sulla sua conversione pubblicato su Il Foglio

venerdì 2 settembre 2016

Prevenzione senza logica made in UK



Il  Counter-Terrorism and Security Act 2015 del Regno Unito stabilisce che specifiche autorità debbano tenere debitamente conto della necessità di prevenire le persone  dall'essere coinvolte nel terrorismo.
Questo atto è diventato noto come il ‘Prevent duty'.

Il Governo ha poi emesso due serie di linee guida per supportare tale dovere. Una si applica a tutte le autorità specificate. L'altra si rivolge in particolare all'interno degli organismi di istruzione superiore.

Nel "Prevenire Duty Guidance per istituti di istruzione superiore in Inghilterra e Galles" nel capito sulla valutazione dei rischi, al punto 19 si legge:

"RHEBs (“Relevant Higher Education Bodies”) will be expected to carry out a risk
assessment for their institution which assesses where and how their students might be at risk of being drawn into terrorism. This includes not just violent extremism but also non-violent extremism, which can create an atmosphere conducive to terrorism and can popularise views which terrorists exploit. Help and support will be available to do this." (*)

Includere non solo l'estremismo violento ma anche l'estremismo non-violento, stupisce assai nel paese che ha fatto studiare da avvocato presso la University College di Londra il Mahatma Gandhi alla fine del XIX secolo.

Nella patria della filosofia analitica come si può affermare che anche un estremismo non-violento può creare un'atmosfera favorevole al terrorismo?

Nel 2013 ad Amsterdam, in occasione di una conferenza europea del progetto "TERRA" (Terrorism and Radicalisation), ricordo sempre un professore inglese che rammentò di usare sempre l'aggettivazione 'violento' al termine 'radicalizzazione', anche perché, chiosò: "Abbiamo bisogno di più studenti con idee radicali!".  Chissà cosa sarà di loro negli anni a venire....

(*) https://www.gov.uk/government/uploads/system/uploads/attachment_data/file/97994/contest-summary.pdf

-----------APPENDICE:
Interessante la presa di posizione dell'Università di Oxford nel settembre 2016:
Oxford University vice-chancellor says Prevent strategy 'wrong-headed'