E’ noto che l’arte contemporanea, o “tardo moderna” per qualcuno, o “post moderna” per qualcun altro, non si fonda sul giudizio dell’opera d’arte ma sulla soggettività dell’artista che l’ha eseguita/prodotta/allestita. Il sacro nell’arte risiede oggi nell’individualità, unicità di chi la produce e che solo successivamente si traduce nell’opera. L’iter è semplice. Un volta che la critica ufficiale definisce una persona, come artista, in quel momento le sue opere, dal nulla che erano, diventano artistiche.
Capita così che le fotografie della ex terrorista Adriana Faranda, militante delle Brigate rosse che partecipò al sequestro di Aldo Moro, una volta che il critico Vittorio Sgarbi le promuove inserendole tre le opere di 600 artisti della mostra che si terrà a Torino Esposizioni dal 19 dicembre al 31 gennaio, a ideale conclusione della Biennale di Venezia, ecco che la Faranda diventa da ex terrorista, artista.
Il miracolo alchemico si compie in un breve frasetta: Ecco le parole del noto critico:
“…la includo perché è una ex terrorista o la escludo perché è una ex terrorista? Niente di tutto questo. La includo perché, come artista, è al di sopra della soglia dell'esistenza”.
Il trucco semantico è in tutto in quel “come artista”.
Come artista si eleva al di sopra di tutto. Un po’ come è capitato a Cesare Battisti nelle Ville lumiere: se è un romanziere, è prima un artista: status che assolve tutte le responsabilità precedenti. Lo status "sacro" di artista determina insomma un risultato analogo a quello che dell’indulgenza di Sacra Romana Chiesa.
In questo caso la dote artistica di ergersi “al di sopra della soglia dell'esistenza” attribuita da Sgarbi alla Faranda assume una sfumatura assai macabra, visto che il soggetto in questione ha contribuito a porre altri, diciamo, al di sotto della loro soglia di esistenza... loro malgrado!
Capita così che le fotografie della ex terrorista Adriana Faranda, militante delle Brigate rosse che partecipò al sequestro di Aldo Moro, una volta che il critico Vittorio Sgarbi le promuove inserendole tre le opere di 600 artisti della mostra che si terrà a Torino Esposizioni dal 19 dicembre al 31 gennaio, a ideale conclusione della Biennale di Venezia, ecco che la Faranda diventa da ex terrorista, artista.
Il miracolo alchemico si compie in un breve frasetta: Ecco le parole del noto critico:
“…la includo perché è una ex terrorista o la escludo perché è una ex terrorista? Niente di tutto questo. La includo perché, come artista, è al di sopra della soglia dell'esistenza”.
Il trucco semantico è in tutto in quel “come artista”.
Come artista si eleva al di sopra di tutto. Un po’ come è capitato a Cesare Battisti nelle Ville lumiere: se è un romanziere, è prima un artista: status che assolve tutte le responsabilità precedenti. Lo status "sacro" di artista determina insomma un risultato analogo a quello che dell’indulgenza di Sacra Romana Chiesa.
In questo caso la dote artistica di ergersi “al di sopra della soglia dell'esistenza” attribuita da Sgarbi alla Faranda assume una sfumatura assai macabra, visto che il soggetto in questione ha contribuito a porre altri, diciamo, al di sotto della loro soglia di esistenza... loro malgrado!
Abbiamo detto dell'alchimia per diventare artisti. L'investimento del critico sul soggetto che, tramite un processo di iniziazione "come artista", trasforma le di lui opere in arte. Sappiamo che esistono la magia nera e bianca. Ma nel caso di Vittorio Sgarbi abbiamo un novello risultato con Adriana Faranda: l'opera al rosso, per parafrasare il romanzo della Yourcenar dedicato all'alchemico Zenone.
L'opera più facile da reperire in rete, e presente come immagine del profilo nello stessa pagina su MySpace della Faranda si intitola "Rosso malinconia".
Parafrasando le parole dello Zenone della Yourcenar: "Mi sono guardato bene dal fare di me un idolo…", nell'immagine digitale dell'ex terrorista abbiamo invece proprio un idolo con la faccia di bronzo in primo piano sulla sfondo di farfalle, facile metafora della sua biografia (Il volo della farfalla), nella luce rossastra del passato.
L'opera più facile da reperire in rete, e presente come immagine del profilo nello stessa pagina su MySpace della Faranda si intitola "Rosso malinconia".
Parafrasando le parole dello Zenone della Yourcenar: "Mi sono guardato bene dal fare di me un idolo…", nell'immagine digitale dell'ex terrorista abbiamo invece proprio un idolo con la faccia di bronzo in primo piano sulla sfondo di farfalle, facile metafora della sua biografia (Il volo della farfalla), nella luce rossastra del passato.
La malinconia per la militanza non potrebbe essere più esplicita; la metafora del colore non potrebbe essere più banale. La cosa essenziale è che si manifesta perfettamente la coincidenza tra vita e opera: quest'ultima non comunica altro che narcisa autobiografia.
E' quindi la vita di Adriana Faranda a farsi opera d'arte attraverso le sue fotografie/immagini digitali. Proprio questo aspetto, insito nell'arte contemporanea, determina che l'etica non sia estranea all'artista, come poteva esserlo invece nell'arte del passato. Qui giace la responsabilità del critico nel far assurgere la vita di un individuo a simbolo valoriale nella sfera dell'arte e quella delle amministrazioni pubbliche nel fornire il loro sostegno logistico ed organizzativo, e forse finanziario, all'evento.
- Vedi documento Appunti di Aiviter alla Biennale di Venezia
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